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Il Colloquio Psicologico – La Comunicazione Terapeutica #1

Il Colloquio Psicologico -Comunicazione Terapeutica: principi che costituiscono il modo di essere dello psicologo.

Di Gabriele Caselli

Pubblicato il 29 Gen. 2013

Aggiornato il 20 Feb. 2013 10:57

 

“Il guerriero sa che nessun uomo è un’isola. Non può lottare da solo. Quale sia il suo piano, dipende da altri uomini. Ha bisogno di discutere la sua strategia, di chiedere aiuto e, nei momenti di riposo, di avere qualcuno a cui raccontare le storie di battaglia intorno al fuoco.”

[Coelho, Manuale del Guerriero della Luce, 1997, p.71]

I Principi della Comunicazione Terapeutica. - Immagine: © Adam Gregor - Fotolia.comI principi di base che lo psicologo non deve mai dimenticare, sono principi che costituiscono il modo di essere dello psicologo. Essi devono essere presi come modello di comportamento indipendentemente dalla fase del colloquio che si sta affrontando, indipendentemente dal cliente, indipendentemente dal problema. Ognuno di questi principi di base ha il potere di aiutare lo psicologo a comprendere e sostenere il percorso del cliente verso il cambiamento.

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Lo psicologo è consapevole dell’importanza del suo ruolo nel processo di cambiamento del cliente perché sa che nessun uomo è un isola. E spesso il cliente crede di essere un’isola. Proprio per la consapevolezza della propria importanza lo psicologo deve prestare attenzioni ai principi della comunicazione terapeutica, la base del suo sostegno, il modo attraverso il quale i suoi propositi di essere fonte di aiuto e anche di comprensione, possono realizzarsi.

Come è stato descritto esistono diverse teorie su come debba essere affrontato un colloquio terapeutico, da quelle che pongono accento sulla forma (Rogers) a quelle che si focalizzano sul contenuto (Carkhuff). Esistono tecniche direttive e non-direttive, tecniche che lasciano completamente nelle mani del paziente la conduzione del colloquio ed altre per le quali, invece, è necessario seguire uno specifico percorso metodologico.

Il Colloquio Psicologico - Il Colloquio di Motivazione. - Immagine: © Ivelin Radkov Fotolia.com
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Da queste teorie e da queste tecniche si possono tentare di estrarre alcuni principi di base che lo psicologo non deve mai dimenticare, sono principi che costituiscono il modo di essere dello psicologo. Essi devono essere presi come modello di comportamento indipendentemente dalla fase del colloquio che si sta affrontando, indipendentemente dal cliente, indipendentemente dal problema. Ognuno di questi principi di base ha il potere di aiutare lo psicologo a comprendere e sostenere il percorso del cliente verso il cambiamento.

1. ESSERE PERSPICUI

  “Un guerriero non tenta di sembrare. Egli è”

[Coelho, Manuale del guerriero della luce, 1997, p.93]

 

Durante il colloquio psicologico è necessario essere perspicui. Per perspicuità s’intende la capacità di essere trasparenti sui fatti, di rispettare la realtà che è ostensiva e, cioè, che si mostra a noi con chiarezza. Non dobbiamo cercare di persuadere il cliente con le nostre parole (dicendo che qualcosa “è vero”) ma dobbiamo convincerlo mostrando che è così senza affermarlo. 

 “è trasparente nelle sue azioni, e segreto nei suoi piani.”

[Coelho, Manuale del guerriero della luce, 1997, p.71]

Dire che qualcosa “è vero” mostra la necessità di doverlo affermare perché si potrebbero avere dei dubbi, perché non emerge chiaramente dalla realtà e, per questo, ha un minore potere di convinzione. Allo stesso modo lo psicologo non deve dire di “essere esperto” per persuadere il cliente a seguire un suo consiglio ma deve mostrare in modo perspicuo le sue capacità ponendo a rilievo nuove prospettive da cui osservare il problema. Queste nuove prospettive, se percepite dal cliente, costituiscono possibili soluzioni del problema. Quindi essere perspicui può essere terapeutico. L’unica via veramente perspicua è quella del comportamento; l’ipotesi di lavoro, di per sé, non è perspicua ma deve essere comunque legata alla realtà e deve essere semplice e feconda.

