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Manoscritti scovati per caso a Basilea – PRIMA PARTE

Il primo dei manoscritti “Il mondo è bello perché è vario” è la scaletta vergata da Jung in vista della stesura di “Tipi Psicologici”.

Di Roberto Lorenzini

Pubblicato il 19 Nov. 2012

Aggiornato il 18 Feb. 2016 15:21

 

Manoscritti scovati per caso a Basilea

INTRODUZIONE

 

Un mio amico vescovo, uomo di grande cultura e superiore generosità, approfittando della sua conoscenza delle principali lingue moderne e di quelle classiche, ama viaggiare, nei periodi di tregua dell’attività pastorale, per l’Europa alla ricerca di testi introvabili.

Di ritorno dalle sue incursioni nelle città europee non porta agli amici parannanze tipiche dei luoghi, gadget con i monumenti locali o prodotti alimentari tipici che risulterebbero provati dal viaggio e comunque destinati ad un rapido decadimento. Lui ritiene che solo la cultura sopravviva al tempo e ama regalare libri antichi, talvolta prime rarissime edizioni talvolta persino manoscritti.

La scelta del dono, naturalmente è attenta agli interessi del ricevente. Quest’anno a me sono toccati due fascicoletti, ciascuno di una dozzina di pagine. Li ha scovati in un robivecchi di Basilea che glieli ha dati in cambio di una benedizione speciale ai suoi locali dove si dice certo alberghino dispettosi fantasmi degli autori irritati per l’ingloriosa fine delle loro fatiche .

Sono di argomento psicologico scritti a mano in tedesco ed è stato lui a tradurmeli. Portano entrambi la firma di un certo Karl ma a me la calligrafia pare assolutamente diversa. Invece la data li colloca vicini nell’inverno del 1923.  Dopo che ho avuto la traduzione integrale mi sono reso conto di avere in mano solo due bozze, poco più che pensierini sparsi, ma di grande valore.

Il primo dal titolo traducibile sommariamente in “Il mondo è bello perché è vario” è, a mio avviso la scaletta vergata da Karl Gustav Jung in vista della stesura di “Tipi Psicologici”.

L’altro Karl invece credo sia Jaspers e  lo scritto dal titolo “Continuiamo così facciamoci del male…” ritengo essere degli appunti in vista del suo capolavoro “Psicopatologia generale”.

Ho pensato che questi due tesoretti non potessero restare nella mia biblioteca e meritassero un dibattito tra i più importanti studiosi della materia che si confrontano quotidianamente sulle pagine virtuali e virtuose di “State of mind”. Ecco il primo testo:

Manoscritti scovati per caso a Basilea- PARTE PRIMA. - Immagine:© pashabo - Fotolia.comIl mondo è bello perché  è vario

Psichiatri e psicologi hanno sempre cercato di classificare gli esseri umani. La smania classificatoria è connaturata all’uomo e lo aiuta ad orientarsi in un mondo altrimenti caotico ed imprevedibile.  Piante. animali, minerali e quant’altro sono stati suddivisi in specie, razze, famiglie e via via aggregati sempre più piccoli fino ad arrivare al singolo individuo inconsapevole delle sue appartenenze multiple.

Lo stesso furore classificatorio si è abbattuto anche sui prodotti umani e non naturali. Si pensi al linguaggio e all’analisi logica e grammaticale. Ai numeri (razionali, irrazionali, interi, primi) alle figure geometriche e anche alle opere d’arte (espressionismo, classicismo, cubismo e via discorrendo). Quasi  tutte le classificazioni seguono il criterio categoriale. Cercano di far ordine tra gli oggetti della realtà distribuendoli in cassetti discreti ben distinti tra loro. All’interno di un cassetto più grande esistono poi altri cassetti più piccoli che operano ulteriori sottodistinzioni. Nel grande cassetto che include i viventi e dal quale sono esclusi gli oggetti e gli elementi naturali inanimati esistono due grandi sottocassetti: le piante e gli animali. Nel sottocassetto delle piante si è sbizzarrito Linneo. Gli esseri umani stanno nell’altro insieme a leoni, pipistrelli, zanzare, armadilli, pitoni, batteri.

Il guaio è iniziato al momento di suddividere ulteriormente il cassetto degli uomini. I biologi hanno iniziato a distinguere le varie razze appartenenti alla stessa specie Homo sapiens sapiens. Gli psicologi si sono avventati sulla mente del sapientone (sapiens sapiens) per distinguerne i vari tipi. Qui sono nate le classificazioni psichiatriche. Le varie nosografie  le malattie mentali.

