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Congresso SIPNEI: IV giornata studio – La relazione che cura

La relazione come strumento di cura da un punto di vista psicologico, fisiologico, sociologico ed antropologico.

Di Irene Giardini

Pubblicato il 05 Nov. 2012

Aggiornato il 01 Lug. 2013 13:53

 

Dalla IV Giornata Studio – Spinei – Sessione Emilia Romagna:

LA RELAZIONE CHE CURA E LE RISPOSTE PSICOENDOCRINOIMMUNOLOGICHE

 

Locandina_La_relazione_che_cura. Congresso Sipnei - Emilia RomagnaLa relazione come strumento di cura è stato il leitmotiv della giornata, i vari contributi ne hanno portato alla luce aspetti e sfaccettature diverse analizzando il processo relazionale da un punto di vista psicologico, fisiologico, sociologico ed antropologico.

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A Ravenna il 27 ottobre si è tenuta la IV giornata studio della SIPNEI, sezione Emilia Romagna.  Tema della giornata “La relazione che cura e le risposte pscioendocrinoimmunologiche”.

Giornata davvero molto interessante non solo per gli pscicoterapeuti presenti in sala ma per tutte le figure socio sanitarie che si occupano in un qualche modo della cura e della presa in carico del paziente. La relazione come strumento di cura è stato il leitmotiv della giornata, i vari contributi ne hanno portato alla luce aspetti e sfaccettature diverse analizzando il processo relazionale da un punto di vista psicologico, fisiologico, sociologico ed antropologico.

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La giornata si apre con una citazione di Benedetti (2012) “ un individuo che è capace di far terminare il dolore al semplice contatto con altri individui, ha certamente un vantaggio evolutivo, rispetto a coloro che non posseggono tale capacità

Particolarmente interessante per noi psicologi l’intervento del Dott. Franco Baldoni “il paradigma dell’attaccamento nella pratica terapeutica”. In primo luogo ha invitato i presenti a considerare i proprio pazienti non come malati ma come “non adattati”, vedendo il sintomo espresso dal paziente come qualcosa che svolge una funzione difensiva di fronte al pericolo.

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Ritorna il concetto di attaccamento, modelli operativi interni e comportamento di attaccamento (ricerca di vicinanza e protesta per la separazione). Molto interessante il portare la teoria dell’attaccamento nella relazione terapeutica e come gli stili di attaccamento di terapeuta e paziente che si incontrano nella terapia possano modificarne l’efficacia. In particolare un clinico con attaccamento evitante avrà con pazienti con attaccamento A un approccio rigidamente tecnico, ipercognitivo, e le emozioni negative o gli aspetti problematici saranno aree spesso inesplorate.

Un clinico con attaccamento C e un paziente tendenzialmente preoccupato avranno una relazione basata su una forte enfasi emotiva, che però spesso si traduce in un eccesso di aspettativa e in una relazione terapeutica che finisce per essere simmetrica.

Un clinico con attaccamento A e un paziente con attaccamento C o un clinico con attaccamento C e un paziente con attaccamento A avranno una relazione parzialmente positiva ma dove possono essere frequenti le difficoltà di comprensione. Il buon terapeuta dovrebbe un attaccamento B, ancora meglio se un “B guadagnato”.

 Il Dott. Baldoni Chiude il suo intervento con i “consigli” di Bowlby per una buona relazione terapeutica:

  • Il terapeuta deve essere per il paziente una base sicura;
  • Deve aiutare il paziente a riconoscere le modalità attuali di entrare in relazione con l’altro;
  • Deve aiutare a riconoscere le modalità di relazione con il terapeuta e l’influenza che i modelli operativi interni hanno;
  • Deve aiutare a riconoscere come la propria infanzia influenzi il modo di percepire e agire oggi nel mondo;
  • Deve aiutare a riconoscere come le proprie rappresentazioni guidino spesso inconsapevolmente e oggi possano non risultare adeguate.

A seguire l’intervendo del Dott. Bottaccioli che si è concentrato sugli effetti neurobiologici delle relazioni di cura e di autocura. Partendo da una prospettiva storica e sociale di come il concetto di cura abbia cambiato nel tempo la propria forma partendo da Platone “anche il medico impara dal malato” passando per la medicina riduzionistica arrivando ai giorni nostri. Arricchisce il suo contributo portando dati di ricerca che evidenziano come la valutazione dell’evento malattia da parte del paziente cambi notevolmente il modo stesso di viverla. Come la mente sia un potente modulatore dell’evento traumatico, e come la valutazione del dolore possa effettivamente cambiare la percezione dello stimolo doloroso attivando le specifiche aree cerebrali.

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Introduce l’importanza della buona comunicazione di una diagnosi e di una buona comunicazione medico paziente parlando dell’effetto nocebo. Porta i dati di una recente ricerca effettuata su 242 medici di medicina generale di Parma e sui rispettivi pazienti 20961 da cui emerge che vi è una relazione significativa tra l’empatia del terapeuta e il rischio di complicanze metaboliche acute nei pazienti con malattia cronica, tanto maggiore e l’empatia tanto minore sarà il rischio.

Interessante i dati presentati di Groopman “Come pensano i medici” dove viene visto come le euristiche e gli errori cognitivi dei terapeuti possano influenzare il processo di cura. Il paziente può esserci simpatico o antipatico e questo può esporci a possibili bias di sottovalutazione o evitamento; il senso di fallimento del clinico può far rinunciare quando la malattia è difficile; la paura e l’ansia del dover essere sempre competenti può portare ad un troppo veloce etichettamento del sintomo presentato…

Chiude il suo intervento con una citazione di Gabbard la ricerca ha ripetutamente dimostrato che il ruolo della relazione terapeutica è più importante di ogni tecnica specifica nel produrre un out come terapeutico favorevole

 Altri nel corso della giornata gli interventi interessanti sulla presa in carico globale del paziente considerando la malattia come un fenomeno multifattoriale. Molti gli interventi più strettamente “medici” in cui vengono introdotti concetti come carico allostatico, comportamenti alimentari come prevenzione e cura, processi infiammatori. Viene anche trattato il tema dello stress come core patogenetico comune nello sviluppo di malattie croniche quali ipertensione, patologie cardiovascolari, patologie oncologiche e metaboliche. Rimane aperto e sempre in evoluzione il campo della ricerca in questo settore ed è con questa spinta rispetto a temi da approfondire e dati di ricerca da aspettare che lascio Ravenna. Con già in testa la prossima giornata a cui partecipare!

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