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Help me get down! La Rockstar e la paura di volare

Paura di volare: Brandon Flowers, frontman dei The Killers, in “Why Do I Keep Counting?” descrive i pensieri che lo travolgono a bordo di un aeroplano.

Di Benjamin Gallinaro, Costanza Prinetti

Pubblicato il 22 Mag. 2013

Aggiornato il 27 Ago. 2015 12:01

 

Paura di volare: Brandon Flowers, frontman dei The Killers, in “Why Do I Keep Counting?” descrive i pensieri che lo travolgono a bordo di un aeroplano.

 

Help me get down! La Rockstar e la paura di volare . Immagine: Costanza Prinetti 2013

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Per il cantante di una band famosa a livello planetario, che vende dischi e compie tour in tutto il globo, avere una spiccata fobia per il volo è senza dubbio una condizione non troppo favorevole.

Lo sa bene Brandon Flowers, frontman della band americana The Killers, che nella canzone “Why Do I Keep Counting?” descrive, in una sorta di stream of consciousness, i pensieri che lo travolgono nel momento in cui si trova a bordo di un aeroplano e che sfociano nell’incalzante ritornello/preghiera (“Help me get down, I can make it, help me get down!”).

In un’intervista leggiamo che la paura di volare di  Flowers, sembra avere origine da due episodi che l’hanno traumatizzato durante viaggi aerei, uno in cui assistette alla morte di una passeggera e l’altro in cui si trovò ad attraversare un tornado.

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L’origine di questa fobia specifica può infatti essere “innescata” da differenti elementi: la percezione dell’aereo come un luogo stretto e angusto e senza vie di fuga, le sollecitazioni e i rumori che caratterizzano le fasi di decollo e di atterraggio, percepiti come sinistri e preoccupanti, (“…so many unusual sounds, I got to get my feet on the ground!”), eventuali turbolenze o altre situazioni traumatiche e spiacevoli avvenute durante il volo, oppure, in determinati casi, può essere sufficiente aver letto o ascoltato racconti e aneddoti negativi riguardanti il viaggiare in aereo (anche senza averci mai messo piede) che costituiscono terreno fertile e alimentano la costruzione di fantasie catastrofiche.

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Non sempre, tuttavia, l’insorgenza della paura di volare è legata a “qualcosa di brutto” accaduto durante il volo, alcuni passeggeri raccontano di essere stati colti da crisi di ansia, nonostante il volo procedesse con la massima tranquillità.

La paura di volare (detta anche aerofobia, aviofobia, o in inglese fear of flying) può colpire indistintamente persone di qualsiasi età, area di provenienza geografica, classe sociale, livello di istruzione o conto in banca.

Essa rappresenta una fobia relativamente nuova e in progressivo aumento, anche a seguito del successo delle compagnie low cost che hanno reso maggiormente fruibile la possibilità di spostarsi con l’aereo.

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Si stima che circa la metà dei passeggeri europei e italiani vivano il volo come un’esperienza negativa.

Le manifestazioni  e i livelli di ansia sono molteplici e diversi da passeggero a passeggero e possono andare da apprensione e stato di continua allerta durante il volo, a forte senso di sconforto e angoscia, che caratterizzano anche le ore o i giorni che precedono il viaggio (ansia anticipatoria), fino a vero e proprio terrore scatenato da pensieri e immagini funeste che riguardano il volo e che impediscono, di fatto, di salire a bordo dell’aereo.

Tornando alla nostra rockstar leggiamo come la sua fobia, si intrecci con la paura legata alla combinazione di numeri 621, (rappresenta la data del suo compleanno, il 21 giugno, in inglese 6/21), e che risale a quando, da ragazzino, una tavola Ouija (quelle utilizzate per “contattare” le anime dei defunti nelle sedute spiritiche) gli “predisse” che sarebbe morto il giorno del suo compleanno. In merito a ciò Flowers accenna a quanto fu complicato quando si ritrovò a dover compiere un volo transoceanico per giungere da Las Vegas al famoso festival di Glastonbury (UK) proprio nel giorno del suo compleanno!

In questo caso la fobia del volo può essere stata rafforzata dal cosiddetto “pensiero magico”, una sorta di deriva di tipo scaramantico/superstizioso, che stabilisce un collegamento virtuale tra elementi in realtà ben distinti tra loro (il proprio compleanno e il prendere l’aereo) e dal legame con un altro tipo di paura, che spesso soggiace a quella di volare, ovvero quella della morte e dell’impotenza di fronte all’ineluttibilità di quest’ultima (“And if all  our days are numbered, Then why do I keep counting?”).

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Tipicamente, infatti, nonostante l’aerofobia sia legata a una particolare situazione, può essere accompagnata da numerose altre paure sottostanti, tra cui quella per l’altezza, la claustrofobia, la fobia sociale, l’agorafobia, e la già citata fobia della morte.

 Considerati i diversi “trigger” che possono far scattare la fobia, possiamo quindi chiederci cosa realmente determini la paura. Di primo impatto saremmo tutti tentati di rispondere “Che l’aereo cada!”, in realtà solo una parte dei passeggeri riportano questo timore, un’altra parte di essi, tra cui Flowers, affermano che l’aspetto per loro più tremendo è il timore di perdere il controllo della situazione e di non riuscire a gestire le emozioni e le sensazioni che proveranno durante il volo, con la conseguente possibilità di sentirsi male (attacco di panico).

Appare perciò evidente che, come afferma Flowers, “The trouble is my head”, ovvero la fobia, più che avere a che fare con il proprio oggetto terrifico, riguarda la testa del soggetto, o meglio alcuni meccanismi di pensiero che le persone ansiose adottano per affrontare i problemi e che in realtà finiscono per ostacolarle ulteriormente.

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Alcune modalità di pensiero disfunzionali più frequentemente implicate nei disturbi fobici sono il mood congruity effect, ovvero la sensibilità e vulnerabilità al tema della minaccia, l’emotional reasoning, che può condurre a interpretare in chiave emotiva ansiogena anche segnali neutri e innocui, il pensiero catastrofico, che porta a creare previsioni e immagini mentali funeste e drammatiche (“I took one last good look around…”),  la necessità di un continuo e totale controllo, con conseguente aumento del livello di ansia e di apprensione non appena qualcosa sfugge al nostro monitoraggio, l’intolleranza all’incertezza nei confronti degli eventi, che si lega ai dubbi e al rimuginio riguardo alle potenziali difficoltà della vita (“If I only knew the answer, If I change my way of living, And if I pave my streets with good times, Will the mountain keep on giving?”) al proprio valore personale, alla fiducia in sé, al proprio senso di responsabilità e alla capacità di raggiungere obiettivi di vita particolarmente significativi (“Am I strong enough to be the one? Will I live to have some children?…”).

Abbiamo perciò capito che nella fobia del volo, così come nelle altre manifestazioni fobiche, può avvenire un vero e proprio spostamento del focus attentivo dal reale problema verso un oggetto specifico esterno a noi (in questo caso “volare”). Ciò rende cognitivamente ed emotivamente più “economico” e meno complesso fronteggiare i problemi che provocano ansia (ad esempio attraverso le condotte di evitamento), di quanto non sarebbe affrontare le emozioni che derivano da incertezze e fragilità che hanno direttamente a che fare con il nostro mondo interiore  e che ci possono mettere a rischio di un maggior carico di frustrazione e di una drastica diminuzione del senso di autoefficacia.

 

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SITOGRAFIA: (grazie a Denise di www.thekillersitalia.com)

 

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