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La Mentalization Based Therapy di Fonagy e Bateman. Seminario Avanzato parte 2

La MBT prevede una forte raccomandazione a intervenire, interloquire, interrompere il paziente, chiedere tanti chiarimenti, stimolarlo continuamente.

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 01 Mar. 2013

CRONACHE LONDINESI #3

 Mentalization Based Therapy di Fonagy e Bateman

Seminario avanzato – Seconda parte.

 

La Mentalization Based Therapy di Fonagy e Bateman. Seminario Avanzato parte 2 - Peter Fonagy
Peter Fonagy Ph.D durante l’intervista rilasciata a State of Mind presso l’Anne Freud Centre di Londra.

La MBT prevede una forte raccomandazione a intervenire, interloquire, interrompere il paziente, chiedere tanti chiarimenti, stimolarlo continuamente. Una tecnica molto attiva e al tempo stesso poco direttiva. Al paziente è lasciata sempre la scelta degli argomenti

LEGGI L’INTRODUZIONELEGGI LA PRIMA PARTE

Non ci sono molte novità in questo secondo giorno di corso avanzato di Mentalization Based Therapy (MBT). Ci si esercita guardando video, facendo simulate e discutendo in gruppo. Oppure ascoltando Fonagy e Bateman, che rifilano un altro paio di randellate al freudismo. Date le poche novità sarò breve, anche perché sono appena tornato in aereo da Londra e sono stanco morto.

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Dicevo delle randellate. Fonagy dice chiaramente ed esplicitamente che la sua MBT non è una terapia psicodinamica. Lo hanno già detto ieri e lo ribadiscono. Mi chiedo: ma lo dicono tutti i giorni? Ancora una volta fa impressione sentire questo nell’Istituto Anna Freud. È davvero un segno del tempo che passa.

La cocaina, Freud e la lezione dei maestri. - Immagine: licenza Creative Commons, Autore: http://www.flickr.com/photos/ajourneyroundmyskull/
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Non basta. Fonagy ci racconta anche della sua supervisora di tanto tempo, una freudiana ortodossa dal forte accento viennese. Anche questo fa impressione: Fonagy, penso, ha fatto in tempo a entrare in contatto diretto con alcuni membri del gruppo storico di viennesi che, fuggendo dall’Austria occupata dal Terzo Reich, emigrò a Londra. Avrà anche conosciuto direttamente Anna Freud, Melanie Klein, Ernest Jones e poi Winnicot, Fairbairn, Balint e tutta la compagnia. Mi pare plausibile, e avrei voluto chiederglielo.

Però è stato meglio non chiederglielo, dato che il racconto di Fonagy è divertente e triste al tempo stesso. Questa supervisora era una piccoletta autoritaria che si sistemava su una sedia altissima e piazzava, terrorizzandolo, il supervisionato su una sedia bassissima. Dopodiché affliggeva il disgraziato con degli sprezzanti “What did you saaaayyyy?” con inimitabile accento viennese. E Fonagy conclude dicendo testualmente che in quella maniera imparò poco. Che come giudizio sulla formazione analitica ricevuta mi pare una bella mazzata.

E continua così: per tutto il corso ci sono distanziamenti dall’analisi. La MBT prevede una forte raccomandazione a intervenire, interloquire, interrompere il paziente, chiedere tanti chiarimenti, stimolarlo continuamente. Una tecnica molto attiva e al tempo stesso poco direttiva. Al paziente è lasciata sempre la scelta degli argomenti.

Non ci sono solo chiarimenti in questa terapia, però. Il terapeuta MBT può anche invitare a ipotizzare spiegazioni diverse sugli stati mentali propri e altrui. E in alcuni casi fa qualcosa che si chiama “challenging”.

Il “challenging” non mi è chiarissimo come concetto. Se ho ben capito il terapeuta fa “challenging” quando esprime un punto di vista differente sul contenuto o la congruenza di uno stato d’animo. Somiglia alla confrontazione di Kernberg e forse al disputing cognitivo, anche se Fonagy ci tiene a dire che non è la disputa cognitiva. La quale per lui è soprattutto la disputa logico-empirica alla Beck e non quella pragmatica ed emotiva di Ellis.

La Mentalization Based Therapy di Fonagy e Bateman. Seminario Avanzato parte 2 - Antohny Bateman
Anthony Bateman presso l’Anne Freud Centre di Londra, codidatta di Fonagy nel corso avanzato di Mentalizazion Based Therapy

In conclusione, Fonagy propone un trattamento semplicissimo riassumibile in un unico intervento: invitare il paziente a mentalizzare, a saper riformulare tutto quel che riporta in forma di stato mentale, in modo da imparare a riconoscere la natura mentale e interna dei sentimenti intensissimi e dolorosi che mostra.

Inviti a riformulare diversamente sembano meno presenti. Fonagy privilegia il riconoscimento degli stati d’animo. Anche se poi il challenging è un invito a una visione diversa.

In conclusione, la MBT è una terapia che concepisce la psiche come elaborazione cognitiva e percezione cosciente emotiva. D’inconscio e di dinamico non c’è nulla. Mentre il transfert è ridotto a fenomeno interpersonale possibile tra i tanti che possono accadere, senza un valore particolare. Come poi lo stesso Fonagy ribadisce nell’intervista che ha concesso a State of Mind e che pubblicheremo a breve, la MBT non è una terapia analitica e nemmeno dinamica.

 

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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