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Camminare Sott’acqua: intervista a Sinead O’Connor – La Rockstar e lo Psichiatra

State of Mind intervista Sinead O'Connor. La rockstar Irlandese racconta allo psichiatra Gaspare Palmieri la sua storia personale.

Di Gaspare Palmieri

Pubblicato il 16 Ott. 2012

Aggiornato il 27 Lug. 2023 12:41

Lo Psichiatra e la Rockstar – Intervista a Sinead O Connor

Sinead O'Connor
La rockstar irlandese Sinead O’Connor durante l’intervista in videoconferenza con State of Mind.

Nella playlist della mia adolescenza anni Novanta trova spazio una Canzone (sì la c è maiuscola in questo caso) che merita una posizione d’onore sia per l’ottima fattura della ballad (non per niente l’autore è un certo genio di Minneapolis, noto come Prince), ma soprattutto per l’interpretazione che arriva diritta al cuore dell’ascoltatore, si infilza come una freccia nel ventricolo sinistro e fa sanguinare per cinque minuti e dieci secondi di emozioni allo stato puro.

La canzone è Nothing compares 2 U e a cantarla è una ragazzaccia irlandese con i capelli rasati a zero di nome Sinead O’Connor. Il brano, uscito nel 1990, ha avuto un successo planetario, favorito anche da un videoclip estremamente essenziale che mette al centro il viso angelico dell’interprete che arriva a commuoversi nel finale (Sinead cantando questo brano pensava alla madre, morta in un incidente stradale cinque anni prima).

LEGGI L’INTERVISTA ORIGINALE IN INGLESE

Gli anni successivi sono stati caratterizzati sempre da ottime produzioni musicali alternate a clamorose provocazioni (la più celebre quando strappò in diretta al Saturday night live la foto del Papa) che le hanno fatto guadagnare la fama di eretica e contestatrice, una specie di Giovanna d’Arco del rock.

Nel 2005 ha stupito molti facendo uscire l’ottimo album reggae Trow Down Your Arms, seguito da Theology (2007) in cui emerge il suo rapporto appassionato con la spiritualità.

Gli inizi di quest’anno vedono l’uscita dell’ultimo disco How About I Be Me (and You Be You)?, che avrebbe dovuto essere seguito da un tour, annullato per una seria ricaduta in una fase depressiva del disturbo bipolare di cui soffre da 8 anni (verosimilmente si tratta di un disturbo bipolare II, secondo la classificazione del DSM-IV n.d.r.). La grave crisi depressiva è stata anche caratterizzata da un tentativo autolesivo per ingestione di psicofarmaci, preceduto da una disperata richiesta d’aiuto ai propri fans attraverso il social network Twitter.

Dall’aver appreso queste notizie attraverso i media è nata l’idea di realizzare questa intervista via Skype, ognuno dalla propria casa, io a Modena e lei vicino a Dublino. Sinead mi ha concesso un po’ del suo tempo, tra gli impegni di mamma di quattro figli. Nonostante la freddezza della chat sento di aver trovato dall’altra parte dello schermo una persona autentica, che non si vergogna a raccontare le proprie fragilità ed estremamente precisa nel descrivere il proprio percorso di cure.

 

State of Mind: Bene Sinead, prima di tutto vorrei ringraziarti per la cortesia e la disponibilità nel concedere quest’ intervista. Devo ammettere che sono rimasto molto stupito che tu abbia accettato. Non so quanto tu abbia voglia di parlare di te stessa in particolare, ma mi piacerebbe che questa nostra chiacchierata potesse essere di qualche aiuto alle persone che hanno a che fare tutti i giorni con i problemi dell’umore, la depressione in particolare.

Sinead O’Connor: Ovviamente mi interessa quest’ argomento… e il motivo per il quale ho delle cose da dire deriva dalla mia esperienza personale.

 

SoM: Ho letto sui media alcune tue dichiarazioni in merito a una diagnosi di disturbo bipolare, ce lo confermi?

S: Esatto, lo diagnosticarono otto anni e mezzo fa, ma ci sono voluti 12 anni per avere la diagnosi corretta.

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SoM: Il tuo problema è iniziato con uno stato maniacale o depressivo?

S: Non ho esperienza degli stati euforici o maniacali, ma di quelli depressivi. Quando ero più giovane però, avevo un caratteraccio, quello è un po’ il mio lato maniacale; non in modo spensierato, era più tipo… andatevene tutti affanculo!