Parallelamente gli umani nella vita di tutti i giorni usavano categorie più semplici ma efficaci per orientarsi. Simpatico- antipatico. generoso- egoista, intelligente- stupido, sincero- bugiardo, forte- debole. La differenza tra i due modi di ordinare la realtà sta nel fatto che quello scientifico è appunto categoriale. a cassetti discreti e discontinui. Quello naive è dimensionale per cui  si può essere in un punto qualsiasi del continuum tra simpatico ed antipatico. Si può esserlo più o meno.Tentare una classificazione dimensionale scientifica è sfida cui non sottrarsi al termine di una vita di studio della mente umana e dunque mi avvio al compito. Volontariamente non utilizzerò la distinzione categoriale tra maschi e femmine pur utilissima nella vita quotidiana.

Cool! ma non più come una volta… Evoluzione del concetto di Coolness. - Immagine: Licenza Creative Commons 2.0 - Autore: Eliza Peyton
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La prima distinzione fondamentale che non è una duplice categoria ma una dimensione è quella dell’intelligenza vs stupidità.

L’intelligenza è la capacità di cambiare il proprio assetto di fronte alle mutate contingenze ambientali. Intelligenza è sinonimo di elasticità, adattabilità, cambiamento. Va spesso associata alla curiosità. Gli intelligenti sono vivaci, mai noiosi, divertenti. Spesso anche belli. La stupidità da l’idea dell’inanimato del non vitale. E’ stabilità, fermezza, solidità rocciosa. Gli stupidi tendono a fuggire le novità, sono conservatori, temono il cambiamento. Siccome non capiscono la realtà ne hanno paura. Sono noiosi, lamentosi, aggresivi. Esteticamente hanno una prevalenza di sviluppo in orizzontale, bassi e larghi.

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La seconda dimensione ha come due estremi gli ombelicali (che vedono solo il proprio ombelico) e gli sbalconati (sempre protesi verso gli altri).

Gli ombelicali pensano di essere la misura e il centro dell’universo. Ciò che è bene per loro è il bene assoluto. Ciò che reputano giusto è la giustizia assoluta. Gli sbalconati al contrario perdono il baricentro proprio mettendosi nei panni degli altri. Si immedesimano talmente da non sapere più chi sono e cosa vogliono.

Gli ombelicali si piacciono e si curano fisicamente ma attraggono poco perchè non trasmettono interesse per l’altro, esca fondamentale dell’innamoramento. Gli sbalconati sono in genere trascurati  non preoccupandosi di sé stessi  e sempre impegnati a fare regali agli altri. Loro hanno senso in quanto strumento al servizio dell’altro come invece per gli ombellicali gli altri sono solo oggetti di servizio o al massimo specchi di sè.

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Non è una dimensione che ha a che fare con l’egoismo e l’altruismo ma semmai con qualcosa di più basilare come l’egocentrismo. Per essere degli efficienti egoisti è utile non essere del tutto egocentrici. Per utilizzare gli altri, manipolarli, ingannarli, occorre mettersi nei loro panni. Quest’ultima dimensione non coincide a sua volta con la tradizionale e infantile distinzione tra  buono e cattivo. L’egoista persegue il suo interesse e attacca l’altro se rappresenta un ostacolo al suo successo. Il cattivo fa del male gratuitamente, anzi talvolta investendoci delle risorse. Per questo il cattivo puro spesso è anche stupido. Inutile aggiungere che gli ombelicali pensano di avere sempre ragione e vivono in un mondo di certezze assolute mentre gli sbalconati sono amleticamente dubbiosi e incerti.

Ancora gli esseri umani possono essere schienati o vedette.

Gli schienati vivono rivolti al passato gonfi di rimorsi, rimpianti e nostalgie che dispensano a piene mano agli ex (compagni di scuola, compagni di battaglione, compagni di sventura, coniugi, amici) tutto purchè ex. Sono persone che ricercano la continuità, il ripetersi, i film cult da vedere e rivedere. Spesso la loro vita è la replica ripetuta alla noia dello stesso atto unico.

Le vedette sembrano  uscite dall’uovo di Pasqua. Sono appena arrivate ed hanno tutto il futuro davanti. Sono uomini di progetto, di speranze, “have a dream” e di paure. Tendono ad essere rivoluzionari a rompere con le tradizioni. Considerano la novità un valore aggiunto in sé indipendentemente da ciò che sia. In questo sono come dei bambini entusiasti; al contrario degli schienati che sembrano vecchi centenari che tutto hanno già visto e non conoscono più sorpresa e meraviglia.

Solo apparentemente più superficiale è la dimensione lepre – tartaruga.

Le lepri vanno di fretta, si avvantaggiano “perchè non fare subito una cosa che comunque andrà fatta”. Le Tartarughe assaporano il cammino  e se c’è un sol motivo per dilazionare lo fanno di certo.

Le lepri avvantaggiandosi con tutto si spicciano presto anche con la morte e sistemano presto la questione. le tartarughe notoriamente invecchiano a lungo. Entrambi sono insofferenti con la polarità opposta.

