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Quando Tiziano Terzani rifiutò il Prozac.

Tiziano Terzani non assunse mai quelle pillole. Affrontò il proprio malessere “levandosi dal mondo”, per tre mesi in una casa nella foresta.

Di Gaspare Palmieri

Pubblicato il 22 Gen. 2013

 

Tiziano Terzani.
Tiziano Terzani (1938-2004).

Tiziano Terzani non assunse mai quelle pillole. Affrontò il proprio malessere “levandosi dal mondo”, per tre mesi in una casa nella foresta.

Nel libro-intervista pubblicato postumo La fine è il mio inizio (2006), il compianto reporter e scrittore Tiziano Terzani (1938-2004) racconta al figlio Folco che, in seguito a un lungo soggiorno in Giappone, sviluppò una brutta depressione reattiva, causata da apparenti motivazioni ambientali.

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All’epoca dei fatti era già espertissimo di Asia, dove aveva risieduto in vari Paesi, lavorando come corrispondente, ma questa volta sembrava non tollerare la delusione di assistere alla deriva di una cultura millenaria, naufragata in uno stile di vita tutto improntato a una competitività esasperata con l’Occidente, dove l’umanità era standardizzata e il tasso di suicidi cresceva di pari passo al PIL.

Una depressione da disillusione? Il lamento di un intellettuale (sempre di prima linea, mai da biblioteca) indignato? Lo scontro frontale con la realtà di un idealista?

Nell’intervista racconta “Sentivo che ero diventato come un giapponese, nel senso che non ero più io…mi alzavo la mattina con il peso del mondo sulla schiena…”. Si era persino messo a giocare in Borsa, attività lontanissima dai sui normali interessi, decisamente più umanistici e antropologici.

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Tornato in Europa, decise di consultare un noto psichiatra pisano che, pur non riconoscendo in Tiziano Terzani una depressione clinicamente grave (“Se è depresso lei, sono depressi tutti. Ce ne sono migliaia come lei…”) gli prescrisse il Prozac, da prendere nel caso in cui la sofferenza psichica fosse divenuta insopportabile. Il giornalista non assunse mai quelle pillole e anzi le somministrò al cane morente, come eutanasia. Scelse invece di affrontare il proprio malessere “levandosi dal mondo”, proprio lui che si descriveva come persona estremamente socievole, andando a vivere come un eremita per tre mesi in una casa nella foresta, ai piedi del monte Fuji.

Questo levarsi dal mondo, per periodi più o meno lunghi, ricorrerà anche successivamente, soprattutto negli ultimi anni della sua vita, quando Tiziano Terzani si trovò ad affrontare il cancro, raccontato in Un altro giro di giostra (2004).

La mancata compliance di Tiziano Terzani all’antidepressivo e il suo modo di affrontare un momento così difficile mi hanno colpito molto, facendomi riflettere su come l’attuale epidemia depressiva del mondo occidentale, non sia soltanto una questione di neurotrasmettitori e di recettori, bersaglio dei farmaci, né solo di pensieri, emozioni o stati mentali disfunzionali, su cui tentano di incidere le diverse psicoterapie. C’è qualcosa di più profondo.

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Viene da chiedersi infatti quali siano i meccanismi sociali e relazionali che portano a questa emorragia di neurotramettitori o allo sviluppo di questi stati mentali disfunzionali. Il solito stress della vita postmoderna? E poi disfunzionali rispetto a cosa, a quale tipo di mondo? Siamo sicuri che il nostro mondo occidentale, al quale si riferisce la funzionalità, sia l’ambiente ideale per la nostra mente?

  Rispetto a quadri psichiatrici ben definiti (almeno nosograficamente) più tipici del passato come la schizofrenia, la depressione maggiore, il disturbo bipolare, sempre più spesso, nel mio lavoro di psichiatra, mi trovo di fronte a situazioni di crisi di persone che avevano funzionato bene fino a poco tempo prima. La crisi dell’adolescente (che oggi può avere anche 50 anni) che non riesce a trovare il proprio posto nel mondo, la crisi dell’anziano che ha perso ogni ruolo sociale e si sente solo e inutile, la crisi della coppia, la crisi del disoccupato, la crisi del diverso (omosessuali, immigrati e minoranze varie). Il tutto frequentemente condito con le più svariate forme di dipendenza (alcol, sostanze stupefacenti, farmaci, gioco d’azzardo, internet, etc.), come strategia autoterapeutica di primo livello.

