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Il conflitto: da ragionevole divergenza a escalation violenta – Parte 2

Il conflitto: componenti e processi comportamentali: aumento dell’arousal, atteggiamenti e comportamenti aggressivi, cambiamento della comunicazione.

Di Elena Copelli

Pubblicato il 18 Nov. 2013

Aggiornato il 20 Nov. 2013 13:38

Il conflitto pt. 2

Da ragionevole divergenza a escalation violenta, cosa si vede all’esterno e cosa accade sotto la superficie.

LEGGI: PARTE 1

Il conflitto 2. - Immagine: ©-christophe-BOISSON-Fotolia.comIl conflitto: componenti e processi comportamentali.

Analizzando le modalità con cui si manifesta in superficie a livello comportamentale e comunicativo, è possibile affermare che l’escalation è caratterizzata da un aumento dell’arousal a livello psicofisiologico (Geiger e Fischer, 2006), dalla comparsa di atteggiamenti e comportamenti aggressivi (Anderson e Bushman, 2002) e da un progressivo cambiamento della comunicazione verbale, che si caratterizza per nuove strategie coercitive o lesive come l’offesa, l’insulto o la minaccia (Arielli e Scotto, 2003).

Nei casi più estremi, l’escalation può sfociare in veri e propri comportamenti violenti miranti a recare direttamente danno agli altri partecipanti al conflitto (Anderson e Bushman, 2002; Geiger e Fischer, 2006).

Dal punto di vista comunicativo, seguendo i principi della pragmatica della comunicazione umana, è possibile affermare che l’escalation è un’azione congiunta tra due o più attori coinvolti attraverso cui essi affermano qualcosa non solo a livello del messaggio ma anche della relazione a cui partecipano; ad esempio, la minaccia e la squalifica, due modalità comunicative tipiche dell’escalation, trasmettono a livello del messaggio la propria posizione all’interno del conflitto, ma, al contempo, veicolano informazioni importanti a livello della relazione e cioè, nel caso specifico, un ultimatum nel caso della minaccia e la disconferma diretta della persona o della relazione stessa, nel caso della squalifica (Arielli e Scotto, 2003).

Nel processo escalativo gli agenti tendono infatti alla sempre maggiore polarizzazione della propria posizione e all’irrigidimento estremo della propria ragione; in questo caso la comunicazione a sua volta tende ad irrigidirsi e a spostarsi su due fronti opposti ma compresenti. Il primo fronte è rappresentato dalla generalizzazione e apertura delle questioni del conflitto, attraverso cui si abbandonano le questioni oggettive originarie per passare a questioni sovraordinate di ordine ideologico, valoriale e identitario (Arielli e Scotto, 2003); si tende così a fare appello a valori morali superiori, alla propria presunta superiorità ideologica o intellettuale, all’ipse dixit o agli slogan (ibid.). Il secondo fronte è rappresentato diametralmente dal restringimento delle invettive che si trasformano da generali e esterne a specifiche e interne; l’oggetto del conflitto non riguarda più questioni esterne agli agenti, su cui entrambi possono confrontarsi e apportare la propria opinione, ma comportamenti e attributi specifici degli individui coinvolti, compresi i loro comportamenti, la loro personalità, la loro provenienza geografica, la loro appartenenza sociale e/o culturale (Geiger e Fischer, 2006; Pronin, 2007).

A livello comportamentale, l’escalation è caratterizzata da un sensibile aumento di aggressività, in termini di severità, intensità e impulsività (Winstok, 2008). Anderson e Bushman (2002) definiscono l’aggressività come qualsiasi comportamento diretto verso un altro individuo e messo in atto con l’immediato intento di causare danno; inoltre, colui che attua questo tipo di comportamento deve avere piena coscienza che il suo comportamento arrecherà danno al bersaglio e che quest’ultimo è motivato a eludere l’attacco. Gli autori propongono un modello generale dell’aggressività basato sulla costante interazione a più livelli di due macro-categorie di variabili: le variabili situazionali, che includono tutte quelle qualità specifiche di un dato contesto o situazione sociale che possono innescare una dinamica conflittuale e/o aggressiva (tra cui la presenza di cues aggressivi, frustrazione, possibilità di ottenere rinforzi), e le variabili individuali, che comprendono tutte la caratteristiche idiosincratiche che gli individui apportano all’interno delle dinamiche relazionali (tra cui tratti di personalità, credenze, atteggiamenti, valori, scripts cognitivi).