 

SoM: Una giovane ribelle…

Kurt Cobain. - Immagine: licenza d'uso Creative Commons 3.0 - Autore: Kurt Cobain. - Immagine: licenza d'uso Creative Commons 3.0 - Autore: Susan McGrane-Burke
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S: La mia vita professionale come artista ha sempre funzionato bene, I problemi sono stati quasi esclusivamente nella mia vita privata, in momenti di vera rabbia coi miei fidanzati e cose così… Probabilmente avevo ottime ragioni per essere arrabbiata, ma il “volume” era troppo alto. Avevo reazioni spropositate rispetto alle offese ricevute.

 

SoM: Quindi non hai mai avuto un episodio maniacale?

S: Circa due anni fa ho avuto un periodo di shopping compulsivo, che è insolito per me perchè detesto fare shopping. Quello è stato il massimo della mia maniacalità. Ho comprato un sacco di vestiti.

 

SoM: Pensi che la tua esperienza di depressione sia mai stata in qualche modo fonte di ispirazione per il tuo processo creativo?

S: Credo tutto il contrario. Non condivido questa fantasia romantica secondo la quale la gente che soffre di depressione sia più portata all’arte. Di fatto mi accorgo di essere molto più creativa quando sono felice.
Credo che la musica sia stata un grande aiuto per me e questo è stato confermato da ogni psichiatra che ho consultato. Se non fosse per la musica sarei probabilmente morta. Gli specialisti mettono in relazione le mie esperienze vissute durante l’infanzia e l’adolescenza con la depressione di oggi. Mi è stata anche fatta una diagnosi di disturbo post-traumatico da stress. Non sarei sopravvissuta se non fosse per la musica. Perciò credo che per me la musica sia sempre stata qualcosa di confortante e anche il luogo dove potevo esprimere tutto quello che non potevo dire altrove.
Nell’Irlanda degli anni settanta in cui sono cresciuta non esisteva la psicoterapia. Pensa che non abbiamo avuto il cappuccino fino al 1998! Quindi per me la musica era la terapia, era anche il posto dove si poteva parlare di se stessi, dove si era autorizzati a parlare delle proprie esperienze traumatiche. Sono cresciuta in un ambiente di estremo malessere, ma non c’era modo di parlarne, così la musica è diventata, se vogliamo, una specie di fuga.

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SoM: In che modo la musica ti ha aiutato? Più nel processo creativo del song-writing o più nell’esperienza catartica della performance?

S: Credo tutte e due. In primo luogo sentire la musica dentro di se è molto confortante, molto rassicurante. Per me è sempre stato, se vogliamo, un legame spirituale tra me e la musica. Quello che mi piace dell’essere musicista è anche il portare l’effetto confortante alle altre persone.

Credo inoltre che le persone che hanno alle spalle una storia di abusi o di sofferenza mentale, almeno alcuni di essi, abbiano grandi problemi di autostima. Per quanto riguarda me, ho sempre trovato nell’essere musicista, un luogo e un lavoro da cui traggo molta autostima. Sento di dare il mio contributo alla società e che non saprei darlo in altro modo.
Credo che quando si hanno dei problemi di salute mentale ci si possa sentire molto male e sbagliati, si possano combinare casini in continuazione nella vita e fare musica forse aiuta a capire che non si è delle persone terribili e che si è in grado di fare qualcosa di buono… perchè c’è una gravissima mancanza di autostima che accompagna la sofferenza mentale, specialmente se vivi in un paese come l’Irlanda, dove soffrire di disturbi mentali porta con se un grave stigma.

Per quanto riguarda la questione del live, credo sia molto catartico portare uno show alle masse e poter creare una magia che non è possibile nella vita normale, e suppongo che la spinta di autostima che si riceve in questo caso sia veramente potente.

 

SoM: Credo che il problema dello stigma legato alla malattia mentale sia importante quanto la malattia in sè. Puoi dirmi qualcosa di più riguardo allo stigma in Irlanda?

S: Beh credo che in tutto il mondo la parola “pazzo” sia un termine discriminatorio e credo che questa abitudine debba finire. In Irlanda “pazzo” è un insulto, e la gente è terrorizzata da qualunque cosa che concepisce come “pazza”. Le persone ritenute pazze non sono trattate in maniera compassionevole, vengono trattate in modo orribile e la “pazzia” viene usata come motivo per rigettare ogni cosa che uno possa pensare, fare, dire o sentire, così si precipita verso una trappola dell’autostima.
Ho ricevuto una lettera da un uomo a gennaio scorso, un vecchio di 73 anni che vive a Goolen (Ireland), pensavo a lui proprio questa mattina, ha preso antidepressivi per più di 30 anni senza mai dirlo a sua moglie o ai suoi figli ormai adulti per via dello stigma.

