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Dimensione Sociale e Affettività del WEB 2.0: Rischi e Risorse

Ma che cosa è il web 2.0 e perché ci piace tanto? Ma soprattutto, quali sono le risorse e i pericoli ad esso connessi?

Di Emma Fadda

Pubblicato il 15 Nov. 2012

Aggiornato il 11 Feb. 2013 11:49

 

Di Emma Fadda 

Dimensione Sociale e Affettività nei Nuovi Media- Rischi e Risorse del Web 2.0. - Immagine: © Amir Kaljikovic - Fotolia.com Ecco quindi il lato oscuro di internet, noto anche come Cybercrime, che come sottolineano gli esperti è in costante aumento in Italia, prendendo le vesti dei sempre più noti fenomeni di cattura dei dati sensibili, accesso abusivo (phishing), grooming on-line, cyberbulling, cyberstalking, ricatti ed estorsioni, frodi on-line, gioco d’azzardo e spaccio di droga on-line, pedopornografia e Social Engineering. 

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Viviamo ormai nell’ “Era di Internet”, o meglio nell’Era del “Web 2.0”. Ci troviamo di fronte a un fenomeno di grandissima portata, che ha avuto un effetto e influenzato la vita di molti, non solo i giovanissimi ma anche gli adulti over 40 e 50 che si sono lanciati nel mondo virtuale e sembrano non riuscire a vivere più senza.

Oltre il nostro pc si apre un vero e proprio mondo, una dimensione parallela a quella reale, fatta di scopi, regole, simboli e norme tutte sue, dove l’intenzione comunicativa, l’espressione emotiva e  la costruzione di legami avvengono in assenza della presenza corporea, passando attraverso parole, immagini, simboli ed emoticon.

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Ma che cosa è il web 2.0 e perché ci piace tanto? Ma soprattutto, quali sono le risorse e i pericoli ad esso connessi? Questo è il tema a cui le ACLI -Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani- della città di Cagliari, in collaborazione con l’Associazione A.Doc, hanno dedicato il Congresso tenutosi a Cagliari lo scorso 26 Ottobre, dal titolo “Reati informatici. Risorse e pericoli della comunicazione in rete”, nel corso del quale è stato possibile apprezzare il contributo di professionisti esperti nel settore quali gli Avvocati Francesco Paolo Micozzi e Giovanni Battista Gallus, l’Ispettore capo della Polizia di Stato, Sezione Polizia Postale e delle Comunicazioni, Roberto Manca e la Professoressa Marina Mura, Ricercatrice di Psicologia Sociale presso l’Università degli Studi di Cagliari.

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Ma partiamo da alcune definizioni. Con il termine Web 2.0 si indica di solito uno stato dell’evoluzione del World Wide Web, rispetto a una condizione precedente: l’insieme cioè di tutte quelle applicazioni online che permettono uno spiccato livello di interazione tra il sito web e l’utente, ottenute tipicamente attraverso opportune tecniche di programmazione Web afferenti al paradigma del Web dinamico in contrapposizione al così detto Web statico, o Web 1.0.

La grande innovazione che ha portato questo nuovo modo di concepire il web risiede nella sua filosofia di base, quella cioè di valorizzare al massimo la dimensione sociale, della condivisione, dell’interazione, della possibilità da parte dell’utente non solo di usufruire di un servizio ma di poterne creare e modificare i contenuti multimediali. 

Motori di ricerca come Google, siti come Youtube e Wikipedia, le Chat, i Forum, i Social Network come Facebook, Twitter e Linkedin non sono solo facilmente accessibili e fruibili da tutti ma si fanno portatori di una logica orientata alla valorizzazione della dimensione sociale. Ma c’è molto di più. Il nuovo web non solo rappresenta il nuovo mondo dello svago e la moda del momento (per cui non avere un profilo facebook è considerato “out”), ma rappresenta anche una vera e propria vetrina utilizzata da molti soggetti privati ed aziende a scopo professionale e lavorativo.

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Internet piace tanto perché di fatto rappresenta uno straordinario mezzo di comunicazione, che ci permette di interagire con altre persone, di socializzare, di costruire e mantenere nel tempo legami sociali che superano le barriere della distanza fisica.

