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Psicologia sociale – Alla (non) ricerca della Felicità

Psicologia sociale - I modelli culturali e le norme sociali interiorizzate modellano le emozioni che dovremmo provare e quelle che dovremmo esprimere?

Di Elena Lo Sterzo, Roberta Casadio

Pubblicato il 05 Set. 2013

Aggiornato il 16 Mar. 2015 14:55

 Open School Modena 

 

Alla (non) ricerca della Felicità. -Immagine: © ra2 studio - Fotolia.comQuanto i modelli culturali e le norme sociali interiorizzate modellano le emozioni che dovremmo provare e quelle che  dovremmo esprimere?

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Ad oggi, le emozioni sono uno dei più studiati costrutti psicologici: sono stati mentali e fisiologici associati a modificazioni psicofisiologiche, che si verificano in risposta a stimoli interni o esterni, naturali o appresi. In termini evolutivi, o darwiniani, la loro principale funzione consiste nel rendere più efficace la reazione dell’individuo a situazioni in cui si rende necessaria una risposta immediata ai fini della sopravvivenza: nell’immaginario comune è ricorrente una concezione dell’emozione come reazione automatica e non mediata dalla cognizione, come anche spesso viene raffigurata nell’arte.

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Tuttavia, la letteratura scientifica ha ampiamente confermato come questo processo psicologico sia ampiamente regolato da fattori cognitivi, ovvero ad esempio da come valutiamo cognitivamente un determinato evento, o da quali sono le nostre aspettative verso esso.

Uno degli aspetti più controversi è il ruolo della nostra società su ciò che proviamo e su come lo esprimiamo. Studi recenti nell’ambito della psicologia sociale hanno evidenziato l’importanza delle opinioni altrui nella produzione delle nostre emozioni: ad esempio, Evers e colleghi (2005) hanno trovato che le donne sono meno inclini degli uomini ad esprimere la rabbia perché più portate a pensare alle conseguenze sociali negative che ne seguirebbero.

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Un recente articolo di Bastian e colleghi del 2012, ha indagato come la desiderabilità sociale di certe emozioni rispetto ad altre influenzi l’esperienza emotiva della persona e più in generale il suo benessere psicologico.

Dai risultati emerge che più forte è la percezione dell’aspettativa sociale di non provare emozioni negative, più frequenti e intense sono le emozioni negative provate. In altre parole, gli Autori sostengono che il fatto che una persona senta di non dover provare certi sentimenti, promuove lo stato di disagio emotivo e di auto-svalutazione quando li prova.

Nel momento in cui le persone  non riescono a soddisfare queste aspettative, tendono a sentirsi “fallite”. Tale riflessione negativa su sé stessi aggrava ulteriormente queste emozioni (Moberly & Watkins, 2008; Nolen-Hoeksema, 2000). Questo studio è importante nel clima sociale odierno, dove  apparire felici e funzionanti sembra essere una necessità. Rispetto a questo gli autori rilevano una differenza tra la cultura individualistica tipica dei Paesi d’Occidente e quella collettivistica dei Paesi d’Oriente: in questi paesi l’accettazione da parte del gruppo e l’equilibrio emotivo  sono valutate come più importanti rispetto al perseguimento della felicità individuale. Le persone dell’Est Asiatico si dimostrano infatti piuttosto esitanti nell’esplicitare e riflettere sulle emozioni positive e riportano punteggi inferiori ai questionari sul benessere psicologico e sulla felicità, rispetto agli Occidentali (Diener, Suh, Smith & Shao, 1995).

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Al contrario, le emozioni negative come tristezza e ansia sono meno stigmatizzate e medicalizzate, con la conseguenza che ci sono meno aspettative sociali verso le emozioni negative (Bastian et al., 2012).

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Per quanto riguardo la cultura occidentale, le aspettative sociali stabiliscono degli “standard” di riferimento su come dovremmo sentirci, ovvero degli obiettivi emozionali che sono allo stesso tempo utopici e necessari, difficili da raggiungere e difficili da abbandonare (Watkins, 2008).

In conclusione, nessuno è immune dalle aspettative sociali in quanto siamo cittadini che vivono all’interno di una comunità. Norme sociali e culturali non scritte regolano buona parte delle nostre interazioni con gli altri. Questo articolo propone un buon punto di riflessione per domandarci quanto i modelli culturali e le norme sociali interiorizzate modellino le emozioni che dovremmo provare e quelle che  dovremmo esprimere. Non esistono emozioni di tipo A o B, emozioni buone o cattive, ma tutte hanno la stessa importanza per la sopravvivenza reale e sociale dell’essere umano pur essendoci, come abbiamo visto, differenze culturali nel valore e nel ruolo sociale ad esse attribuito.

Un po’ come provocazione ed un po’ come sfida verso noi stessi, proviamo invece a riflettere sui benefici che hanno portato (o che potrebbero portare) nella nostra vita le emozioni negative: pensiamo al loro potenziale creativo (Wilson, 2008), alla loro importanza nelle relazioni interpersonali (McNuilty, 2010) e al ruolo fondamentale che svolgono nella realizzazione di una vita ricca ed appagante (Hayes, Strosahl, & Wilson, 1999).

LEGGI: 

SOCIETA’ & ANTROPOLOGIA – PSICOLOGIA SOCIALE

 

 

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Elena Lo Sterzo
Elena Lo Sterzo

Specializzanda in Psicoterapia Cognitiva e Cognitivo-Comportamentale. Specialista in Neuroscienze

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Roberta Casadio
Roberta Casadio

Psicologa clinica e specializzanda in psicoterapia cognitivo-comportamentale, Recovery worker

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