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Vedi, questa è l’Irlanda. Siamo molto ignoranti circa la natura della sofferenza mentale. Per esempio, la gente nel mondo è convinta che se sei schizofrenico significa che hai molte personalità, come un “disturbo da personalità multiple”, ma non è così. E’ completamente differente.

Quando hai un problema psicologico, non hai un gesso o una stampella, che permetta a tutti di sapere che hai un problema, quindi la gente si aspetta che tu ti comporti in maniera simile agli altri e quando sei diverso te lo fanno pesare e pensano che sei una persona difficile o che sei una rottura di palle e sono orribili nei tuoi confronti.

In Irlanda passi la tua vita cercando di nascondere il fatto che hai un problema mentale. Io chiedo continuamente conferme ai miei amici: “Sembro pazza?”, “Mi sto comportando come una pazza?”, e non dovrei aver bisogno di verificare, se mi sto comportando da pazza dovrei essere lasciata nella mia cazzo di folle pace!

Devi nascondere chi sei veramente ed è veramente stressante e nocivo per la tua autostima. Perchè non è ovvio per le altre persone che tu sei malato, ti trattano come una rottura di palle e finisci per biasimarti e svalutarti, quando vedi bene che lo stai già facendo per via del tuo disturbo.

Voglio dire, capisco che siamo persone veramente complicate, ma siamo anche tremendamente semplici, ma vedi, è un mondo difficile quello dove c’è un confine tra le persone teoricamente sane e quelle teoricamente malate. I sani non hanno familiarità dei “non sani”, il che è già di per se sbagliato. Anche se le vere “sbarre” non esistono più, siamo incastrati dietro a queste, come dire, sbarre metaforiche.

 

SoM: So che hai sempre avuto una relazione difficile con la chiesa cattolica. Cosa ne pensi della posizione della chiesa nei confronti della sofferenza mentale? Trovi che ci sia accettazione e compassione per la malattia mentale?

S: (ride) Se ci fosse accettazione della malattia mentale nella chiesa cattolica, l’intera Curia si dimetterebbe! Vi serve il miglior psichiatra d’Italia che spenda un po’ di tempo là dentro! Gli uomini al comando sono malati. Sono più malati che la maggior parte di noi messi assieme. Se prendessero davvero in considerazione la malattia mentale, dovrebbero iniziare col ricoverarsi in ospedale. Chiunque dichiari che la pedofilia e l’ordinamento delle donne sono sullo stesso piano ha un problema mentale.

Quando uno critica la Chiesa, quello che noi di solito intendiamo specialmente in Irlanda, sono gli uomini al comando. Sappiamo tutti che il 99,9% dei preti e delle suore sono persone incredibili, che fanno molto per aiutare le persone, di tutti i tipi. Ma il normale prete della strada non ha le qualifiche per andare in giro per il paese sconfessando la dottrina ufficiale, tutto quello che possono fare questi poveri preti è raccogliere i cocci di questo casino, che di solito è una missione suicida, perchè lo stigma porta al suicidio. A causa dello stigma, le persone non rimangono in terapia e non ricevono l’aiuto di cui hanno bisogno, perchè sanno che saranno trattati di merda.

 

SoM: Ancora lo stigma…

S: Si… per esempio: Sono entrata in ospedale circa 2 anni fa perchè volevo essere assolutamente certa che la diagnosi fosse corretta. Mentre ero in ospedale (ci sono stata per 2 settimane), c’era una donna più o meno della mia età che era lì da 6 mesi. Non stava così male, e un giorno stavo parlando con lei del perchè fosse lì e mi ha mostrato le sue braccia, che erano tutte tagliate. Sua madre era morta di cancro e lei se ne era sempre presa cura. Non era mai successo nulla a questa donna prima, ma la notte che sua madre è morta, lei ha probabilmente perso la testa e si è affettata le braccia. La ragione per la quale stava in ospedale da così tanto tempo era che nel villaggio dal quale proveniva non la volevano indietro, non avrebbe potuto riavere il suo vecchio lavoro, nessuno dei suoi amici voleva più parlarle, era una paria nel villaggio perchè si era fatta quelle cose alle braccia, tutti pensavano che fosse matta. Perciò non poteva tornare al suo paese ed era fissa in ospedale.

