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L’Intervento dello Psicologo Penitenziario

Lo Psicologo Penitenziario - Ci si dimentica facilmente di quel luogo lontano dalla nostra esperienza, il carcere, collocato ai margini di una città.

Di Redazione

Pubblicato il 15 Apr. 2013

Aggiornato il 16 Feb. 2017 00:31

Lo Psicologo Penitenziario – Ci si dimentica facilmente di quel luogo lontano dalla nostra esperienza, il carcere, collocato ai margini di una città.

L’Intervento dello Psicologo Penitenziario. - Immagine: © fergregory - Fotolia.com

di Monica Salvi, Psicologa

Poco si parla e si sa di carcere. Entra nei discorsi della gente quando lo impongono i mass media: il sovraffollamento, i suicidi, i delitti trasformati in eventi mediatici. Ci si dimentica facilmente di quel luogo lontano dalla nostra esperienza quotidiana, spesso collocato ai margini di una città, ritenendo forse che i problemi che affliggono quel tipo di istituzione non ci riguardano direttamente. Quel tipo di istituzione è un’istituzione totale, un microcosmo dove si percepisce un taglio netto tra il “dentro” e il “fuori”, dove chi vi è recluso è considerato a priori colpevole nel vissuto collettivo e quasi mai ci si sofferma a riflettere su come sia davvero la vita, dentro.

Poco si sa della figura dello psicologo penitenziario, di come operi all’interno dell’istituzione e delle molte situazioni, non di rado contraddittorie, che si trova a dover far fronte.

La figura dello psicologo penitenziario nasce con la Legge di Riforma dell’Ordinamento Penitenziario del Luglio ’75. La legge n° 354 sancisce il passaggio da un modello meramente retribuzionista della pena a un modello rieducativo-trattamentale, che ha come finalità la rieducazione e il reinserimento sociale del reo. L’articolo 80, nello specifico, sostiene che per lo svolgimento delle attività di osservazione e di trattamento, l’amministrazione penitenziaria può avvalersi di professionisti esperti in psicologia, servizio sociale, pedagogia, psichiatria e criminologia clinica.

La psicologia, per la prima volta, opera formalmente nell’istituzione penitenziaria e si rivolge primariamente ai detenuti.

Nel 1979 gli Esperti Psicologi iniziano a far parte dell’equipe multidisciplinare interna, definita Gruppo Osservazione e Trattamento e composta da Direzione, Polizia Penitenziaria, Educatori ma anche figure non istituzionali, con la finalità di costituire congiuntamente un progetto individualizzato per il recupero del soggetto deviante. L’Esperto Psicologo è chiamato a dare il suo contributo specifico all’osservazione scientifica della personalità (valutazione della pericolosità sociale e della possibilità di recidiva) e all’elaborazione del programma di trattamento, intra o extra-murario; trattamento che consiste in un progetto individualizzato finalizzato a far si che il tempo della detenzione sia un’occasione esistenziale di assunzione di responsabilità e autocritica circa le proprie condotte antigiuridiche, nonché di rieducazione attraverso attività lavorative, d’istruzione scolastica e professionale, ricreative, culturali e di risocializzazione mediante benefici e misure alternative alla detenzione .

 Nel dicembre 1987 la circolare Amato n. 3233/5683 istituisce il “Servizio Nuovi Giunti”, volto primariamente a prevenire gesti suicidari e autolesivi. Nel colloquio di ingresso lo psicologo è chiamato a valutare e individuare i casi a rischio per una successiva presa in carico nonché a dare indicazioni sull’ubicazione del detenuto e sul tipo di sorveglianza da applicare.

Il 2008 è l’anno della riforma della sanità penitenziaria. L’emanazione del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 1° aprile 2008 segna il passaggio delle funzioni in materia di Sanità Penitenziaria al Servizio Sanitario Nazionale. Da quella data si sono lentamente costituiti, all’interno degli Istituti Penitenziari, i primi Presidi di Psicologia composti da personale afferente all’Azienda Ospedaliera, e non più al Ministero di Giustizia, con mandato di valutare e monitorare il rischio suicidario attraverso l’individuazione dei fattori di rischio, esteso non solo ai nuovi giunti ma a tutta la popolazione carceraria; e la presa in carico tempestiva delle situazione di disagio o di malattia psichiatrica necessitanti di sostegno psicologico. Si assiste all’epilogo di un lungo percorso di riforme che vede, in ultimo, sottolineare il diritto della tutela della salute e l’utilizzo di strumenti di intervento non più solo custodiali (es. Grande Sorveglianza e Sorveglianza a Vista).

Da queste brevi riflessioni si intuisce come l’intervento dello psicologo in ambito penitenziario sia di grande complessità e responsabilità, e tuttavia poco conosciuto e soprattutto valorizzato. Risale infatti a pochi mesi fa l’allarme lanciato dal Presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine degli Psicologi, Luigi Palma, sulla condizione preoccupante degli istituti penitenziari, per via del sovraffollamento e dell’aumento dei suicidi, in cui chiede di riqualificare la figura dello psicologo, svilita dal precariato e dalla continua riduzione delle ore dedicate al rapporto con i detenuti, che non permette di garantire realmente il diritto alla salute della popolazione carceraria.

 

PSICOLOGIA GIURIDICA E PERITALE

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