 “Per il guerriero della luce non esiste niente di astratto”

[Coelho, Manuale del guerriero della luce, 1997, p.54]

 Essere perspicui implica la necessità di non essere interpretativi. Quando i problemi del cliente vengono interpretati si perde la trasparenza sulla realtà, si perde la capacità di mostrare le soluzioni e si è costretti ad affermarle e ad iniziare un opera di persuasione tesa a farle accettare al cliente.

In questi casi si entra nel mondo dell’astratto. Questo non solo impone al cliente una soluzione che non gli appartiene e che non trova riscontro nella realtà ma sostiene anche la dipendenza di quest’ultimo dallo psicologo. Questo perché il cliente accetta la soluzione senza vederla. Attraverso la perspicuità è il cliente a trovare la via della soluzione anche se il professionista lo ha aiutato trasmettendo le informazioni essenziali.

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2. DOVE C’È UN PROBLEMA C’È UNA SOLUZIONE

 “Chi non riconosce i problemi, lascia aperta una porta, e le tragedie sopraggiungono”

[Coelho, Manuale del guerriero della luce, 1997, p.46]

E’ importante sapere che dove c’è un problema, c’è anche una soluzione. Quest’affermazione logica sottolinea come all’interno dei dati di un problema sia presente tutto il necessario per risolverlo. Come non esiste il caldo senza il freddo, non può esistere problema senza soluzione.

Il senso comune ci fa credere che gli psicologi trovino la soluzione partendo da qualcosa di esterno al problema, ragionando a un livello trascendentale e astratto, quando, trovare la soluzione, equivale semplicemente a vedere la realtà che emerge dal problema stesso.

E’ sufficiente osservare il problema, rimanendo aderente alla realtà (mantenendosi perspicuo) per vedere che essa mostra la soluzione. La vera difficoltà è che la maggior parte dei clienti, nel corso del colloquio, osservano il problema non come tale ma come “vincolo”, come una necessità ineluttabile che è così e non può essere altrimenti, e che quindi non possiede una soluzione. Il compito dello psicologo in questi casi è quello di aiutare la persona a scoprire prospettive nuove in cui il vincolo appaia come un problema per il quale esiste una soluzione.

 

3 . FAR EMERGERE LA STATUA DAL BLOCCO DI PIETRA

“Il guerriero allora lascia che la decisione si manifesti”

[Coelho, Manuale del guerriero della luce, 1997, p.88]

Questo concetto è strettamente connesso e dipendente dai due precedenti principi. Alla luce del fatto che ogni problema possiede una propria soluzione e che possiamo farla emergere, agli occhi del cliente, dalla realtà, possiamo dire che non è lo psicologo a costruire la soluzione.

L’obiettivo del colloquio deve essere sempre quello di portare il cliente a percepire nuovi punti di vista, a individuare le soluzioni. Non è lo psicologo ad imporre una certa definizione o certe prospettive, pur riconoscendole nella realtà. Egli induce il cliente a scoprirle, fungendo solo come supporto in questa ricerca, come fonte di informazioni.

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In questo modo, rinunciando a palesare il proprio ruolo di esperto, lo psicologo favorisce l’indipendenza del cliente, il suo senso di autoefficacia e la sua motivazione nel procedere verso il cambiamento. L’aumento della motivazione al cambiamento è dettata dal fatto che il cliente vede la soluzione. Non segue un percorso tracciato da altri del quale, di fatto, non conoscerebbe la meta. La statua esiste già, è immanente al blocco di pietra; il compito del psicologo-scultore è semplicemente quello di farla emergere sempre di più, ad ogni colpo di scalpello.

