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Il Colloquio Psicologico – La Comunicazione Terapeutica #2

Non può esservi terapia senza fiducia. Questa deve essere il primo obiettivo di qualsiasi colloquio psicologico.

Di Gabriele Caselli

Pubblicato il 05 Feb. 2013

Aggiornato il 20 Feb. 2013 10:56

LEGGI LA PRIMA PARTE DELL’ARTICOLO

Il Colloquio Psicologico – I Principi della Comunicazione Terapeutica #2. - Immagine: © olly - Fotolia.comINTERDIPENDENZA E INDIPENDENZA DEI CANALI COMUNICATIVI

 “Un guerriero della luce non ripete sempre la stessa lotta: soprattutto quando nota di non andare né avanti né indietro”

[Coelho, Manuale del guerriero della luce, 1997, p.98]

Si riconoscono tre canali comunicativi per tre repertori di risposta che sono: le emozioni, i comportamenti e i pensieri. Ciascuno di questi è legato a un preciso correlato neuro-fisiologico che è rappresentato rispettivamente dal sistema viscerale-autonomico per le emozioni, da quello motorio-volontario per i comportamenti e da quello corticale-cognitivo per i pensieri e le verbalizzazioni [Leoni, 2003; Anchisi e Gambotto Dessy, 1995].

Questi tre canali comunicativi sono in un rapporto di interdipendenza tra loro.

Qualsiasi cambiamento in ognuno di essi implica una variazione di entità variabile negli altri. La risposta viscerale ed emotiva, per esempio, implica una reazione comportamentale a questo stimolo ma determina anche un processo cognitivo di analisi di tale emozione. Allo stesso modo i comportamenti e i pensieri possono agire a feedback influenzando le emozioni provate. Questo meccanismo, in coloro che soffrono di disturbi psicologici è particolarmente evidente in quanto si mantiene stabile in un circuito negativo che porta al mantenimento degli schemi emotivi, cognitivi e comportamentali della malattia.

I Principi della Comunicazione Terapeutica. - Immagine: © Adam Gregor - Fotolia.com
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Questa interdipendenza reciproca può essere osservata, ad esempio, nel ciclo di mantenimento del DAP (Disturbo da Attacchi di Panico) in cui a reazioni d’allarme emotive quali palpitazioni, tremori, sensazioni di svenimento ecc… si associano comportamenti di isolamento e di evitamento e pensieri legati alla paura di perdere il controllo, di morire e di impazzire [Rovetto, 2003]. Ognuno di questi canali comunicativi influenza gli altri due mantenendo queste reazioni. Per questo motivo l’obiettivo deve essere quello di rompere questo circuito e sostituirlo gradualmente con uno alternativo in cui l’interdipendenza sostenga uno schema di relazioni reciproche comportamentali-cognitive-emotive che siano positive e favoriscano il benessere del paziente.

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Questa conclusione potrebbe far pensare che sia sufficiente agire su uno di questi canali comunicativi per poter raggiungere la scomparsa del sintomo anche negli altri. In realtà non è così. Diverse ricerche hanno dimostrato un certo grado di indipendenza di questi tre aspetti della personalità [Rachman e Hodgson, 1974] che rende impossibile affrontare il sintomo prendendo in considerazione solo un canale e considerarlo come il “tutto” problematico. Lo psicologo deve concentrarsi sul “tutto” nella sua complessità. Gli aspetti cognitivi, emotivi e comportamentali, nonostante siano in parte interdipendenti tra loro, devono essere tutti trattati perché si arrivi alla scomparsa del disturbo.

FAR CONDURRE L’INTERAZIONE

 “Talvolta un guerriero della luce pensa: <Quello che non farò io, non sarà fatto.>

Non è così: egli deve agire,ma deve anche lasciare che l’Universo intervenga al momento debito”.

[Coelho, Manuale del guerriero della luce, 1997, p.48]

Visto che deve essere il paziente a scoprire la soluzione, a percorrere la strada e a promuovere il suo stesso cambiamento è indispensabile che sia lui a guidare l’interazione con il terapeuta. Questo principio è stato oggetto di forti discussioni in quanto al suo interno si pone in essere la dicotomia tra approccio direttivo e non-direttivo. In realtà l’utilizzo di un approccio direttivo, se non estremo, come quello adottato dai creatori del colloquio di motivazione non impedisce di lasciar condurre l’interazione al paziente e si limita ad essere semplicemente più diretto negli interventi dello psicologo. Questa necessità è importante soprattutto nel primo colloquio poiché costituisce la strategia attraverso la quale è possibile comprendere con maggior chiarezza e maggior profondità le caratteristiche della personalità del soggetto, permette di osservare la sua visione del mondo dal suo punto di vista,  permette di attivare una relazione empatica. Lasciare l’interazione nelle mani del paziente è necessario anche per favorire lo sviluppo di un rapporto di fiducia, elemento chiave per il buon esito della terapia e obiettivo principale del primo colloquio. Inoltre bisogna tenere a mente che il paziente giunge dallo psicologo con problemi e aspettative specifiche che è necessario tenere presente e a cui deve essere data la priorità.

