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Colloquio Psicologico: Come agire nel Primo Colloquio #7

Colloquio Psicologico: Le differenze possono creare un' antipatia di fondo tra psicologo e paziente che mina profondamente il buon esito del colloquio.

Di Gabriele Caselli

Pubblicato il 21 Mag. 2013

 

Il Colloquio Psicologico:

Come Agire nel Primo Colloquio– Parte 7

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Colloquio Psicologico: Come agire nel Primo Colloquio #7. - Immagine: © peshkova - Fotolia.comCOME GESTIRE LA DIVERSITÀ

Queste differenze possono creare una sorta di antipatia di fondo tra psicologo e paziente che mina profondamente il buon esito del colloquio.

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 “Il guerriero della luce legge questi messaggi in tanti uomini e tante donne che conosce. Non si lascia mai ingannare dalle apparenze, e fa di tutto per rimanere in silenzio quando tentano di impressionarlo. Ma coglie l’occasione per correggere le proprie mancanze, giacché gli uomini sono sempre un ottimo specchio.

Un guerriero approfitta di qualsiasi opportunità per imparare.”

[Coelho, Manuale del guerriero della luce, 1997, p.26]

 

Nell’analisi dei principi di base si è fatto cenno all’importanza di conoscere sé stessi e gli atri. Questo perché può capitare che il paziente sia una persona molto diversa dallo psicologo per cultura, stato socioeconomico, genere o appartenenza di gruppo. Davanti a queste situazioni il terapeuta deve essere in grado di non reificare il paziente, e cioè, di non attribuirgli caratteristiche tipiche del suo gruppo di appartenenza senza che siano state direttamente individuate, e deve cercare di accettarlo che vuol dire anche avere gli strumenti conoscitivi per farlo. Quindi il modo migliore per affrontare queste differenze è cercare di capirle mostrando, in tutta onestà, la propria ignoranza riguardo a determinate usanze o credenze di una cultura diversa dalla propria e cercando di apprenderle attraverso il paziente.

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Questo può anche enfatizzare la nostra disponibilità d’ascolto, ma se il paziente mostra fastidio a questi tipi di interventi conviene rimandare l’approfondimento di questi argomenti a colloqui successivi e intanto informarsi privatamente, anche attraverso qualche lettura, sui temi in questione.

A volte le differenze tra terapeuta e paziente si trovano su altri livelli, in alcuni casi facilmente individuabili (ad esempio in rigidi valori morali), e in altri meno. Queste differenze possono creare una sorta di antipatia di fondo tra psicologo e paziente che mina profondamente il buon esito del colloquio. In questi casi il primo compito del terapeuta è, ancora una volta, cercare di capire quali sono le fonti di questo sentimento di allontanamento e cercare di superarlo, magari anche attraverso la collaborazione e il consiglio di qualche collega.

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Se ciò non si realizza l’unica soluzione rimasta e quella di pensare all’invio del paziente ad un collega. In tal caso, il terapeuta deve comunque preoccuparsi che il paziente non risenta di quest’esperienza preparandolo per tempo, cercando di instaurare una certa fiducia che gli permetta di capire che tutto è fatto per il suo bene e, quindi, evitare sensazioni di rabbia, tradimento e impotenza innanzi al proprio disturbo.

 

LA TERAPIA DI COPPIA E FAMILIARE

Quando il paziente non è uno solo è necessario prendere certi accorgimenti.

Al momento della preparazione del colloquio è necessario avere a disposizione una stanza piuttosto grande, confortevole e sobria. Ci può essere un tavolo che aiuta nei primi colloqui perché è visto come un elemento di copertura e protettivo e, oltre a ciò, permette, in sessioni future, di essere tolto variando il setting. Devono essere disposte più sedie del necessario e prestare estrema attenzione a come si dispongono i membri del gruppo o della famiglia.