Decisamente più sostanziale è la dimensione viscerale- meningeo.

Il viscerale sa di avere un corpo, ne va fiero e lo cura. Sente il freddo e il caldo, la fame, la sete e il sonno e i piaceri connessi al corpo. Gode dei sapori, degli odori, dei colori e  apprezza l’esercizio delle pratiche connesse alla riproduzione, anche destituite di tale scopo.

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Il meningeo utilizza il corpo solo come sostegno del cervello. La realtà in cui vive e per cui si emoziona è una rappresentazione della realtà. Non si sporca con le cose ma lotta con le idee. Non fa sesso ma sessuologia. Non vive ma parla della vita, spesso con maestria e competenza. Ha disgusto della materialità. Gli organi di senso sono atrofici E’ cittadino del mondo platonico delle idee. Amabile conversatore, è inadatto alla sopravvivenza fuori da un’aula o da un salotto. L’aspetto del meningeo è trasandato quanto curato il suo eloquio.

Tra le dimensioni più importanti c’è quella talebano – romano.

Il talebano prende tutto maledettamente sul serio. Fa le cose fino in fondo, ci crede veramente. E’ tutto d’un pezzo. Non scherza con le cose serie che per lui sono tutte. Se è di sinistra farà il brigatista. Se è cattolico si accoppia secondo le indicazioni vaticane. Se ha un vizietto diventa drogato all’ultimo stadio e poi  convertitosi farà l’operatore nelle comunità per tossici più intransigenti e severe. Non è uomo dalle mezze misure. E’ sempre in buona fede ed in nome di ciò può commettere i crimini più orrendi a posto con la sua coscienza. E’ geneticamente un estremista e un intollerante. Applica ciò anche ad aspetti marginali come l’alimentazione. Anche qui fa parte di gruppuscoli estremisti  che hanno vaste categorie di cibi vietati. Il rigore è elemento essenziale quale che sia la scelta in questione.

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Il romano se ne frega, non prende niente sul serio. E’ incapace di indignazione e di slanci. Sa che prima o poi tutto  cambia e dunque basta aspettare senza scaldarsi troppo. Il romano ne ha viste troppo, ha una saggezza da sampietrino e  lascia che tutto gli passi sopra. Raramente interviene sulla realtà per modificarla, aspetta che si assesti da sè.

L’emozione di base è l’indifferenza come per il talebano era l’orgoglio e l’indignazione. Il romano misura le sue scelte operative in termini di fatica che costano e la regola decisionale è il risparmio energetico. Non ama le persone che lo sollecitano ma in compenso non rompe le palle agli altri “vive e lascia vivere”. Si badi che il romano non è un abitante di Roma ma una categoria dello spirito. Tuttavia è innegabile che l’amministrazione pubblica è il suo habitat naturale per cui innumerevoli esemplari vengono a riprodursi nella capitale. Tra i suoi sogni proibiti c’è fare il bidello in una elementare o l’usciere al ministero.

Ancora gli umani possono essere retti o seghettati.

I retti sono coerenti, prevedibili, conseguenti, evolvono secondo un percorso in linea retta. I seghettati cambiano continuamente orientamento, sono mutevoli, indecidibili, inaspettati, sorprendenti. Seppure la retta seghettata ha complessivamente una direzione il percorso è frastagliato cangiante. Affettivamente i retti sono fedeli e affidabili, hanno inventato l’indissolubilità del matrimonio. I seghettati hanno vinto il referendum sul divorzio. Anche loro hanno la direzione orientata ad un rapporto stabile e proprio per questo fanno molti tentativi per scegliere il meglio. Sono criticati dai retti a loro volta derisi dai seghettati. I seghettati cambiano spesso pur non cambiando mai radicalmente. I retti non cambiano apparentemente mai. Poi un giorno nello specchio del bagno non si riconoscono più e coerentemente sparano in bocca all’intruso.

Sempre per restare in ambito geometrico gli uomini si dividono in perimetrali o superficiali e centrali.

I perimetrali badano all’esteriorità, a ciò che appare e si vede da fuori. I centrali sono interessati alle essenze al nocciolo duro, al profondo. Spesso fanno gli psicoanalisti o gli speleologi e si occupano di faccende serissime. I perimetrali possono fare gli stilisti, i creativi pubblicitari o i cognitivisti ed hanno sempre un senso di inferiorità rispetto ai centrali perchè le loro cose non sono mai essenziali, non è mai questione di vita o di morte ma al massimo di qualità della vita. In un certo senso si invidiano reciprocamente e se condividono l’esistenza possono fare cose importanti divertendosi. I centrali vanno subito all’essenziale e per ciò sessualmente sono trascurati rispetto alla periferia dell’atto sia precedente che seguente. La sigaretta post è oggetto di violento rimprovero da parte del perimetrale che invece è molto attento al prima e al dopo.