 

SoM: Quante volte sei stata ricoverata in ospedale?

S: Mi sono ricoverata volontariamente due volte. La prima volta per avere una diagnosi chiara. La seconda volta l’anno scorso quando mi hanno interrotto la terapia farmacologica in modo molto stupido e sono peggiorata molto. Non riuscivo a mangiare o a dormire.

 

SoM: Come mai hai interrotto la terapia, a causa degli effetti collaterali?

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S: Stavo ricevendo molta pressione da gente dello show business riguardo al mio essere sovrappeso per via della terapia. Prendevo 200 mg di amitriptilina. Quando l’ho detto al mio medico, per qualche ragione mi ha tolto di colpo la terapia e non ha svolto una corretta supervisione. Il Servizio di Salute Mentale qui è veramente pessimo. Dopo aver interrotto la terapia, ho incominciato a stare male, senza rendermene conto. Poi sono stata trascinata dal perdere peso e ho fatto finta di non stare male. Non è stata una mia scelta quella di interrompere i farmaci, ma lo psichiatra me li ha tolti e ho creduto che andasse bene così.

Sfortunatamente nel mio caso, per via di quello che faccio per vivere, qui in Irlanda è molto difficile per me trovare un dottore che mi tratti semplicemente come una persona, che riesca ad andare oltre a Sinead O’Connor. Sono dovuta andare in Inghilterra per trovare uno psichiatra che facesse al caso mio.

 

SoM: Per quando tempo sei stata senza farmaci?

S: Sono rimasta senza terapia da agosto dell’anno scorso fino ad aprile. Il dottore mi ha detto di smettere, quindi ci ho messo un bel po’ a capire che stavo male perchè quando smetti questo tipo di farmaci ci vuole tempo per ricominciare a stare male, e non sapevo che cazzo stesse succedendo.

 

SoM: Nove mesi senza farmaci è veramente un tempo lungo… non ti hanno avvertita riguardo ai rischi di una possibile ricaduta?

S: Per via di quello che faccio nella vita, in Irlanda tutto quello che gli psichiatri facevano era lamentarsi riguardo a quello che scrivevano i giornali invece di parlare della mia malattia. Gli stessi psichiatri erano molto coinvolti nelle battaglie pubbliche della Chiesa in Irlanda… dall’altro lato della barricata rispetto a me. Nello stesso periodo in cui smettevo i farmaci, quando andavo dalla psichiatra si lamentava con me dicendo che non apprezzava quello che dicevo riguardo alla Chiesa sui giornali, così abbiamo litigato e mi ha lasciata lì, arenata.

Poi in Irlanda il Sistema Sanitario fa così schifo che ci metti mesi per avere un appuntamento con un dottore per una terapia, così avrei aspettato per sentirmi dire le stesse cazzate da un altro dottore.

Un dottore mi ha mandata a casa con degli antistaminici dicendomi di prenderne 100 mg a notte. E io ho detto “Ok!”. In Irlanda la gente considera i dottori come degli dei, senza metterli mai in dubbio. Ma questo ha significato stare male per altri 3 fottuti mesi. E la cosa divertente è che era un medico privato, e l’unica alternativa era di andare al maledetto ospedale. Nessuno vuole ricoverarsi in ospedale, la peggior cosa che ti può capitare se stai male è di dover lasciare la tua famiglia e i tuoi figli, che sono l’unica cosa che ti fa sentire sicura.

SoM: E’ molto strano… in Italia puoi scegliere un medico privato e pagare di più, ma puoi vederlo più spesso.

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S: Qui hai 6 settimane di agonia, e a meno che tu non voglia ricoverarti in ospedale, sei fottuto. Per di più la gente non ha soldi. Io ne ho, ma il ragazzo della porta a fianco non può pagare per uno psichiatra privato e non può aspettare fino a sei mesi per un consulto. Ti do un’idea di quanto il sistema sia pessimo: un mio amico lavora in un servizio di assistenza per adolescenti dai 12 ai 18 anni con problemi di droga, del Servizio Sanitario Nazionale, e hanno un frigo nel bagno! Questa è l’immagine della Sanità Pubblica in Irlanda.

 

SoM: Riesco a immaginare tu abbia avuto momenti veramente duri. E’ stato negli ultimi mesi quando non hai potuto finire il tour?