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Oggi i cambiamenti, voluti o no, sono all’ordine del giorno e ho l’impressione che una diffusa vulnerabilità non ci permetta di affrontarli, altrimenti non ci spiegheremmo come persone apparentemente sane finiscano al pronto soccorso per un’ingestione incongrua di farmaci a scopo autolesivo dopo una delusione sentimentale, come ci siano adulti completamente incapaci di svolgere un ruolo genitoriale, come ci siano leader dei più svariati ambiti incapaci di sostenere la responsabilità del comando. Tutti questi individui in crisi riempiono le sale d’aspetto degli psichiatri che, spesso con incolpevole approssimazione, se ritengono che il livello di sofferenza sia meritorio, prescrivono il farmaco. Nulla di male per carità, il farmaco viene prodotto come rimedio dalla nostra stessa società che crea il disagio, con la finalità di oliare meglio i meccanismi e riportare il sistema alla massima efficienza.

Come osserva Tiziano Terzani (2004) “Gli psicanalisti (ma il discorso è assolutamente estensibile anche a psichiatri, psicologi e psicoterapeuti in genere n.d.a.) considerano loro compito riadattare i pazienti alla società, invece di cambiare la società per adattarla ai bisogni dell’umanità in genere”.

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E’ chiaro che cambiare la società per adattarla ai bisogni dell’umanità in genere non è proprio un compito semplice, e di certo non è esclusivo di chi lavora ogni giorno, secondo le proprie competenze, per alleviare il disagio psichico del pianeta.

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Potrebbe essere utile però, anche con finalità preventive, iniziare a prendere consapevolezza di quanto un sistema sociale basato sull’individualismo e sulla perdita del concetto di comunità incida sulla diffusione e sul decorso dei disturbi psichiatrici, di quanto il fallimento dei sistemi educativi porti inevitabilmente a gravi disagi psicologici e comportamenti antisociali, di come il vuoto interiore causato dall’aderire in modo totalizzante a un sistema di vita consumistico crei solo una ricca e grassa infelicità.

Tiziano Terzani ci mette inoltre in guardia nei confronti del fanatismo scientifico, dell’illusione del progresso e ci invita a ricordarci di come la scienza in quanto tale, che si spinge a vivisezionare la realtà in parti sempre più piccole e disgiunte le une dalle altre, sia solo una delle possibili lenti con cui guardare il mondo. La scienza ha preso il posto della religione nel mondo occidentale, è il nuovo “oppio dei popoli”. Ma quel’ è il prezzo che stiamo pagando per questa progressiva sostituzione? Siamo sicuri che ci troviamo sul sentiero giusto? Ma soprattutto, dove ci porterà?

Alle rappresentazioni parziali e frammentarie, frutto dell’enorme impegno scientifico profuso dalla parte ricca del pianeta, il giornalista contrappone la millenaria sapienza indiana del non dualismo, del sentirsi parte di un tutto, perché è proprio il sentirsi troppo liberi, disgiunti da tutto il resto del mondo, a causare un gran senso di solitudine e tristezza.

 

  Ma come è possibile guardare la realtà con uno sguardo diverso e capire che nel profondo non siamo disgiunti dagli altri e dal mondo che ci circonda?

Tiziano Terzani ci invita a guardare ad Oriente, non alla ricerca dell’ultima moda new-age, ma per renderci conto di come da quelle parti esistano da millenni discipline (come lo yoga, il buddismo, lo zen, il taoismo e il tantrismo) finalizzate al risveglio e alla trasformazione della mente, volte a tacitare quell’io che produce la dualità, permettendo di ascoltare un altro Sé presente dentro di noi (Germani, 2008).

Il principale dualismo occidentale, al quale la nostra medicina è tuttora saldamente ancorata è quello cartesiano, che vede il corpo e la mente come due entità separate, mentre è sempre più evidente, anche secondo rigorosi studi della scienza occidentale (Lutz et al, 2004, Tange et al, 2012), come sia la mente a controllare la materia.

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La tecnica esplorativa che accomuna le diverse discipline orientali è la meditazione, che determina un’acquietamento psicosensoriale e lo spostamento dell’attenzione dall’esterno all’interno, permettendo di  diventare spettatori distaccati della propria mente.

Lo spettacolo potrebbe essere davvero interessante perché come dice Tiziano Terzani “Quel che è fuori è anche dentro, ciò che non è dentro, non è da nessuna parte”.

 

APPROFONDIMENTO:

 

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