Completamente diversa è la dimensione che va dai piloti ai passeggeri.

I piloti ritengono di avere la piena e totale responsabilità di quanto gli accade. Sono i protagonisti, gli artefici della loro vita. Sentono un fortissimo senso di responsabilità che genera spesso tracotante orgoglio, talvolta penosa colpa. Sentono che tutto dipende da loro. Al contrario i passeggeri sono in balia di un destino che li determina rispetto al quale sono assolutamente impotenti. Tutto dipende dal caso, dal destino, dagli dei, dalla fortuna.

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L’emozione di fondo è l’ansia di chi è in balia di forze incontrollabili. La responsabilità non esiste sopraffatta dall’impotenza. La storia della loro vita è il prodotto di ripetuti scontri con gli eventi esterni. Tutto avviene fuori di loro. La colpa o il merito è sempre degli altri. Loro sono spettatori del loro invecchiare senza infamia ne lode. I piloti anche di fronte alle malattie più maligne combattono convinti onnipotentemente che l’esito dipenda dalla loro determinazione a non morire e rappresentano i pazienti ideali dei medici dediti all’accanimento terapeutico e soprattutto economico. Al contrario i passeggeri che ritengono fermamente che sarà quel che deve essere si lasciano divorare da sparuti gruppetti di batteri o da poche cellule cancerogene che trovano nel loro atteggiamento non interventista un inaspettato alleato.

Voraci e anoressici possono anche essere chiamati stitici e diarroici.

I voraci diarroici scambiano molto con l’ambiente sia in entrata che in uscita. Danno e prendono molto. Non passano inosservati agli altri con cui si mischiano facilmente fino a trasformarsi e trasformare l’interlocutore. Il Vorarroico tende sempre a fare un gran baccano, è un po’ sguaiato, evidente, notato. L’anostitico invece sta sulle sue, basta a se stesso. Non ha bisogni da soddisfare con oggetti esterni, vive in un’autarchica autosufficienza. E’ riservato ed elegante, inappuntabile quando si sta con lui si ha l’impressione di essere soli. L’ideale sessuale è la frigidità. Quando la morte lo solleva per portarselo spesso lo lascia perchè si sente gelare, quindi campa moltissimo. Tuttavia anche il vorarroico sopravvive a lungo perchè intrattiene gioiosamente la morte che finisce per dimenticarsi cosa fosse venuta a fare.

Persino scontata, abusata e banale la distinzione tra formiche e cicale.

Le prime portate coattamente all’accumulo per un domani di cui non v’è certezza conducono una vita arida che non si capisce perchè dovrebbero preoccuparsi di prolungare. Se il gelo invernale e la conseguente carestia ponesse fini alle loro sofferenze sarebbe una liberazione per tutti. Per loro il bello viene sempre dopo. Oggi è il tempo del sacrificio, ma domani…. La scuola è dura ma l’università…Si aspetta il lavoro… e poi la gioia arriverà con la pensione. Quando si accomodano nel ligneo contenitore vellutato si dispiacciono soprattutto di non sapere cosa aspettarsi di bello domani. Gli manca un motivo per sacrificarsi oggi.

Le cicale invece, modello negativo da additare per il danno che comportano alle banche a ai custodi dei granai si assaporano il presente e quando arriverà il gelo moriranno cantando  a pancia piena. Le cicale affettivamente godono relazioni intense e brucianti e stanno su montagne russe emotive. Le formiche hanno matrimoni duraturi che si consumano lentamente e strangolerebbero il partner secondino. La sessualità cicala è precipitevole, quella formica soporifera e misurata Gli unici ad avvantaggiarsi del fare formichico sono gli eredi. E’ ben noto infatti che le scaltre cicale tentino, e spesso con successo, di farsi adottare dalle formiche.

Gli umani si distinguono ancora lungo il percorso che va dai solisti ai coristi la cui differenza è intuitiva dal nome stesso.

I solisti vanno per proprio conto, dettano le mode, non si guardano intorno, non si preoccupano del giudizio degli altri, l’appartenere non è un loro problema. Sono piuttosto impegnati a distinguersi a differenziarsi. La bizzarria è un pregio, la vergogna ignorata. I coristi pensano di non avere nulla di originale da dire. Sono maestri nel camuffamento, nello scomparire. Non vogliono essere figura ma sfondo, pastore non bambinello. Seguono le mode, si fanno consigliare. Vogliono far parte. Il loro godimento è la tranquillità della perdita di una identità identificabile. In tutto ciò non c’è alcunchè di scelto, è così e basta: è la sindrome del camaleonte. I coristi criticano i solisti per il loro protagonismo con un livore amaro d’invidia. I solisti invece disprezzano apertamente i coristi, presi come sono dal demone della prima fila.