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4 . LOGICA DELL’AVERE E LOGICA DELL’ESSERE

“Le corde che sono sempre in tensione finiscono per logorarsi. […] Perciò, anche se potrebbe non essere dell’umore giusto, il guerriero della luce cerca di divertirsi con le piccole cose quotidiane.”

[Coelho, Manuale del guerriero della luce, 1997, p.129]

Secondo la logica dell’avere è necessario possedere una certa cosa o raggiungere un certo stato per poter essere felici, si estremizzano affermazioni di bisogno, si confondono i bisogni reali con il desiderio, la bramosia e il capriccio. Non appena si ha qualcosa che si desidera, essa assume minore importanza e l’attenzione viene posta, sempre e comunque, su ciò che non si possiede. Ciò conduce lontano dalla felicità, che diventa irraggiungibile, e al cospetto di continue frustrazioni. Al contrario la logica dell’essere è l’atteggiamento di chi non ha nulla ma si trova comunque in una condizione di gioia, soddisfatti di sentirsi tutt’uno con il mondo.

“Il guerriero della luce presta ascolto a Lao Tzu, quando dice che dobbiamo distaccarci dall’idea dei giorni e delle ore per rivolgere sempre la nostra attenzione al minuto”

[Coelho, Manuale del guerriero della luce, 1997, p.130]

I concetti di logica dell’avere e logica dell’essere sono legati a doppio filo con i concetti di Autoefficacia e di Autostima.

L’Autefficacia è un costrutto psicologico che rappresenta ciò che la persona pensa di poter fare; è quindi qualcosa che si apprende e che è focalizzata sul risultato ottenuto attraverso comportamenti. Per questo motivo rappresenta qualcosa che il soggetto “ha”. Per esempio la frase: “io sono valido” implica “avere” la qualità di essere valido.

L’Autostima, all’opposto, è un costrutto psicologico che rappresenta ciò che la persona pensa di sé ed è centrata più sull’impegno che sul risultato. Questa caratteristica è qualcosa che fa parte di noi, che si scopre e che appartiene alla logica dell’essere. Per questo motivo rappresenta qualcosa che il soggetto “è”. Per esempio la frase: “io sono, io sono stato e io sarò” implica la scoperta che ogni persona ha valore di per sé, un valore universale indipendente da qualsiasi avvenimento. Questa è la scoperta dell’Autostima.

Questi due aspetti devono essere considerati all’interno di un colloquio orientato a raggiungere un cambiamento del cliente. Avere un’ Autoefficacia elevata vuol dire soffrire sensibilmente la frustrazione in caso di mancato raggiungimento dei risultati. Questa frustrazione può essere evitata se il soggetto possiede un’elevata Autostima. lo psicologo deve assicurarsi di intervenire sull’Autostima prima che sull’Autoefficacia. Rinforzare le regole di quest’ultima può essere un arma a doppio taglio. Per questo motivo è meglio incentivare dicendo: “stai andando bene” piuttosto che dicendo: “sei bravo/a”. In quest’ultima affermazione Autostima ed Autoefficacia vengono confuse e si rischia di sfavorire la prima e di favorire la seconda, aumentando la dipendenza del cliente dai rinforzi dello psicologo.

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Sia Autoefficacia che Autostima posseggono delle regole. In particolare le regole dell’Autoefficacia guidano il nostro comportamento mentre le regole dell’Autostima, che in realtà sono delle metaregole, affermano che, usando buone regole, si ottengono risultati e che, se non si ottengono, è necessario cambiare le regole.

La comunicazione dello psicologo deve focalizzarsi a livello di queste metaregole. Quando lo psicologo alimenta la propria convinzione in queste metaregole permetterà al cliente di vedere il fallimento come una necessità di cambiamento delle regole-guida del proprio comportamento, piuttosto che come la fonte vincolante di una frustrazione.

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Gabriele Caselli
Gabriele Caselli

Direttore scientifico Gruppo Studi Cognitivi, Professore di Psicologia Clinica presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna

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