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 “La spada del guerriero della luce è nelle sue mani”.

[Coelho, Manuale del guerriero della luce, 1997, p.96]

Se lo psicologo vuole che il paziente acquisti le capacità del guerriero della luce non deve privarlo della spada, non deve fare vedere come lui la usa o farsi imitare ma deve sostenerlo nel suo addestramento. Se il paziente deve diventare un guerriero della luce non può lasciare l’elsa nelle mani dello psicologo.

CONQUISTARE LA FIDUCIA

“Quando vince una battaglia il guerriero festeggia. […] Ma il guerriero conosce il motivo di questo suo gesto. Egli gode del miglior dono che la vittoria possa portare: la fiducia”.

[Coelho, Manuale del guerriero della luce, 1997, p.124]

Non può esservi terapia senza fiducia. Questa deve essere il primo obiettivo di qualsiasi colloquio psicologico e costituisce una base essenziale indipendente dall’orientamento professionale dello psicologo.

Per Fine e Glasser [1996] la fiducia è “uno stato d’animo che il paziente sperimenta quando è convinto che tutto ciò che il professionista sta facendo è nell’interesse del paziente, anche quando quest’ultimo non ne comprende a pieno il significato”, è un senso di accettazione completa che lentamente porta il paziente ad aprirsi allo psicologo senza paura di veder usato ciò che dice contro di sé. Questo rapporto è il prerequisito perché si possa pensare a porre in atto una terapia vera e propria.

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Come fare a sviluppare un rapporto di fiducia? Gli elementi che forniscono solide basi per la sua costruzione sono [Fine e Glasser, 1996]:

1) L’Onestà: lo psicologo deve essere aperto e sincero con il paziente, deve farlo sentire a proprio agio, deve mostrare per primo la sua fiducia indipendentemente dalle caratteristiche di reticenza e inattendibilità del soggetto. Deve quindi impegnarsi a mostrare un senso di accettazione totale che va al di là di ciò che viene narrato. Solo in questo modo il paziente si aprirà gradualmente allo psicologo. Spesso questo atteggiamento comporta la necessità di aprirsi anche per lo psicologo. In tal caso deve dare risposta alle curiosità del paziente sulla propria vita evitando, però, di centrare l’attenzione su di sé. E’ più difficile gestire le richieste riguardanti i propri atteggiamenti e valori. Gli Autori consigliano, in proposito, di chiarire al paziente che il supporto, l’aiuto e il rispetto garantito dallo psicologo è qualcosa che va al di là delle differenze nei valori individuali.

“Il guerriero della luce è affidabile. Commette alcuni errori, a volte si giudica più importante di quanto realmente sia. Ma non mente.”

[Coelho, Manuale del guerriero della luce, 1997, p.79] 

2) Seguire il flusso delle parole: è sempre meglio utilizzare, almeno nel corso del primo colloquio, domande aperte che permettano al paziente di esporre il problema dal proprio punto di vista consentendo di chiarire come lo ha vissuto ed affrontato fino al momento dell’inizio della terapia. E’  importante accettare la definizione che il paziente da del suo problema, almeno inizialmente, poiché ci permette di instaurare il rapporto di fiducia. Svalutare, negare e respingere la definizione del paziente prima che la relazione sia consolidata può annullare qualsiasi possibilità di costruire un rapporto di fiducia e portare anzitempo all’interruzione della terapia. La negoziazione della definizione del problema e degli obiettivi avverrà in un secondo momento, quando la fiducia sarà già stata conquistata.

