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Fidarsi o Non Fidarsi? Quando Percepiamo un’Informazione come Vera

Fidarsi o Non Fidarsi?Anche le decisioni "intuitive", "di pancia", non sono poi così semplici ed immediate come sembrano.

Di Alessandra Piccolini

Pubblicato il 09 Gen. 2013

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Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

Fidarsi o Non Fidarsi?

Un secolo di ricerche condotte al fine di indagare perché valutiamo le informazioni come vere piuttosto che false ha tuttavia dimostrato che anche queste decisioni “intuitive”, “di pancia”, non sono poi così semplici ed immediate come sembrano.

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Quante volte, leggendo una notizia sul giornale o ascoltando il discorso di un politico in tv, ci siamo chiesti: “Sarà vero? Posso fidarmi?”. E quante volte ci è stato consigliato, in assenza di prove concrete a sostegno dell’informazione letta o sentita, “Fidati semplicemente del tuo istinto”?

Un secolo di ricerche condotte al fine di indagare perché valutiamo le informazioni come vere piuttosto che false ha tuttavia dimostrato che anche queste decisioni “intuitive”, “di pancia”, non sono poi così semplici ed immediate come sembrano.

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Si tratta infatti di giudizi influenzabili da numerosi fattori, quali credenze generali, pregiudizi, aspettative, caratteristiche del contesto e aspetti di esperienze vissute nel passato, che interagiscono con la valutazione presente rendendo alcuni ricordi più disponibili rispetto ad altri (Bransford & Johnson, 1972; Henkel & Mather, 2007; Kunst-Wilson & Zajonc, 1980).

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Ma c’è di più. Immaginate per un momento di dover valutare come vera o falsa la frase “John Key è vivo”. È molto probabile che non abbiate idea di chi si tratti. In assenza di immagini o ricordi su chi sia questo personaggio, l’unica opzione che vi rimane è indovinare. La letteratura in campo cognitivo ha tuttavia dimostrato che siamo più propensi a giudicare un’affermazione di tale tipo come vera quando ci vengono date informazioni aggiuntive, anche se queste non forniscono alcuna prova della sua veridicità. In altre parole, se ci venisse mostrata una foto di John Key, saremmo più propensi a credere che è vivo realmente (nonostante questa, di per sé, non lo dimostri).

Eryn Newman e colleghi hanno recentemente condotto uno studio molto interessante proprio al fine di chiarire questo fenomeno (Newman, Garry, Bernstein, Kantner & Lindsay, 2012). In due sessioni iniziali venivano mostrati ai soggetti sperimentali nomi di celebrità famose o poco note, accompagnati dalla frase “è vivo” oppure “è morto” (metà delle celebrità riportate erano realmente vive). Ad alcune frasi veniva affiancata la foto del personaggio in questione, ad altre no. Come previsto dai ricercatori, nei caso di personaggi poco conosciuti la presenza della foto aumentava la probabilità che l’affermazione venisse considerata vera. È curioso il fatto che le foto promuovessero un “effetto verità” anche quando affiancate a frasi del tipo “Il personaggio X è morto” (si credeva inizialmente che le foto avrebbero portato più facilmente a considerare un personaggio ancora vivo, effetto che non si è verificato).

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In un ulteriore esperimento gli autori hanno dimostrato come fosse possibile ottenere un risultato del tutto analogo accompagnando le stesse affermazioni non con le foto dei personaggi, ma con delle informazioni aggiuntive, che ne elencassero le caratteristiche (es. “Ha i capelli corti e castani, gli occhi verdi, è un leader politico”). È stato così dimostrato come l'”effetto verità” fosse generalizzabile anche ad informazioni verbali che non fornissero alcuna prova all’affermazione da valutare.

Si tratta di risultati che vanno approfonditi, dal momento che vero meccanismo di funzionamento dell'”effetto verità” non è ancora stato chiarito. L’ipotesi principale avanzata dagli autori è che le fotografie o le informazioni verbali aggiuntive vengano inconsapevolmente adottate come contesto semantico dell’affermazione, fornendo così i dettagli necessari a generare “pseudoprove mentali” a suo sostegno.

Attendiamo approfondimenti, ora sicuramente più consapevoli degli errori in cui potremmo cadere nel valutare la veridicità delle informazioni che ci arrivano.

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