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Empatia & Sbadigli: esiste davvero una relazione?

Esistono vari indizi di tipo neuropsicologico e psicologico che suggeriscono l’esistenza di un legame tra “contagio” di sbadigli e empatia

Di Alessandra Piccolini

Pubblicato il 10 Ott. 2012

Aggiornato il 05 Nov. 2012 12:13

di Alessandra Piccolini

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Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

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Ogni coinvolgimento in relazioni interpersonali ha, per gli esseri umani, basi emotive, e dipende dalla quella capacità di condividere e comprendere le emozioni che noi chiamiamo empatia. Vi chiederete ora cosa c’entri questo tipo di capacità con gli sbadigli. Tutti sappiamo che si tratta di fenomeni contagiosi: sentiamo l’irrefrenabile bisogno di sbadigliare non solo quando vediamo qualcun altro farlo, ma anche quando lo immaginiamo, ne sentiamo il suono, o addirittura quando leggiamo qualcosa sull’argomento (se state sbadigliando leggendo questo articolo, almeno sappiamo che non è – necessariamente – perché vi state annoiando).

Esistono vari indizi di tipo clinico, neuropsicologico e psicologico che suggeriscono l’esistenza di un legame tra il “contagio” di sbadigli e l’ empatia. Questo fenomeno particolarmente curioso inizierebbe infatti a manifestarsi tra i 4 e i 5 anni di età, nel momento cioè in cui i bambini sviluppano l’abilità di identificare le emozioni altrui in modo appropriato (Singer, 2006; Saxe, Carey, & Kanwisher, 2004). A livello neurobiologico, le aree cerebrali che si attivano quando vediamo qualcuno sbadigliare (il cingolato posteriore, il precuneo e la corteccia prefrontale ventromediale) sono le stesse che si attivano durante le interazioni empatiche (Schurmann, Hesse, Stephan, Saarela, Zilles, et al., 2005)

Sbadigliare - Immagine: © Eric Isselée - Fotolia.com
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L’attivazione dell’amigdala supporterebbe inoltre l’ipotesi sull’esistenza una relazione tra sbadigli contagiosi e “l’analisi emozionale” del volto dell’altro, tipica delle interazioni faccia a faccia (Nahab, Hattori, Saad, & Hallett, 2009). Ultimi, ma non per importanza, i “neuroni specchio”: nel caso degli sbadigli, si tratta di particolari neuroni situati nel giro frontale postero-inferiore destro che si attivano durante la visione delle azioni svolte da un partner, prima ancora che queste vengano effettivamente imitate (Arnott, Singhal, & Goodale, 2009). Gli studi sui neuroni specchio svolti nel corso degli ultimi anni ne hanno sottolineato l’importanza per la comprensione delle azioni altrui, un prerequisito dell’ empatia (Rizzolatti, & Craighero, 2004).

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Il primo studio di tipo naturalistico sul legame tra empatia e sbadigli contagiosi è stato invece condotto da Ivan Norscia e Elisabetta Palagi e riportato nell’articolo “Yawn Contagion and Empathy in Homo sapiens” (2011). Gli autori hanno osservato il comportamento di 109 adulti (53 maschi) di nazionalità diverse (europei, asiatici, africani e nord-americani), inconsapevoli dell’osservazione in atto.

Lo studio ha dimostrato che il legame sociale, associato all’ empatia, è in grado di influenzare il contagio di sbadigli in termini di occorrenza, frequenza e tempo di latenza (cioè il tempo trascorso tra il primo sbadiglio e lo sbadiglio di “risposta”). Il primo dato interessante è che queste variabili non erano invece affatto influenzate né dal contesto sociale, né dalla nazionalità dei soggetti. Anche la “modalità sensoriale” (vedere una persona sbadigliare vs sentire il suono dello sbadiglio vs entrambi) non aveva alcun effetto sul “contagio”.

L’importanza del legame sociale nel determinare il tipo di “scambio di sbadigli” si è rivelata invece determinante, a dimostrazione del fatto che l’ empatia gioca un ruolo fondamentale in questo tipo di fenomeno. Non solo il contagio era maggiore se i soggetti coinvolti si conoscevano, ma seguiva anche una sorta di “gradiente empatico”. In altre parole, il contagio minore era quello che si poteva osservare in due soggetti sconosciuti l’uno all’altro, mentre quello maggiore tra persone della stessa famiglia, passando attraverso i due gradi intermedi di “conoscenti” e “amici”.

Si tratta della conferma “comportamentale” di ciò che studi clinici, neurobiologici e psicologici hanno suggerito durante gli scorsi dieci anni. È possibile che la percezione dello sbadiglio altrui attivi reti neurali complesse connesse anche all’imitazione motoria, al comportamento sociale e all’ empatia, e che, di conseguenza, le regioni cerebrali che mappano queste reti vengano sovra-stimolate dalla percezione dello sbadiglio di una persona a cui teniamo. Una tale sovra-stimolazione porterebbe ad una sorta di risposta “potenziata”, coerentemente col fatto che proviamo maggiore empatia nei confronti delle persone a cui siamo più legati.

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