Ad ogni bambino si insegna precocemente a non dire le bugie. Tuttavia la dimensione  sincero – bugiardo non è poi così scontata. Stante che non c’è una realtà oggettiva che si impone necessariamente ma tante costruzioni soggettive della stessa realtà il confine diventa labile, incerto, mendace. I sinceri sono dei fotografi che ritengono sinceramente di riportare la realtà così com’è e non come appare loro.Poco importa l’angolatura da dove prendono l’immagine, la luce che scelgono, la sensibilità della pellicola, la carta usata per la stampa, ciò che mettono al centro o ai lati. Quella non è la loro fotografia, quella è la realtà.

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I bugiardi non sono fotografi ma pittori. La realtà è uno spunto che siano classici, impressionisti o cubisti. I bugiardi manipolano consapevolmente. Non vogliono comunicare all’altro una cosa esterna senz’anima ma la loro realtà. Chi prova una grande emozione ha bisogno di esagerare nell’esprimere altrimenti l’altro non capirebbe. Lo immaginate un innamorato che dica all’amata: “mia cara  provo per te un sentimento non ben chiaro ma certamente significativo, è possibile che in questo momento sia tendenzialmente e transitoriamente innamorato di te”. No il termine giusto è “sono innamorato perdutamente di te dal momento che ti ho visto, come non lo sono mai stato. E quest’amore assoluto sarà eterno, per sempre ti amerò come oggi”. Sinceri e bugiardi sono complementari come ingegneri e architetti. Senza ingegneri i palazzi crollerebbero, ma senza architetti crollerebbero le anime degli inquilini. A volte i sinceri mentono e quelle sono proprie le bugie che fanno piangere Gesù perchè non sono artistiche: sono i tentativi decorativi degli ingegneri.

Abbiamo visto come ogni dimensione abbia le sue emozioni caratteristiche e contrapposte nelle due polarità estreme. Esiste tuttavia una dimensione ulteriore e trasversale che esprime la capacità di provare emozioni più o meno intense. Ad un estremo troviamo  i drammatici e all’altro i sordinati .

I drammatici non solo manifestano in modo vistoso e istrionico le emozioni ma le provano anche in maniera forte. Nella loro anima non si passa senza necessariamente fare un gran rumore: non ci sono frusci ma solo schianti. Le foglie che cadono fanno un rumore assordante, disastroso segnale della caducità della vita. Un fiore che sboccia è un fuoco d’artificio dirompente che festeggia l’eterna rinascita. I sordinati hanno il volume emotivo quasi azzerato. Si nasce, ci si ama, ci si perde, si muore, con estrema discrezione, senza clamori. Non si piange, si inumidiscono gli occhi. Non si gioisce, si è soddisfatti. I sordinati guardano con disprezzo e superiorità i drammatici. Solo un pizzico d’invidia se ci fanno l’amore ma si ricompongono subito. I sordinati tuttavia si preparano una vita per fare la loro gran bella figura al momento conclusivo e non fare una piega di fronte alla morte. Per loro è una questione di principio un traguardo decisivo non dare soddisfazione alla vecchiaccia e mostrare disinteresse e distacco mentre i drammatici che godevano sguaiati sui letti dell’amore, tremeranno di paura e piangeranno dal dolore. Ma la vecchia che conosce l’animo umano e vuole far da padrona si attrezza. I drammatici se li porta nel sonno inconsapevoli per non sentire strepiti. I sordinati li tortura per mesi con dolori incoercibili, con piaghe purulente e ne umilia in tutti modi la dignità, ne offende la mente, rosicchia il corpo. Loro fanno finta di niente e lei furiosa si accanisce. Sempre più colpi ai fianchi e al volto ma mai il decisivo K.O. Poi quando i sordinati confidano all’orecchio dell’amico che non ne possono più. Quando una goccia salata tracima dal ciglio inferiore sul naso affilato. Allora, solo allora, conclude il lavoro, liberandosi del noioso cliente.

Ancora il paziente è contrapposto a l’intollerante.

Il paziente è divino nel suo rapporto con il tempo, vive in una dimensione di eternità. Nel suo eterno presente può aspettare, nulla sfugge. La sua grandezza è la capacità di incassare senza turbarsi. Nei momenti difficili riesce a dissociarsi. Si assenta e ritorna quando gli altri hanno finito. La assenza dissociativa è una sorta di stato mistico. il corpo non sente più niente e la mente dorme. Sa che prima o poi la nottata deve finire e lui resiste con un sorriso ironico che sbeffeggia il nemico che avanza.

Nel loro rapporto con il tempo gli uomini si distinguono anche lungo la dimensione puntualità – ritardatari.