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Nel web controlliamo i nostri conti e facciamo velocemente e con facilità operazioni bancarie; nel web facciamo shopping, troviamo qualunque genere di cosa, a qualunque prezzo. Con internet lavoriamo, basti pensare all’utilità della posta elettronica e alle piattaforme aziendali costruite ad hoc per finalità lavorative. E infine internet risponde perfettamente al bisogno tutto umano di conoscenza, di esplorazione, di soddisfazione delle nostre curiosità: su internet possiamo scoprire tutto ciò che vogliamo, solamente con un click.

Questo il volto buono del web, questo, come ha sottolineato l’ Avv. Micozzi, il volto buono dell’hacking che, a differenza di quanto molti pensano, nasce negli anni ’50-’60 con una accezione positiva. Dal verbo inglese to hack, che significa aprire, fare a pezzi, l’hacking nasce come quell’insieme di metodi e tecniche utilizzate al fine di scoprire, conoscere, accedere e modificare un certo sistema.

L’ hacker, solitamente giovanissimo e dotato di spiccate doti in ambito matematico e informatico, si contraddistingueva quindi per la smania di mettersi alla prova, di risolvere enigmi, di esplorare illimitatamente al fine di arrivare a una approfondita conoscenza del sistema su cui interveniva, per poi essere in grado di accedervi o adattarlo alle proprie esigenze. È solo negli anni 2000 che il termine hacking acquista la connotazione negativa con cui oggi lo conosciamo, ovvero identifica una tipologia di operazioni e comportamenti del tutto illegali volti a “rompere, distruggere”, danneggiare l’altro. 

Ma cosa è cambiato da ieri ad oggi? E’ cambiata di fatto la motivazione dell’hacker, il suo sistema degli scopi: la dimensione ludica ha lasciato spazio alla sete di denaro, il bisogno di esplorare alla possibilità di danneggiare l’altro, il rispetto della legalità all’illegalità.  

La Norton by Symantec, casa di software famosa per il celebre antivirus, ne da la più recente dimostrazione attraverso la realizzazione di una ricerca molto specifica circa i crimini informatici avvenuti in tutto il mondo nell’anno 2012. Il Norton Cybercrime Report condotto su 13.000 adulti dai 18 ai 64 anni in 24 Paesi analizza in dettaglio la natura e l’impatto delle azioni degli hacker e dei pirati informatici a danno degli utenti consumer.

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Emerge quindi che l’Italia non se la passa bene. I risultati hanno mostrato come, rispetto allo scorso anno, i casi direttamente associabili ai social network e ai dispositivi mobili siano in aumento, con circa il 21% del campione degli intervistati vittima di un attacco scagliato attraverso gli smartphone  o i profili di Facebook e Twitter.

Ciò che più balza all’occhio del rapporto sono i numeri relativi ai costi diretti, ovvero gli oneri finanziari subiti a causa di frodi, furti e riparazioni di device, generati dalle attività dei cybercriminali negli ultimi 12 mesi: 110 miliardi di dollari a livello globale e poco meno di 2,5 miliardi di euro a livello italiano”. Ciò significa che in Italia sono 8.9 milioni le persone rimaste vittime di crimini informatici nell’ultimo anno, con una perdita stimata dei 275 Euro (Rusconi G., 2012).

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Ecco quindi il lato oscuro di internet, noto anche come Cybercrime, che come sottolineano gli esperti è in costante aumento in Italia, prendendo le vesti dei sempre più noti fenomeni di cattura dei dati sensibili, accesso abusivo (phishing), grooming on-line, cyberbulling, cyberstalking, ricatti ed estorsioni, frodi on-line, gioco d’azzardo e spaccio di droga on-line, pedopornografia e Social Engineering. 

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Se quindi gli hacker sono riusciti ad utilizzare il web per fini per così dire “poco legali” ciò significa che probabilmente questi stessi strumenti non sono sempre sicuri, per cui si stima che circa una persona su 10 abbia subito un “furto di identità” dal proprio profilo e il 10% dei maggiori frequentatori di social network sia rimasto vittima di link fraudolenti o contraffatti.