Esiste un rapporto di influenza reciproca e bidirezionale tra queste due variabili; i fattori situazionali possono influenzare alcune disposizioni e atteggiamenti personali verso la conflittualità e l’aggressività, come ad esempio la ripetuta esposizione a scene violente proposte dai media (Anderson, Buckley e Carnagey, 2008), e, allo stesso modo, può verificarsi il processo inverso, come quando ad esempio alcuni specifici tratti di personalità, tra cui l’ostilità o la rabbia di tratto, favoriscono la ricerca attiva di alcuni ambienti in cui la possibilità di confliggere è resa più disponibile (ibid.).

Queste due tipologie di variabili fungono da input a una serie di processi interni e covert; primi fra tutti alcuni importanti processi cognitivi, come lo sviluppo di pensieri ostili e l’attribuzione arbitraria di intenzioni maligne agli altri agenti, ma anche alcuni processi affettivi e psicofisiologici, come l’aumento dell’attivazione neurologica basale e l’aumento di emozioni negative, dolore e tensione psicologica. Quando gli input situazionali sono percepiti come salienti e quando i processi cognitivo-affettivi si attivano potenziandosi a vicenda, la probabilità di mettere in atto un comportamento aggressivo aumenta notevolmente (Anderson e Bushman, 2002).

A riprova di ciò, un recente studio di Winstok e Eisikovits (2008) analizza le fasi caratterizzanti l’escalation dei conflitti nelle relazioni intime tra partners. Utilizzando una metodologia qualitativa che mirava a sviscerare i diversi livelli di aumento del conflitto, gli autori hanno intervistato 50 coppie che avevano vissuto in passato uno o più episodi di aggressività verbale e fisica.

Dalle interviste emergono due fattori cruciali e centrali dell’escalation nei conflitti di coppia. Il primo riguarda le motivazioni alla base del conflitto, mentre il secondo il senso di controllo; la dimensione delle motivazione e quella del controllo rappresentano due traiettorie che decidono in maniera determinante l’esito della dinamica conflittuale verso diversi livelli di aggressività. Gli autori hanno infatti notato dalle interviste dei partecipanti che, mentre nelle prime fasi del conflitto le motivazioni rivestono maggiore importanza cognitiva ed affettiva rispetto al bisogno di controllo del partner e/o della situazione, questa tendenza tende a invertirsi completamente nella fase terminale del conflitto, quando le motivazioni originarie e il senso di autocontrollo si affievoliscono mentre parallelamente aumenta il bisogno di porre termine al conflitto, indipendentemente dalla modalità. Nel momento in cui le due traiettorie si incrociano tra la prima e l’ultima fase del conflitto, esse segnano un punto di non ritorno in cui l’escalation assume forma e sostanza, il conflitto diventa distruttivo e si verifica con maggiore probabilità il passaggio dall’aggressività verbale a quella fisica.

Queste osservazioni confermano i dati ottenuti da uno studio di Smits e De Boeck (2007) in cui gli autori hanno dimostrato che il controllo cognitivo incide sulla messa in atto di comportamenti aggressivi a due diversi livelli: a livello della tendenza all’azione e a livello del comportamento vero e proprio. L’inibizione e la pianificazione comportamentale, caratteristiche basilari della vita sociale degli esseri umani, agiscono a questi due livelli per scongiurare effetti potenzialmente distruttivi per i singoli agenti e per la relazione; l’escalation si presenta invece quando entrambe questi dispositivi di controllo falliscono o si affievoliscono.

Secondo Winstok (2008) i freni inibitori e di controllo si fanno più deboli sulla base di una razionale valutazione dei pro e dei contro della situazione; se i vantaggi della condotta aggressiva come culmine di una dinamica escalativa sono percepiti come maggiori o più rilevanti dei suoi eventuali costi, la persona sarà maggiormente motivata e intenzionata a frenare a tutti i livelli i propri sistemi inibitori e di autocontrollo.

Tuttavia, come lo stesso Winstok nota, si tratta di un modello basato su processi di decision-making razionale che lasciano poco spazio ai processi emotivi, percettivi e cognitivi sottostanti. Ciò che osserviamo direttamente nel conflitto e nell’escalation è in realtà soltanto la punta dell’iceberg di complessi processi cognitivi, affettivi, motivazionali e identitari più profondi.

 

LEGGI: PARTE 1

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Elena Copelli
Elena Copelli

Psicologa scolastica, dello sviluppo e dell’educazione.

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