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Il Costo Economico della Tristezza #2

La tristezza sembra rendere le gratificazioni immediate più attraenti, anche quando è evidente che gratificazioni ritardate portano ad un guadagno maggiore.

Di Alessandra Piccolini

Pubblicato il 30 Apr. 2013

Aggiornato il 23 Feb. 2015 11:22

 

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Il Costo Economico della Tristezza #2. - Immagine: © Ogerepus - Fotolia.comLa tristezza sembra rendere le gratificazioni immediate più attraenti, anche quando è evidente che gratificazioni ritardate portano ad un guadagno maggiore.

Eravamo in attesa di nuove ricerche che analizzassero con più chiarezza la relazione esistente tra stato d’animo e decisioni “economiche” della vita quotidiana. Ci ha accontentati Jennifer Lerner, studiosa dell’Università di Hardvard e co-autrice dell’articolo recensito lo scorso dicembre, in cui abbiamo parlato della tendenza piuttosto diffusa a spendere più denaro quando ci si sente tristi (il “misery-is-not-miserly-effect”).

Lerner e colleghi hanno infatti pubblicato una nuova ricerca, questa volta con lo scopo di indagare sul fenomeno della “myopic misery” (letteralmente, “infelicità miope”: Lerner, Li, & Weber, 2012). L’ipotesi da loro sviluppata è che la tristezza possa incrementare il senso di impazienza e renda più probabili decisioni economiche “miopi” (appunto), per cui soggetti di cattivo umore sarebbero più propensi ad accettare compensi minori, ma immediati, piuttosto che compensi rimandati nel tempo, ma più cospicui.

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In altre parole, rimandare una gratificazione sarà tanto più difficile quanto più basso sarà il nostro umore. Nonostante diversi studi abbiano dimostrato l’effetto contrario, osservando come uno stato d’animo positivo rendesse le persone più pazienti (Ifcher & Zarghamee, 2011; Pyone & Isen, 2011), gli esperimenti di Lerner sono stati i primi ad indagare da vicino il fenomeno in questione.

In un primo esperimento gli autori hanno voluto testare l’ipotesi che non fosse solo la tristezza ad influenzare decisioni economiche del tipo “ora o più tardi”, ma qualsiasi generico stato d’animo negativo, come ad esempio il disgusto. Hanno così aggiunto al paradigma sperimentale utilizzato nella ricerca del 2008 anche una disgust condition: oltre ad un filmato elicitante tristezza e ad un filmato “neutro”, ai soggetti è stato mostrato un terzo filmato, elicitante disgusto (un videoclip su un bagno sporco). I partecipanti hanno poi dovuto scegliere tra un compenso compreso tra gli 11$ e gli 80$, che avrebbero ricevuto immediatamente in contanti, e un compenso maggiore (tra i 25$ e gli 85$) che avrebbero ricevuto invece più tardi, in un periodo compreso tra la settimana e i sei mesi successivi. Come previsto, i soggetti nella condizione tristezza erano coloro che dimostravano più impazienza nella decisione finale e accettavano il compenso immediato. I partecipanti “disgustati”, invece, si comportavano esattamente come i soggetti nella condizione neutra, a dimostrazione del fatto che la responsabile della myopic misery sia unicamente l’emozione in questione.

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In un secondo esperimento un compito analogo è stato somministrato via internet ad un campione internazionale di soggetti. Prima di prendere la decisione “economica”, i partecipanti dovevano scrivere su un foglio tutto ciò che veniva loro in mente pensando alla scelta che avrebbero dovuto fare. Successivamente ogni partecipante doveva segnalare quali, tra i pensieri registrati, aveva effettivamente favorito la decisione di prendere il denaro subito piuttosto che di aspettare. L’ipotesi qui era che la tristezza potesse facilitare la generazione di giustificazioni per la scelta affrettata: ed è proprio quello che è stato osservato. Le ragioni a sostegno della scelta di un compenso immediato erano più frequenti e venivano in mente più velocemente nei soggetti tristi.

 Ma il senso di impazienza generato dalla tristezza è di natura generica o si riferisce solo alle scelte che implicano un guadagno immediato? Per rispondere a questa domanda è stato condotto un ultimo esperimento, in cui è stato chiesto ai soggetti di scegliere o tra compensi minori immediati e compensi maggiori non immediati, o tra grandi compensi non immediati e compensi ancora più grandi che avrebbero ricevuto però ancora più in là nel tempo. Come risultato, la tristezza influiva sul primo tipo di decisione ma non sull’impazienza implicata nelle due opzioni di non immediato compenso (seconda decisione). È quindi probabile che questo stato d’animo accresca in generale il desiderio di fare qualcosa immediatamente.

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La tristezza, quindi, renderebbe le gratificazioni immediate più attraenti, anche qualora venga reso evidente che gratificazioni più ritardate nel tempo potrebbero portare ad un guadagno maggiore.

Questo tipo di fenomeno ha implicazioni pratiche non di poca importanza, dal momento che gran parte delle decisioni rilevanti della nostra vita vengono prese in momenti emotivamente salienti. L’amore ci spinge a fare e ad accettare proposte di matrimonio, la rabbia ci spinge a licenziare o rifiutare qualcuno, e via dicendo: spesso specifiche emozioni sono indissolubilmente legate alle scelte che facciamo. Pensate alla tristezza provata dopo un lutto e a tutte le decisioni di natura economico/organizzativa che devono essere prese per il funerale, o al famoso “shopping terapeutico”, ossia la tendenza a dedicarsi alle spese per riparare ad uno stato d’animo negativo (quanto possono essere dannose, a tal proposito, le sempre più usate carte di credito?). Le scoperte di Lerner e colleghi potrebbero fornire valide indicazioni su come migliorare queste “conseguenze decisionali” e gli stessi contesti in cui esse vengono solitamente prese.

 

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