3) La catarsi: uno dei momenti del colloquio in cui lo psicologo ha la possibilità di mostrare questo grande senso di accettazione e di sostegno, e di favorire così la conquista della fiducia del paziente è lo sfogo catartico. Questo è il momento in cui il paziente si libera dei suoi problemi e di ciò che lo angoscia parlandone apertamente con un fluire di parole e di sentimenti (spesso accompagnato da un pianto liberatorio) che genera, al termine, uno stato di sollievo, anche se temporaneo. Il verificarsi della catarsi è, di per sé, indice che il paziente sta iniziando a porre fiducia nello psicologo. Il compito di quest’ultimo è innanzitutto quello di ascoltare (mostrandolo anche attraverso la propria espressione corporea) senza interrompere il libero fluire di pensieri ma cercando di comprendere ciò che il paziente sta provando. Solo successivamente dovrà affrontare le cause del disagio. Se il paziente avverte il supporto del counselor nel corso di quest’esperienza il rapporto tra i due ne uscirà rafforzato per la condivisione di un’esperienza emotiva molto intensa.

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4) Seguire le priorità del paziente: il paziente giunge dallo psicologo con un problema, e lo psicologo deve occuparsi di quel problema anche se ritiene che le difficoltà del paziente siano legate ad altre questioni. Il professionista non deve negare il problema, poiché la sua priorità non è quella di far capire il problema reale al paziente ma quella di mostrare la sua accettazione e il suo supporto, quella di conquistare la sua fiducia. Anche perché senza fiducia ogni tentativo di far vedere il reale problema al paziente è destinato al fallimento.

 “Il guerriero della luce si preoccupa di coloro che pensano di conoscere il cammino.”

[Coelho, Manuale del guerriero della luce, 1997, p.112]

 5) Partecipazione: un altro modo per guadagnare la fiducia del paziente è quello di identificarsi con alcuni suoi comportamenti e modi di parlare. Questo si può realizzare semplicemente imitando alcuni suoi gesti, la sua postura ecc… senza dare l’impressione di una messinscena ma facendoli apparire del tutto naturali.

6) Le Informazioni: per mostrare al paziente l’interesse per la sua persona è possibile preoccuparsi di ciò che egli ha bisogno sapendo fornire informazioni che potrebbero aiutarlo. Queste informazioni possono riguardare sia dati che aiutino il paziente a osservare un problema da nuove prospettive, sia informazioni che possono aiutarlo a risolvere un qualsiasi problema pratico fornendo il contatto con uno specialista di fiducia.

“<Ricordati di una cosa,> risponde il maestro. <Ciò che fa annegare non è l’immersione , ma il fatto di rimanere sott’acqua.>”

[Coelho, Manuale del guerriero della luce, 1997, p.84] 

7) La risposta di insight: rappresenta la sensazione che il paziente avverte quando percepisce una nuova prospettiva attraverso la quale osservare il problema che lo ha afflitto. Spesso si sviluppa in seguito ad un affermazione cruciale dello psicologo che accende una sorta di lampadina nella mente del paziente facendo improvvisamente luce su aspetti fino ad allora rimasti nell’ombra. Oltre ad aiutare il paziente nella comprensione del proprio problema, questo è anche il mezzo più efficace per dare un feedback sull’interesse e l’attenzione fornita dal professionista.

“A poco a poco, tutto ciò che sembrava complicato diventa semplice. E il guerriero ne gioisce.”

[Coelho, Manuale del guerriero della luce, 1997, p.111]

8) La speranza: un ultimo aspetto rilevante per la costruzione di un rapporto di fiducia riguarda la capacità del terapeuta di mostrare (e non dire) che il paziente si è affidato a un professionista che ha già affrontato problemi simili con successo. Lo psicologo deve essere in grado di trasmettere un senso di speranza nei confronti del buon esito della terapia, un senso che fonda buona parte dell’effettivo successo finale.

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“Un guerriero della luce ha sempre una seconda opportunità nella vita. Come tutti gli altri uomini e le altre donne, egli non è nato sapendo già maneggiare la spada. Ha sbagliato molte volte, prima di scoprire la propria Leggenda Personale.”

[Coelho, Manuale del guerriero della luce, 1997, p.100]

Queste rappresentano le vie attraverso le quali si può favorire l’instaurarsi di un rapporto di fiducia tra professionista e paziente caratterizzato da una graduale apertura di quest’ultimo verso aspetti di sé sempre più intimi e centrali nella risoluzione del problema.

Questa necessità è tanto rilevante che molti autori la ritengono imprescindibile per la messa in atto di una terapia. Solo quando il terapeuta è certo della forza del rapporto di fiducia stabilito con il paziente può orientare la sua attenzione verso la realizzazione di altri obiettivi.

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Gabriele Caselli
Gabriele Caselli

Direttore scientifico Gruppo Studi Cognitivi, Professore di Psicologia Clinica presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna

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