S: Si, sono quasi morta. Era giugno e stavo molto male, come mai prima. Mi hanno prescritto la carbamazepina ad aprile e ho avuto una reazione molto inusuale che ha peggiorato i sintomi. Ora sto meglio, prendendo 200 mg di lamotrigina e 100 mg di quetiapina. Prendo anche una dose molto alta di vitamina B12 prescritta dallo psichiatra. Hanno appena scoperto che aiuta nelle fasi depressive del disturbo bipolare.

 

SoM: Hai mai provato la psicoterapia?

S: Si e cazzo non finisce mai! La sto ancora facendo. Al momento ho una seduta a settimana. Da luglio ad agosto ho anche svolto un lavoro terapeutico per 12 settimane in un centro di prevenzione del suicidio a Dublino. Sono fantastici. Uno dei peggiori sintomi quando stavo molto male era il pensiero costante rivolto al suicidio e ho scoperto che la maggior parte dei terapisti non è formata in maniera specifica sul pensiero suicidario, quindi puoi andare avanti per anni senza risolverlo.

Dal momento che non stavo prendendo farmaci, i pensieri sul suicidio hanno continuato a peggiorare finchè non ci ho provato veramente a gennaio, e ci sono stati altri tre tentativi in seguito. I terapisti nel centro di prevenzione del suicidio lavorano in modo specifico sul pensiero suicidario. Non parlano semplicemente del suicidio, ti aiutano a ricostruire la tua vita, ti aiutano a capire cosa vuoi dalla tua vita. Li ho visti una volta a settimana per delle sedute individuali. Mentre fai quello non fai altre terapie.

 

SoM: Che cosa intendi con “ricostruire la tua vita”?

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S: Mi hanno aiutato a identificare una serie di problemi, per esempio “staccare” era uno di questi, imparare a stare fermi e non fare un cazzo e stare semplicemente seduti e far uscire l’energia. A quel punto ti siedi e realizzi quanto eri stanco, quando hai pensieri depressivi o suicidari non ti rendi conto di quanto sei stanco.

Poi si sono concentrati sul fatto che io sono troppo incline a fare mie le opinioni negative degli altri riguardo a me. Se ci fossero dieci persone in una stanza e nove dicessero che sono fantastica e una soltanto dice che sono una stronza, quella sarebbe la persona di cui mi preoccupo e a cui credo, quella lì, deprimendomi perchè qualcuno mi dice che sono una stronza. Sono stati capaci di insegnarmi, cosa che non avevo imparato prima, come fottersene altamente di quelle persone.

E poi un’altra cosa importante è il divertimento, voglio dire “Cos’è che fai solo per divertirti?”, “C’è qualcosa che fai solo per divertirti?”. Mi hanno fatto compilare una lista (Ndt. Bucket list); quindi prima di tutto meriti di più, poi liberarsi di tutti quelli che ti fanno sentire di merda, poi riposare il proprio corpo, prenderti tempo per te stessa e mi hanno fatto mettere insieme una lista delle cose che vorrei fare nella vita, ed è stato fantastico!

In poco tempo ti distolgono dalla sofferenza e ti aiutano a costruire una vita divertente. E’ abbastanza stregonesco il modo in cui funziona la terapia, è qualcosa di inconsapevole, non sai come cazzo facciano, ma di colpo inizi a vivere in modo diverso e a pensare in modo diverso. Sono stata in grado di costruire la vita che voglio, capisci che intendo? Quando hai un disturbo mentale credo sia importante lavorare con i servizi di prevenzione se uno dei tuoi sintomi è il pensiero suicidario.

 

SoM: Hai lottato con problemi interpersonali che ti hanno portato a pensieri riguardo al suicidio?

S: In quel periodo non prendevo i farmaci e al tempo stesso stavano succedendo molte cose molto stressanti. Se fossi stata sotto terapia forse avrei reagito in maniera diversa. Nel mio caso è stata solo la malattia che mi ha fatto pensare al suicidio, ma era una compulsione. Sono arrivata al punto in cui capisco come i sintomi del disturbo bipolare mi hanno fatto sentire come se stessi camminando sott’acqua.

SoM: Camminare sott’acqua… rende bene l’idea di come dovessi sentirti… bene Sinead, credo che tu sia stata veramente coraggiosa ed esaustiva nel raccontare la tua difficile storia, e ti voglio ringraziare a nome di State of Mind e di tutti quelli che affrontano la sofferenza mentale ogni giorno.  

LEGGI L’INTERVISTA ORIGINALE IN INGLESE

 

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