Si tratta di caratteristiche assolutamente genetiche e dunque immodificabili dall’esperienza. Il ritardatario ha vinto il tempo, ne ignora il potere, inizia a fare le cose nel momento in cui ha promesso che le avrebbe concluse. Se deve andare ad un appuntamento esce di casa all’ora esatta dell’appuntamento. Si potrebbe pensare che sia disinteressato al disagio dell’altro ma non è così. Non ignora l’altro ma il tempo. Non riesce ad accettare che le sue azioni siano estese nel tempo, che durino. Per lui sono istantanee. Pensiero e azione durano egualmente zero. Il puntuale vuole l’assoluto controllo e calcola tutti i possibili inciampi, ritardi, contrattempi. Il tempo è da lui dominato. Non lo può sprecare ma non è chiaro per cosa risparmiarlo. Che farne. Il tempo peraltro è difficile da conservare, non ci sono contenitori che lo intrappolino. Il tempo corre sempre via e finisce. Il ritardatario lo sa e se ne frega arrendendosi a questa ineluttabile realtà. Il puntuale si ribella e cerca di controllarla. il tempo scodinzola a entrambi beffardo e fugge via.

La psicologia di  gruppo si è arrovellata a descrivere le relazioni sociali degli umani in gruppo e la distinzione più utilizzata è quella che distingue i capi dai gregari.

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Il capo è tale in un gruppo di lavoro, in una assemblea di condominio, nel gruppetto alla fermata dell’autobus, nella tavolata al ristorante. Il capo è tale non perchè bada ai suoi interessi ma perchè coglie al volo quelli degli altri, li sa unire e promuovere. Il capo è generoso, lui ha un solo interesse, comandare, tutto il resto è per gli altri. Il gregario invece non vuole decidere, fugge le responsabilità e conserva solo il diritto di lamentarsi con il suo capo. Non è affatto inferiore al capo, spesso per molti aspetti è più in gamba. E’ solo disinteressato al comando e a tutti gli impicci che comporta.

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La distinzione tra capi e gregari è qualcosa di simile seppure non sovrapponibile a quella tra mamme e figli. La mammità è una dimensione che ha al suo estremo opposta la figlitudine.

Le mamme, che siano maschi o femmine è lo stesso, sono accudenti si mettono nei panni del figlio, ne sanno bisogni e desideri ed hanno il loro piacere nel soddisfarli. Hanno uno strabismo congenito che gli consente di vedere il mondo dalla prospettiva del figlio. Il figlio al contrario vede esclusivamente se stesso. Per sopravvivere se ne strafrega dei possibili bisogni degli altri. Il suo compito è affermarsi a discapito degli altri: è violentemente impegnato nella lotta per la sopravvivenza. Le mamme lo guardano compiaciute per la sua forza e la determinazione mentre le fa a pezzi per crescere sano e forte. In questa crudele macchina da guerra loro intravedono il loro successo genetico e ne gioiscono. Mamme e figli si  attraggono e non riescono a staccarsi se non quando le mamme muoiono, contente di far spazio su questa terra ai loro cuccioli.

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Nei gruppi gli uomini si dilettano in due possibili giochi: la guerra e le costruzioni. Questi due giochi corrispondono a due opposte tendenze dell’animo umano.

La guerra esprime la tendenza a competere, a sopraffare l’altro a ordinare il mondo in una scala in cui chi sta più in alto ha più diritto e campa meglio di chi sta sui gradini più bassi. Già tra i cuccioli c’è chi è meno interessato a fare a botte con gli altri e si raccoglie con i compagni per innalzare costruzioni, per costruire attrezzi e giocarci insieme. Questi esprimono la tendenza alla cooperazione, al fare insieme. la storia del mondo è stata sempre segnata da grandi imprese collettive, nella dimensione dell’”insieme” e da grandi guerre, nella dimensione del “contro”. I guerrieri restano un po’ più stupidi perchè non imparano a fare le cose. Loro se ne appropriano dagli altri che le sanno fare. I costruttori non portano armi di cui hanno paura e sono laboriosi e cordiali. Per fare a botte serve meno cervello che per collaborare. I costruttori debbono ricordarsi come siano i loro compagni e cosa aspettarsi da loro. I

guerrieri è sufficiente che picchino alla cieca. Per il successo di una società servono sia i costruttori che i guerrieri che non sono, in genere  ostili gli uni con gli altri avvertendo la reciproca complementarietà. Tuttavia il successo di una società dipende fortemente dalle leggi che la governano.

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Nel rapporto con le regole c’è un’ulteriore significativa differenza tra gli uomini che possono essere miopi o presbiti.