Secondo la ricerca e come riportato dalle testimonianze degli esperti la scarsa attitudine degli utenti ad utilizzare misure di protezione sul web è la principale causa dei continui attacchi. Il Report sottolinea che solo il 33% degli utenti utilizza effettivamente un software di protezione dei propri dati e ben il 44% degli italiani non utilizza password complesse di accesso alla propria casella di posta o ai propri profili sui social network e cambia le proprie parole chiave frequentemente. Ecco che quindi gli internauti, un po’ per ignoranza e un po’ per disattenzione si mettono a rischio nel mondo del web, diventando prede appetibili per i cybercriminali.

Per questo motivo, come sottolinea l’Ispettore Manca, la prevenzione in questo ambito deve iniziare con l’informazione, quindi l’acquisizione di semplici regole di navigazione che rendano gli utenti consapevoli quando si muovono nel mondo di internet dei rischi a cui possono andare incontro. E questo non vale solo per gli adulti, ma soprattutto per i giovanissimi e gli adolescenti,  maggiori fruitori del web, che non solo molto spesso non hanno consapevolezza circa i rischi in cui possono incorrere nel web ma neanche di quelli che sono i confini tra legalità e illegalità. 

E quando parliamo di adolescenti non possiamo non soffermarci su un altro grave rischio che le nuove evoluzioni del web, in particolare dei social network, portano con se. Come ha sottolineato la Prof.ssa Mura, un uso inadeguato del web si pone come ostacolo alla costruzione dell’identità nell’adolescente, da intendersi come vero e proprio compito di sviluppo.

Se infatti i social network consentono di entrare in relazione, rispondendo quindi al bisogno tutto umano di esprimere la nostra identità, tale espressione non può che avvenire solo in modo frammentario, flessibile, precario e incerto, dando vita ad identità fluide che si esprimono attraverso parole, frasi, emoticon frammentarie. 

Internet diventa un mondo virtuale, che pur avendo tutte le sembianze di quello reale, consente comunque ai giovani adolescenti di essere e non essere quello che vogliono e di incarnare le identità più disparate. Tutto ciò in un ambiente che loro percepiscono come “protetto”, dove l’assenza del corpo garantisce l’anonimato. Tutto ciò a un caro prezzo, ovvero che non solo la comunicazione non può passare attraverso il corpo, ma che l’incontro con l’altro (dove la corporeità assume un ruolo centrale) non consente di coglierne l’intenzionalità, la dimensione emotiva, il sistema degli scopi, delle credenze e dei desideri, elementi chiave al fine di costruire una Teoria della Mente dell’altro, che guidi la costruzione di sani legami affettivi.

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Offendere, criticare e danneggiare l’altro diventa più facile nel web proprio perché l’altro non è visto, le emozioni sono ovattate e perdono di consistenza. In questa dimensione di analfabetismo emotivo e di appiattimento dell’intensità emotiva diventa quindi chiaro come fenomeni di minaccia, violenza e diffamazione quali il bullismo, lo stalking e il fanatismo trovino sempre più spazio e diffusione.

Si apre quindi una nuova e difficile sfida per noi psicologi e psicoterapeuti che ci troviamo a lavorare con gli adolescenti di oggi, che ci obbliga a calarci in una dimensione complessa fatta di compiti di sviluppo, limiti e risorse individuali e nuovi e vecchi scopi e bisogni che devo trovare funzionalmente espressione e soddisfacimento stando al passo con un mondo, quello della tecnologia e delle comunicazioni, che velocemente fa passi da gigante, proiettandoci in un mondo tanto affascinante quanto a tratti oscuro.

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È qui che i “nativi digitali” rappresentano la categoria di individui più a rischio, rispetto ai quali il contesto socio-culturale, scolastico e familiare si troverà nei prossimi anni ad affrontare la sfida educativa più ardua, che non potrà fare a meno di fondarsi sull’avvicinamento dei giovani al piacere per le forme di interazione sociale e relazionalità più vere e genuine fondate sulla presenza, sull’ascolto, la condivisione e la cura reciproca dell’emotività.

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Emma Fadda

Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale, PhD presso l'Università Vita-Salute San Raffaele

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