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Stecchiti. Le Vite Curiose dei Cadaveri di Mary Roach – Recensione

Cadaveri: Donare il proprio corpo alla scienza non sembra un gesto di altruismo: entrano in gioco l'autorealizzazione e di auto-ricompensa.

Di Valentina Davi

Pubblicato il 18 Ott. 2012

Aggiornato il 10 Lug. 2013 11:04

 

La sepoltura, che noia! Darsi ai crash test o mettersi…in mostra?

Donare il proprio corpo alla scienza.

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Avete mai pensato a cosa fare del vostro corpo una volta morti? Se siete indecisi tra cremazione e sepoltura è tempo di leggere Stecchiti. Le vite curiose dei cadaveri di Mary Roach e aprire la vostra mente a nuove interessanti opportunità. Ironica, brillante, a tratti comica, Mary Roach, ci trascina in un curioso viaggio alla scoperta delle numerose possibilità per uscire di scena in maniera originale e, perché no, socialmente utile. 

Per esempio, potete scegliere di trascorrere un soggiorno presso la Body Farm di Alcoa Hwy, dove polizia scientifica e medicina legale studiano la decomposizione di corpi lasciati all’aperto in preda alle più diverse condizioni atmosferiche. Lo scopo? Migliorare sempre di più i metodi utilizzati per stabilire l’ora di decesso, procedura che in un’indagine investigativa ha indubbiamente la sua rilevanza.

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Se preferite invece attività più adrenaliniche, perché non aiutare le case automobilistiche a rendere più sicure le automobili, diventando omini di crash test? Infatti i manichini utilizzati (i famosi dummies) sono tarati su corpi veri affinché la simulazione dei danni sia il più accurata possibile e si possano raggiungere livelli di sicurezza sempre più elevati.

Non dimentichiamo, naturalmente, il campo medico. A meno che non vogliate prestarvi al vostro prossimo ricovero come cavia per uno specializzando chirurgo, l’utilità della donazione di corpi alla scienza medica è innegabile, sia per la sperimentazione di nuove procedure che per la pratica sul campo.

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Tra i programmi di donazione quello proposto dall’Institute for Plastination, con oltre 13000 donatori registrati, è probabilmente il più noto. Nato inizialmente con lo scopo di formare gli studenti di medicina, oggi ha un fine essenzialmente divulgativo: far conoscere al pubblico il funzionamento del corpo umano, mostrando anche gli effetti delle malattie e di uno stile di vita non salutare. E proprio dal 3 ottobre Milano ospita l’impressionante mostra Gunther von Hagens’ BODY WORLDS, che vanta oltre 34 milioni di visitatori in più di sessanta città del mondo. Un’occasione da non perdere per ammirare una mostra di anatomia che più realistica di così…si muore. Aggiratevi tra i padiglioni e rimarrete a bocca aperta di fronte a esseri umani costituiti esclusivamente da nervi oppure da vasi sanguigni o sistemati in pose sportive che ne mettono in evidenza l’attività del sistema muscolare. Quello che rende il tutto ancora più affascinante è che non si tratta di manichini, ma di persone vere che hanno deciso di donare il proprio corpo alla scienza.

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Ma per quale motivo alcune persone scelgono di donare il proprio corpo alla scienza? Non per puro altruismo. Una ricerca condotta da Bolt e colleghi (2010) su un campione di 996 donatori iscritti nel database del Dipartimento di Anatomia del Centro Medico Universitario di Groningen ha individuato tre principali motivazioni: 1) il desiderio di essere utile dopo la morte e dare un significato alla propria fine, 2) l’espressione di gratitudine nei confronti della scienza medica e delle cure ricevute, 3) un atteggiamento negativo verso i funerali (non tutti apprezzano sepoltura e cremazione che, tra l’altro, sono anche economicamente dispendiose).

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In uno studio successivo (2011) Bolt ha indagato il legame tra tali motivazioni e tratti di personalità utilizzando il Big Five Inventory, questionario che valuta la personalità su 5 principali dimensioni (coscienziosità, apertura mentale, amicalità, nevroticismo, estroversione). I risultati ottenuti sono alquanto interessanti. L’autrice ha infatti osservato che il voler essere utili dopo la propria morte correla con le dimensioni di coscienziosità e di amicalità.

La coscienziosità in un soggetto esprime il senso del dovere, di responsabilità e di auto-disciplina, nonché il vivere la propria vita secondo i propri principi; l’amicalità, invece, è associata in letteratura al comportamento pro-sociale, cioè al fare qualcosa volontariamente affinché altri possano trarne beneficio.

Roberto Lorenzini @ SITCC 2012 Roma
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L’espressione di gratitudine è legata sia alla coscienziosità sia alla dimensione estroversione, indicativa di un maggior coinvolgimento nel mondo sociale. Infine l’avversione ai funerali correla con la dimensione nevroticismo, che sottende tratti quali tendenza a preoccuparsi, insicurezza, ansia, bassa autostima.

Donare il proprio corpo alla scienza non sembra quindi un gesto di puro e semplice altruismo: oltre al desiderio di aiutare gli altri entrano anche in gioco interessi personali come il senso di autorealizzazione e di auto-ricompensa, aspetti che un’efficace campagna di sensibilizzazione alla donazione non dovrebbe trascurare. 

Se volete farci un pensierino, in Italia potete rivolgervi, per esempio, al Laboratorio per lo Studio del cadavere dell’Università di Torino oppure alla Sede di Anatomia Umana, Dipartimento di Medicina Molecolare, dell’Università degli Studi di Padova. La sepoltura e la cremazione? Che noia! Meglio donare il proprio corpo alla scienza e concedersi un’ultima botta di vita! 

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Valentina Davi
Valentina Davi

Coordinatrice di redazione di State of Mind

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