I miopi tendono ad osservare e far osservare le regole minuziosamente e identiche in ogni circostanza. Non ricordano più perchè quelle regole fossero state fissate, non gli interessa la loro utilità. Ci sono e vanno rispettate. Le tavole della legge non vanno sottoposte a referendum confermativo. Il rispetto della regola è un valore assoluto in sè. I miopi trovano persino irrispettoso qualsiasi quesito sull’opportunità di questa o quella regola. L’apparato normativo è come la mamma. Senza di lei non ci saremmo e dunque va amata e rispettata quale che sia. I miopi sanno adattarsi meravigliosamente ai cambiamenti anche radicali del sistema di regole. L’importante è che le regole ci siano, non quali siano. Esse sono come la piantina della città nelle mani di un viaggiatore straniero smarrito nella sconosciuta metropoli, indicano ad ogni incrocio la strada da seguire. Guidano ogni passo tenendo a riposo il discernimento personale. Cancellano il dubbio, fugano le responsabilità.

I presbiti, al contrario, traguardano l’orizzonte. Si chiedono qual’è sia la metà che quella regola addita e ci vanno seguendo una loro personalissima strada. Attenti allo spirito e non alla legge che lo incarna si sentono superiori ai miopi e spesso confondono lo spirito della legge con il proprio. L’interesse collettivo con quello personale. Forti del fatto di essere i detentori dello spirito giusto guardano sicuri  verso l’orizzonte trascurando cosa calpestino nell’immediato. Per loro il fine giustifica sempre i mezzi. Hanno qualche difficoltà a distinguere l’interesse personale da quello collettivo. Da unti del Signore sono in grado di compiere i crimini più atroci. Cadono dalle nuvole quando gli viene fatto notare perchè le loro intenzioni erano ottime. Per loro contano le intenzioni, appunto, e non i fatti. Miopi e presbiti  possono cimentarsi per ore in discussioni sull’opportunità o meno di una certa condotta senza avvicinarsi di una spanna: partono da presupposti opposti.

Le società umane come gli stessi uomini nascono, vivono per un certo periodo e poi muoiono.

La nascità è connessa alla riproduzione consistente nel gioioso mescolarsi dei geni. Gli individui si avvistano alla distanza e si scelgono sommariamente. poi manovrano avvicinamenti, si odorano, si strofinano, si assaporano come esperti sommelier. Infine si tuffano l’uno nell’altro  e, per alcuni istanti perdono i propri confini. Alla fine dei giochi la ragione ce l’ha chi ha più successo riproduttivo. Chi fa più figli vince e popola la terra.

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Il corteggiamento non è dunque faccenda marginale, svago del sabato sera, distrazione dagli importanti impegni della quotidianeità. Al contrario tutto il restante affacendarsi è finalizzato ad esso. E’ nella corsa senza esclusione di colpi degli spermatozoi verso l’ovocito che tutto trova significato. Nelle curve tubariche si gioca il palio della vita. La ragione e la verità in realtà si stabilisce a maggioranza e chi ha più elettori vince. Il corteggiamento dunque è faccenda estremamente seria. Anzi l’unica seria.

Sarebbe  banale ricordare che maschi e femmine hanno due diverse mercanzie da vendere al gran bazar della riproduzione ma un accenno è utile. Per le femmine è più importante la bellezza segno di una salda capacità riproduttiva: fianchi larghi per partorire e seno florido per allattare. Per gli uomini la capacità di poter proteggere e mantenere la prole e dunque la forza e il potere. Il più preciso indicatore del potere di un uomo è la bellezza della sua compagna e viceversa.

Stante la diversità delle merci da scambiare al gran bazar le strategie per conquistare il mercato possono essere diametralmente opposte : ci sono gli espositori e i celanti.

Gli espositori mettono in mostra la loro merce vi fanno splendere sopra il sole. Richiamano con grida l’attenzione degli avventori, invitano alla prova. Ritengono che la pubblicità sia il fondamento del successo e che la quantità sia più importante della qualità. Sono le donne in bikini succinti o con le piume di struzzo e i gioielli, i rossetti vistosi e i profumi assordanti. Sono gli uomini con le auto di lusso, con i servitori intorno, con divise altezzose o moderni scettri e corone, rolex e imbarcazioni e soprattutto una moltitudine di altri intimoriti: l’uomo potente incute timore. La paura negli occhi degli altri è una misura certa del suo potere. Gli espositori maschi e femmine si attraggono reciprocamente. L’uno diventa per l’altro oggetto da esporre: i tacchi a spillo ticchettano gioiosi al seguito di pesanti stivali, le calze a rete si imprimono volentieri sui sedili di pelle morbida delle maserati.

