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Comunicazione – Discorsi esitanti: che effetto hanno su chi ascolta?

Comunicazione - Del tutto in modo inaspettato, parrebbe così che un discorso esitante (ma non troppo) risulti più efficace di un discorso fluente.

Di Giulia Radice

Pubblicato il 26 Nov. 2013

Aggiornato il 08 Lug. 2019 13:01

– FLASH NEWS-

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

Comunicazione – Del tutto in modo inaspettato, parrebbe che un discorso esitante (ma non troppo) risulti più efficace di un discorso fluente.

Quando parliamo, quali sono gli effetti delle nostre esitazioni, ripetizioni e auto-correzioni in chi ci ascolta? Ogni 100 parole pronunciate, circa 6 sono colpite da disfluenze verbali.

Tra i diversi “inceppi” verbali, particolarmente interessanti sono i riempitivi sonori come “ehm” o “uhm”. Questi infatti non si verificano a caso, ma tendono a precedere l’emissione di parole di uso poco comuni, inaspettate o poco inerenti al significato generale della frase.

A partire da dal meccanismo che ci guida nel loro uso, MacGregor e colleghi (University of Edinburgh) si sono domandati cosa accade quando ascoltiamo frasi esitanti. Che effetto hanno gli “ehm” e gli “uhm” sulla comprensione e memorizzazione del discorso?

Per rispondere a questa domanda i ricercatori sono riscorsi ai potenziali evocati, ovvero modificazioni elettriche che avvengono nel sistema nervoso centrale a seguito di uno stimolo esterno, focalizzandosi in particolare sull’ERP N400. Questo potenziale evocato si manifesta con un cambiamento negativo nel voltaggio di una particolare regione. Quando ci troviamo di fronte a un’incongruenza semantica tale cambiamento si verifica specificatamente nella regione centro-parietale.

Quindi davanti alla frase :”Mi piace bere il tè con zucchero e calza” (o quando figure anomale o incongruenti sono mostrate durante l’ascolto di una frase, o quando la frase presenta una violazione sintattica) si avrà un cambiamento negativo in questa specifica area cerebrale.

Per questa ricerca, sono stati coinvolti 12 soggetti ai quali è stato chiesto di ascoltare diverse frasi dove l’ultima parola poteva essere congruente con il contesto della frase (Es. Mi piace bere il tè con zucchero e limone) oppure incongruente (Mi piace bere il tè con zucchero e calza). Inoltre nella metà dei casi, prima delle parole limone e calza, venivano inseriti riempitivi sonori come “ehm”.

Dai risultati è emerso che nei casi in cui la parola non era congruente, se questa era preceduta da un “ehm”, l’ atteso effetto N400 si riduceva. Sembra quindi che in qualche modo l’esitazione renda la parola inaspettata più facile da processare e che forzi il cervello a porre più attenzione al discorso, percependo l’ehm come un segnale di allerta.

Ecco quindi che la parole incongruente (“calza”), benchè inattesa e imprevedibile, viene accettata più facilmente dalla nostro cervello.

 Ancora più sorprendente, l’esitazione sembra avere anche un effetto a lungo termine: attraverso un successivo test di memoria le parole (congruenti o incongruenti) che erano state precedute da un riempitivo verbale venivano ricordate più facilmente. Questa sintonizzazione preventiva (o allerta attenttivo) fornirebbe quindi anche un vantaggio nella memorizzazione della parole.

Del tutto in modo inaspettato, parrebbe così che un discorso esitante (ma non troppo) risulti più efficace di un discorso fluente.

LEGGI:

LINGUAGGIO & COMUNICAZIONE STILI DI COMUNICAZIONE – MEMORIA

 

 

BIBLIOGRAFIA:

 

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Giulia Radice
Giulia Radice

Psicologa Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale

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