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Dare Significato alle Esperienze: Come si Sviluppa la Metacognizione

La Metacognizione permette all’individuo di mentalizzare, cioè vedere e capire se stesso e gli altri in termini di stati mentali.

Di Redazione

Pubblicato il 23 Gen. 2013

di Liria Valenti

Dare Significato alle Esperienze. Come si Sviluppa la Capacità Metacognitiva. - Immagine: © chocolates4me - Fotolia.comLa metacognizione permette all’individuo che la possiede di mentalizzare, cioè vedere e capire se stesso e gli altri in termini di stati mentali (sentimenti, convinzioni, intenzioni e desideri), e pensare e compiere riflessioni sul proprio e altrui comportamento.

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Attribuendo stati mentali agli altri, il bambino rende significativo e prevedibile il loro comportamento. Inoltre, una volta imparato a comprendere il comportamento altrui, diviene gradualmente capace di attuare il comportamento più appropriato per rispondere in modo adattivo ai singoli scambi interpersonali.

Tale capacità (metacognizione) è caratterizzata da una componente autoriflessiva e da una interpersonale, grazie alle quali l’individuo può distinguere la realtà interna da quella esterna, i processi intrapsichici da quelli relazionali.

Nel bambino, lo sviluppo della metacognizione, conosciuta anche come funzione riflessiva del Sé, ha inizio durante l’infanzia, momento evolutivo in cui avviene gradualmente un passaggio dai modelli mentali teleologici a quelli mentalizzati: tale passaggio dipende principalmente dalla qualità delle relazioni interpersonali tra il bambino e l’adulto che si prende cura di lui.

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La mentalizzazione, infatti, fa parte di un processo intersoggettivo tra bambino e adulto di riferimento (generalmente la madre), e avviene attraverso l’esperienza che il bambino fa di quanto i propri stati mentali siano stati capiti e pensati grazie a interazioni affettuose con il genitore; pertanto, l’emergere e il completo sviluppo della funzione riflessiva dipendono dalla capacità del genitore di percepire più o meno accuratamente le emozioni, i bisogni, le esperienze del bambino.

Pertanto, quando la madre riflette uno stato affettivo del bambino, questa percezione organizza l’esperienza del bimbo che così conosce ciò che sta provando: con il suo comportamento attribuisce uno stato mentale al figlio e lo tratta come un agente mentale. Il rispecchiamento della madre diviene la rappresentazione dell’esperienza del bambino.

Facciamo un esempio concreto. In seguito a un rumore improvviso, il bambino si spaventa, sgrana gli occhi e inizia a piangere. La madre, che collega la reazione del figlio con l’evento accaduto, lo abbraccia, lo consola, lo tranquillizza accompagnando il contatto fisico con parole di rispecchiamento e conforto (“era un rumore, ti sei spaventato”, “non preoccuparti, è passato”); il bambino si calma e smette di piangere. In tal modo, grazie al comportamento di rispecchiamento della madre, egli può comprendere la sua esperienza emotiva (paura) e conoscere lo stimolo che l’ha causata (rumore improvviso).

L’esempio illustrato mostra, dunque, una risposta materna adeguata al disagio sperimentato dal bambino, e presuppone che la madre stessa abbia sviluppato una buona metacognizione: pur non spaventandosi in seguito al rumore improvviso, può immaginare che un’altra persona, nello specifico un bimbo piccolo, possa percepire le cose in modo diverso (sentire paura). Ripetute esperienze di relazione positiva tra madre e figlio creano un contesto favorevole per l’acquisizione e lo sviluppo della metacognizione.

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 Può succedere, invece, che l’adulto che si prende cura del piccolo fornisca una risposta inadeguata: pensando all’episodio del rumore che genera paura, la madre potrebbe reagire aggredendo il bambino e urlandogli di smetterla.

In questo caso, il bimbo si sentirebbe spaesato, piuttosto che accolto e rassicurato, e l’effetto sul suo comportamento sarebbe molto probabilmente un aumento della paura e del pianto correlato; a lungo andare, crescendo in un contesto relazionale in cui le proprie emozioni ed esperienze vengono frequentemente criticate e bloccate, questo bambino imparerà a ignorare le proprie sensazioni interiori fino a non percepirle neanche.

Un’altra opzione di risposta di fronte al pianto spaventato del bimbo, può essere rappresentata dall’assenza di risposta: semplicemente, l’esperienza del bambino viene ignorata dalla madre. In assenza di un rispecchiamento dell’esperienza, il bambino passerà dallo stimolo (rumore) alla risposta (pianto per paura) reagendo in modo automatico, senza effettuare una valutazione psicologica dell’evento; con molta probabilità diventerà un adulto che sperimenterà emozioni, ma non saprà collegarle a cosa le ha scaturite, e avrà pertanto difficoltà a gestirle e controllarle.

 

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