I celanti invece hanno una innata tendenza a nascondere. Vogliono che sia l’altro ad  impegnarsi in una faticosa ricerca del tesoro che sanno essere in loro. Ritengono che la qualità della loro merce sia così superiore da non necessitare di alcuna pubblicità. Scelgono un basso profilo che non esprime autentica modestia quanto piuttosto smisurato orgoglio. Le donne sono acqua e sapone, scarpe basse, gonna castigata o persino pantaloni senza ammiccamenti. Indaffarate in altre faccende, apparentemente disinteressate all’effetto che fanno sui portatori  di gameti complementari. Attente a ricomporre i lembi della gonna che risalgono le ginocchia e lascerebbero spiragli tra la coscia e la poltrona. Avvezze a raccogliere gli oggetti flettendo le ginocchia e accucciandosi verso terra piuttosto che a piegarsi con il busto in avanti estroflettendo il sedere che sanno avere l’effetto di uno starter sui partecipanti al palio della vita.

Gli uomini celanti apparentemente disinteressati al potere, spesso di sinistra, gentili e talvolta un po’ femminili, miti, pacati, comprensivi, porgenti l’altra guancia. Odiano le divise e prediligono le uniformi che non sono la stessa cosa. Le prime dividono, distinguono. Le seconde assimilano, omogenizzano Anche i celanti sanno riconoscersi e si attirano tra loro ma soprattutto fuggono con repulsione dagli espositori per i quali provano sincero disgusto. Quando si incontrano il loro scambio, in quanto apparentemente non cercato e casuale, quasi disinteressato, è ancora più esplosivo e travolgente. Le cosce avvezze alla chiusura monastica e i seni normalmente celati da addobbi quaresimali intonano festosi canti pasquali  al momento dell’incontro con il loro paziente scopritore. Lo speleoarcheologo gioisce nell’intimo del suo ritrovamento ma vuole tenere lontani i curiosi. La sua gioia è tanto più grande quanto più resta intima e privata.

Tra il momento della nascita a quello della morte c’è un periodo più o meno lungo che consiste nella vita. Questa parentesi può essere vissuta come carnevale o piuttosto come quaresima.

I carnevaleschi si permettono di tutto, sghignazzano, ridono e si divertono per ogni sciocchezza. Non prendono nulla sul serio, scherzano sulla vita e sulla morte. Sono disordinati e caotici. Afferrano ciò che desiderano senza temere le conseguenze. Sembrano non avere nulla da perdere, sono orgogliosi e non si scusano mai. Spesso arroganti e volgari. Agli occhi dei quaresimali sono dissoluti e tristi. I quaresimali invece si trattengono. rinunciano in vista di un bene maggiore. Il piacere è sempre rimandato al futuro ed è frutto di un premio, di una concessione. Sono artisti della frenata, si  esaltano nel digiuno e nell’astinenza. Si regalano cilici  e penitenze raffinate in attesa della conquista del premio. I migliori arrivano pure a rinunciare all’attesa della ricompensa finale. La rinuncia da strategia si fa scopo. Hanno il timore di scoprire alla fine che il grande arbitro sia un enorme clown.

Come in un quadro di Caravaggio i tenebrosi e i solari si dividono la scena della vita. Gli uni senza gli altri non risalterebbero scomparirebbero in una insignificante tonalità di grigio.

I solari hanno larghi sorrisi, pensieri che traspaiono sui volti, movimenti ampi e inequivoci. Sono di una decisione che viene scambiata per forza e persino per bontà.La gente tende a fidarsi di loro dimentica che Lucifero era uno di loro, spendente e al centro della scena.

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche
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I tenebrosi  sanno che ogni astro luminoso ha una faccia nascosta più affascinante e meno svergognata. Nel quadro sanno di avere il ruolo di sfondo su cui far risaltare il solare di turno. Si dispiacciono solo quando vengono identificati con il losco, la cattiveria, la cupezza. Allora possono giungere a fare molto male ma solo per rivendicare il loro ruolo  di servi della luce. Nel caso di questa dimensione gli estremi si attraggono con una certa frequenza. Ognuno ha bisogno dell’altro per risaltare. Molte coppie sono formate da un solare e un tenebroso, ognuno al servizio dell’altro.

E’ evidente anche ai non addetti ai lavori che molte delle dimensioni finora descritte si presentano in associazione tra loro con indici di correlazione più o meno forti. Il loro intrecciarsi con delle ripetitività è alla base dei nostri pregiudizi ed anche della possibilità di fare previsioni sugli esseri umani. 

Così  per alcuni se si è intelligenti molto probabilmente si sarà anche vedette, centrali, lepri, romani, sordinati, celanti,  costruttori e presbiti. Per altri invece i piloti saranno anche retti  e solari. Le combinazioni possibili sono tante quante gli stessi esseri umani ed è questo il motivo per cui l’insufficienza di qualsiasi classificazione categoriale ci ha spinto a questo incompleto e parziale tentativo di classificazione dimensionale. 

 

Carletto Jung, Basilea 28 gennaio 1923.

 

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