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Al momento delle presentazioni è necessario indugiare lo sguardo allo stesso modo su tutti i membri della famiglia e non mostrare alcun segno di preferenza. Bisogna presentare subito le regole di base vale a dire: 1) ognuno ha il diritto e avrà la possibilità di dire il proprio parere senza essere interrotto e 2) nessuno può parlare in vece di altri. 

Nel corso del colloquio familiare si assisterà facilmente a un processo di colpevolizzazione reciproca da parte dei presenti. Lo psicologo deve cercare di mostrare (anche attraverso travestimenti metaforici) come i loro problemi non emergano da un’unica persona, ma che ognuno di loro possiede una propria percentuale di responsabilità.

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Quest’idea può essere trasmessa ai soggetti sottolineando affermazioni che legano i comportamenti di una persona ad emozioni dell’altra e affermazioni che mettono in evidenza la relazione tra modelli di comunicazione tra i membri della famiglia e i problemi lamentati. Far comprendere la responsabilità reciproca è il primo passo, necessario per poter affrontare in comune i problemi.

A volte il percorso verso questa consapevolezza è arduo e passa attraverso molte discussioni (che solitamente si muovono su un sentiero estremamente astratto) che devono essere sedate dal terapeuta. Nei casi in cui una persona parli troppo lo psicologo deve placarla ricordando le regole di base, se parla poco bisogna cercare di invitarla a dire la propria per avere un quadro più completo della situazione, ma senza insistere. Bisogna anche saper prevedere e resistere ai tentativi di seduzione da parte dei membri della famiglia, nascondendo eventuali preferenze o simpatie. Quando si tengono colloqui privati con membri della famiglia è importante trasmettere un senso di sicurezza e riservatezza a chi sta di fronte e non rivelare nulla di ciò che viene detto.

La triangolazione all'interno della famiglia.
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“Tuttavia gli capita di incontrare uomini che lo incitano a intervenire in lotte che non gli appartengono, su campi di battaglia che non conosce, o che non gli interessano. Questi vogliono coinvolgere il guerriero della luce in sfide che sono importanti solo per loro. 

[…]

In quei momenti egli sorride, dimostrando il suo amore, ma non accetta la provocazione.”

[Coelho, Manuale del guerriero della luce, 1997, p.120]

Quando al colloquio familiare ci sono degli assenti conviene chiederne il motivo agli altri membri della famiglia. Se lo ignorano si può telefonare all’assente, e se  rifiutano è meglio insistere. Nella telefonata bisogna cercare di comprendere i motivi dell’assenza e cogliere eventuali giustificazioni che lasciano presagire la presenza nelle sedute successive. Per incentivare queste scelte è bene chiarire che il suo contributo è fondamentale per il buon esisto della terapia, per garanzia di lealtà nei suoi confronti e perché il terapeuta è molto interessato alle cose che può dire. Se tutte queste strategie di persuasione falliscono il colloquio può essere comunque portato avanti con i rimanenti cercando di stimolare la loro immedesimazione nella prospettiva della persona assente.

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Il primo colloquio, e molti dei successivi, può coinvolgere diversi membri della famiglia, bambini compresi. In generale si tende a evitare di convocare bambini di età inferiore ai 5 anni a meno che non siano un punto centrale del problema. Dai 5 agli 11 anni i bambini vengono spesso convocati, almeno nella prima seduta, ma non vengono trattenuti per tutto il tempo. In tal caso è importante non dare l’idea che siano stati allontanati perché hanno fatto qualcosa di sbagliato. Bambini di età superiore agli 11 anni vengono normalmente convocati per tutta la durata della seduta.

In ogni caso i principi di base del colloquio con più persone (famiglie o gruppi) sono esattamente gli stessi della terapia individuale.

LEGGI:  

 IN TERAPIA – FAMIGLIA – PSICOTERAPIA SISTEMICO – RELAZIONALE

IL COLLOQUIO PSICOLOGICO – MONOGRAFIA

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

 

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Gabriele Caselli
Gabriele Caselli

Direttore scientifico Gruppo Studi Cognitivi, Professore di Psicologia Clinica presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna

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