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Fabiana: cominciamo a pensare in modo serio

Fabiana, ennesimo Femminicidio. Cosa succede a questi ragazzi, come mai invece di affrontare la sofferenza, arrivano a malmenare, aggredire, e a uccidere?

Di Sandra Sassaroli

Pubblicato il 31 Mag. 2013

Francesca Barzini e Sandra Sassaroli

 

Fabiana Luzzi Si dà abbastanza attenzione nell’educazione di questi ragazzi alle emozioni? Al riconoscerle? A fare i conti con i limiti? Gli ostacoli? Gli abbandoni? Le paure? Il dolore che non si riesce a cancellare? Oppure si presenta loro, in questo nostro dolente benessere (che sa di malessere incombente e di precarietà) un mondo consolatorio in cui essi sono i più belli? I più bravi? I destinati a vincere? Viziati e adorati dalle famiglie in quanto maschi.

Poco sappiamo di cosa sia successo nella testa di un ragazzo che accoltella e brucia la ragazza (non chiamiamole più, per favore, fidanzatine) con la quale ha litigato. Qualcosa possiamo dire da psicoterapeuti.

Si può litigare in amore, ci si può insultare, si può essere disperati e molto molto arrabbiati. Poi quando queste emozioni tumultuose, forti e terribili diventano chiare, c’è un momento, un momento importante, in cui a questi stati d’animo si guarda con orrore ma con la consapevolezza che sono stati tormentosi ma transitori. Si piange, si telefona agli amici, ci si ubriaca, si scrive una poesia romantica, si va dal terapista, insomma ci si trova davanti ai grandi dolori della vita e si tenta di attraversarli.

Cosa succede a questi ragazzi, come mai invece di affrontare la sofferenza, arrivano a malmenare, aggredire, e a uccidere? Trasformano il dolore in rabbia cieca, in atti impulsivi e violenti che procureranno ferite, sofferenze, morte ma che rovinano anche le loro vite per sempre.

Femminicidio & Codice Penale: Delitto Emotivo vs Delitto Passionale. - Immagine: © jedi-master - Fotolia.com
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Una rabbia che vediamo in molti femminicidi di cui in questi giorni sentiamo parlare. Nell’ambiente (o in parti della società) in cui questo giovane assassino è cresciuto sopravvive e persiste una oppressione antica delle donne. E un senso antiquato di superiorità dell’uomo.

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Vediamo come è difficile per questi uomini accettare queste nuove ragazze, ostinate, sicuramente più libere e più forti, che vogliono decidere la loro vita e sessualità in piena indipendenza. Il cambiamento sociale sembra molto squilibrato, gli uomini a difendere antichi privilegi. Le ragazze a spingere per un cambiamento che le renda più libere e indipendenti.

Ma in questo ragazzo si vede, come in molti assassini di cui i giornali ci raccontano, una profonda incompetenza a riconoscere e gestire le emozioni di dolore, di perdita, di separazione e di accettazione della libertà e indipendenza delle donne. Il ruolo delle donne infatti, la loro visione di se stesse, le loro ambizioni stanno cambiando in modo tumultuoso e comprendiamo che vi sia difficoltà ad adattarsi.

Ma oggi non voglio entrare solo nel merito della questione della violenza contro le donne ma anche di come vengono educati e cresciuti questi futuri uomini, in calabria, ma anche in grandi parti del nostro paese.

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E’ come se nella loro formazione questi uomini non abbiano mai imparato a fare i conti con le sconfitte, l’ineluttabilità delle separazioni e delle perdite. L’amore è visto come sogno romantico e non ne viene colto l’aspetto doloroso, di rischio, di vulnerabilità al contatto con l’altro.

Quando si trovano davanti a scelte improvvise, minacce di perdita, rifiuti sessuali, non sanno come affrontare ciò che accade. E minacciano, aggrediscono,uccidono.

Pena e strazio quindi per queste ragazze che si accorgono troppo tardi che quell’atteggiamento di forza e sicurezza di sé non era altro che prepotenza e copertura di una fragilità tremenda a vivere.

Questi ragazzi non hanno imparato a vivere e si trovano con le vite rovinate.

Ma mi chiedo: si dà abbastanza attenzione nell’educazione di questi ragazzi alle emozioni? Al riconoscerle? A fare i conti con i limiti? Gli ostacoli? Gli abbandoni? Le paure? Il dolore che non si riesce a cancellare? Oppure si presenta loro, in questo nostro dolente benessere (che sa di malessere incombente e di precarietà) un mondo consolatorio in cui essi sono i più belli? I più bravi? I destinati a vincere? Viziati e adorati dalle famiglie in quanto maschi.

I genitori si chiedono che educazione stanno dando ai loro figli maschi? Che complicità hanno con una visione dell’uomo antiquata e pericolosa in questa nostra società in rapido cambiamento? Predicano loro il rispetto e la parità con le donne o sono offuscati dall’amore per questi piccoli uomini in crescita?

La mia impressione è che questo sia un punto fondamentale e che nel nostro paese se ne parli troppo poco.

Da tempo tutti dicono che occorre che le ragazze imparino a non andare nel bosco per un ultimo chiarimento se vi sono pericoli o sensazioni di fragilità e rabbia dell’altro. Ma le famiglie e la scuola devono tenere il passo e insegnare ai maschi che ogni ricorso alla violenza e alla prevaricazione è roba antica e sbagliata per come è il mondo adesso. Occorre che gli uomini facciano un lavoro su se stessi, sulle proprie emozioni, sull’accettazione di ogni sconfitta.

I ragazzi devono cambiare e diventare compiutamente umani, capaci di vedere nei sentimenti i lati oscuri e imprevedibili che sempre possono presentarsi e a rispettare concretamente le ragazze che dicono di amare quando dicono di no, quando vogliono lasciarli, quando li sfidano.

L’argomento è attuale in Italia perché abbiamo ratificato la Convenzione di Istanbul dove la prevenzione nelle famiglie e nelle scuole e nei mass media è ritenuta elemento fondamentale della lotta al femminicidio e contro la violenza di genere.

SCARICA LA CONVENZIONE DI ISTANBUL (PDF)

 

Cito dal Corriere della sera:

Ma cosa prevede la convenzione? Contrastare ogni forma di violenza, fisica e psicologica sulle donne, dallo stupro allo stalking, dai matrimoni forzati alle mutilazioni genitali e impegno a tutti i livelli sulla prevenzione, eliminando al contempo ogni forma di discriminazione e promuovendo «la concreta parità tra i sessi, rafforzando l’autonomia e l’autodeterminazione delle donne». Si tratta di 81 articoli che sono stati ratificati ad oggi da quattro Stati: Albania, Montenegro, Turchia, Portogallo. L’Italia è il quinto Stato. Ma serve la ratifica di almeno 10 Stati perché la Convenzione diventi esecutiva.

Facciamo cultura e cambiamento anche come genitori, terapeuti, psicologi e insegnanti.

 

 

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Sandra Sassaroli
Sandra Sassaroli

Presidente Gruppo Studi Cognitivi, Direttore del Dipartimento di Psicologia e Professore Onorario presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna

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