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Recensione: Il Bambino Indaco – Un Caso di Maternità Impossibile

Recensione de Il Bambino Indaco. Vicenda drammatica di una gravidanza che la futura madre investe di un significato particolare e un bambino indaco.

Di Gianluca Frazzoni

Pubblicato il 21 Mar. 2013

 

Recensione: Il Bambino Indaco - un caso di maternità impossibile
Franzoso M. (2012). Il Bambino Indaco. Milano: Einaudi – Copertina del Libro

Recensione de Il Bambino Indaco. Vicenda drammatica di una gravidanza che la futura madre investe di un significato particolare e un bambino indaco.

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Il Bambino Indaco, romanzo del 2012 di Marco Franzoso, si apre col ritrovamento del cadavere di una donna, la moglie del protagonista; nella stanza accanto, la madre dell’uomo in grave stato di shock. Inizia in questo modo la ricostruzione di una vicenda drammatica che nasce da un appuntamento al buio, le prime parole di una storia d’amore e una gravidanza che la futura madre investe di un significato particolare: verrà alla luce un bambino indaco, una di quelle creature che secondo la dottrina New Age possiedono qualità speciali e soprannaturali venendo inviate sulla Terra per portare nuova purezza.

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Isabel perde progressivamente il contatto con la realtà, rifiuta di mangiare cibi solidi perché potrebbero danneggiare la perfetta armonia del feto, dimagrisce a vista d’occhio e fa scivolare il marito in un’angoscia che lo rende inerme, incapace di agire.

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Arriva il giorno del parto, arrivano i primi mesi del neonato e la missione delirante di Isabel non accenna a modificarsi, nemmeno quando il bambino le viene tolto perché denutrito; in un crescendo di alienazione dal reale la mente della donna produce il più surreale dei gesti, far ingoiare terra al figlio per purgarlo dai cibi che il padre aveva reintrodotto nella sua nutrizione. Fino all’epilogo disperato.

David Foster Wallace. - Immagine: Licenza Creative Commons CC-BY-SA-2.0. Fonte: Wikipedia Italia
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Il Bambino Indaco esplora un tema complesso utilizzando un linguaggio asciutto, rapido, capace di rendere il crescente smarrimento del protagonista e l’inarrestabile spirale di follia che avvolge la maternità di Isabel; Il Bambino Indaco diventa forse meno incisivo nella parte finale, quando Franzoso descrive la vita che nasce dalla morte, gli anni successivi alla tragedia durante i quali il bambino riesce a raggiungere una faticosa normalità e il padre a mettersi alle spalle ciò che lo aveva cambiato per sempre.

In questi passaggi la narrazione privilegia una sintesi che assottiglia il percorso evolutivo dei personaggi, finendo per racchiudere le molteplici sfumature dell’intreccio in poche pagine scarne la cui funzione di chiusura è troppo definita.

E’ altresì vero che l’intento del libro è raccontare le emozioni oscure, paradossali che si accompagnano al diventare madre, i conflitti di una donna che non può accogliere il cambiamento poiché tormentata da angosce irrisolte, l’impossibilità di tollerare l’imperfezione e l’imprevedibile.

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 Non è raro nell’esperienza di terapeuti incontrare aspettative simili, sebbene meno esasperate, che impediscono ai genitori dei nostri pazienti di accettare i limiti del vissuto umano, l’ordinarietà della natura che tutti noi, venendo al mondo, incarniamo.

Il Bambino Indaco è una lettura interessante perché descrive con l’immediatezza di una buona prosa il nucleo centrale della genitorialità e si serve di una parabola drammatica che accentua le conseguenze del caso particolare stimolando la riflessione sul significato generale: quanto è difficile non controllare ciò che noi stessi abbiamo creato, fronteggiare l’ansia di sapere che nessuno, nemmeno un figlio che abbiamo voluto con forza per arricchire il nostro progetto esistenziale, possiede un colore speciale che lo preserva dai complessi accadimenti dell’esperienza umana?

Il pensiero conclusivo del protagonista, che non ha più attese per il futuro e sente che lo scopo ultimo della vita è non avere più attese, appare come la resa incondizionata all’inutilità del controllo, della previsione. Il disincanto, e insieme l’ascetismo, dopo la follia.

 

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