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Intervista al suicidologo Maurizio Pompili

Intervista al suicidologo Maurizio Pompili.

Di Gaspare Palmieri

Pubblicato il 23 Ott. 2012

  

Intervista a Mauruzio Pompili.Intervista al suicidologo Maurizio Pompili, in occasione della Giornata Mondiale per la Prevenzione del Suicidio

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Esattamente un mese prima della Giornata Mondiale della Salute Mentale, il 10 settembre di ogni anno si svolge la Giornata Mondiale per la Prevenzione del Suicidio. Nel nostro paese, dove i tassi di suicidio sono decisamente più bassi di altri paesi europei, l’evento passa spesso in sordina, ma a Roma c’è un gruppo di ricercatori dell’UOC. di Psichiatria dell’Ospedale S. Andrea che già da alcuni anni organizza un evento scientifico che coinvolge i maggiori suicidologi italiani e stranieri e che si impegna in iniziative divulgative sempre improntate alla prevenzione.

Quest’anno ho avuto l’onore insieme ai miei amici musici di suonare le canzoni di Psicantria, in un simpatico dopocena postcongressuale, dove ho incontrato il Dr. Maurizio Pompili, vero deus ex machina dell’iniziativa.

Maurizio Pompili è Professore di Suicidologia presso l’Università La Sapienza di Roma, responsabile del Servizio per la Prevenzione del Suicidio dell’Ospedale Sant’Andrea e rappresentante per l’Italia dell’International Association for Suicide Prevention (IASP). A meno di quarant’anni è autore di oltre 300 (si avete capito bene…) lavori scientifici pubblicati sulle maggiori riviste internazionali, nel 2008 è stato insignito del Shneidman Award dall’American Association of  Suicidology. Insomma, un ricercatore con gli attributi, prova vivente del fatto che non è necessario essere un cervello in fuga per fare ricerca di alto livello.

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Intervista a Maurizio Pompili

GP: Ciao Maurizio, innanzitutto complimenti per le tue iniziative e per l’alta qualità della tua ricerca. Sei davvero uno dei pochi in Italia che riesce ad occuparsi ad alto livello di questo delicatissimo argomento. Come è andato il convegno? Ha soddisfatto le tue aspettative?

MP: Grazie infinite, tutti hanno apprezzato il vostro contributo e sono senza dubbio soddisfatto. Il convegno è andato bene oltre le aspettative.

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GP: Grazie a te dell’invito! Il titolo del convegno era La prevenzione del suicidio nel mondo: rafforzare i fattori protettivi e infondere speranza. E’ emersa qualche novità interessante in tema di fattori di protettivi e sul come eventualmente potenziarli?

 MP: La cosa principale che a me sembra fondamentale è che si sviluppi in ciascun individuo e/o ciascun operatore una cultura sul dramma che vive il soggetto che desidera la morte. Si può comprendere la loro sofferenza solo sul piano umano. Molti contributi tralasciano che in primis c’è l’individuo e poi le statistiche, i fattori di rischio, ecc.

GP: Cosa può infondere speranza oggi alle persone a rischio di suicidio e ai familiari che hanno subito una perdita in modo così devastante?

MP: Una cosa importante è che si parla sempre di più di suicidio e ci si sforza di fare qualcosa per prevenirlo sebbene non sempre in modo funzionale. Un Servizio per la Prevenzione del Suicidio come quello di Roma è sicuramente un passo in avanti di grande impatto. Infatti sempre più soggetti a rischio e familiari che hanno perduto un caro per suicidio si rivolgono a noi e facciamo di tutto per assisterli ed infondere speranza.

GP: Alcuni studiosi di questo argomento che ho conosciuto hanno scelto di occuparsene perché hanno avuto esperienze personali e dirette con il suicidio (parenti, amici, pazienti…). Anche nel tuo caso è stato così?

 MP: E’ una domanda ricorrente… Mi sono trovato più volte nella mia vita a disbrigarmi con la sofferenza estrema ma non ho mai avuto propositi di suicidio. Tuttavia proprio in virtù delle mie esperienze personali forse riesco a comprendere i soggetti a rischio di suicidio che vivono proprio un dolore psicologico insopportabile e che alla fine pensano al suicidio.

GP: Ci racconti del tuo incontro con Shneidman?

MP:L’incontro con Edwin Shneidman è stato uno dei momenti cruciali della mia vita e mi ha arricchito notevolmente. Ho intrattenuto con lui anni di conversazioni telefoniche per poi incontrarlo a Los Angeles. Alcuni anni fa lanciata una nuova rivista di psichiatria, decisi di ospitare un contributo di Shneidman che ci sorprese accettando l’invito. Poi, mentre ero a Boston per un periodo di ricerca, gli avevo scritto offrendo il mio aiuto per fargli giungere la bozza di stampa (non usava l’email). Fui sorpreso una mattina gelida quando arrivando presso il McLean Hospital trovai un suo messaggio nella segreteria telefonica del mio telefono. Con voce entusiasta mi proponeva di richiamarlo. Lo feci subito ignorando in quel momento che a Los Angeles era ancora notte e dunque svegliandolo. Fu amore a prima vista! Passammo un’ora al telefono e poi per anni dall’Italia all’incirca a mezzanotte lo chiamavo quasi tutte le settimane. Incontrarlo fu emozionante; forse per certi aspetti lui lo era più di me. Mi vedeva come colui che poteva continuare la sua opera e dunque ci fidavamo tantissimo l’uno dell’altro. Ricevetti lo Shneidman Award dall’American Association of Suicidology e poi volai a Los Angeles. Shneidman è il padre della suicidologia e mi considero fortunato di aver ascoltato, oltre a tanti insegnamenti, anche tutti gli sviluppi di questa disciplina che lui fondò negli anni cinquanta.

 GP: Come psichiatra purtroppo ho sperimentato sulla mia pelle il suicidio di un paziente ed è stata un’esperienza terribile. Vi occupate anche di questi aspetti di sostegno ai terapeuti che “perdono” un paziente? Che consigli ti sentiresti di dare ai colleghi in questo senso?

MP: Si, è effettivamente un problema trascurato che cerco di illuminare tentando di fornire elementi che possano sostenere i medici che perdono un paziente per suicidio. Ci sono linee guida e suggerimenti per evitare il grande impatto dell’evento sulla vita personale e professionale dello psichiatra.

GP: Mi ha colpito vedere al tuo congresso diversi familiari di pazienti che hanno commesso il suicidio e che ora partecipano attivamente insieme a voi a campagne di prevenzione come il Miki Monte Dj Contest (una competizione per dj organizzata dalla mamma di un ragazzo diciassettenne appassionato di musica e suicidatosi lo scorso anno). Come nascono queste collaborazioni? Immagino siano fondamentali per ridare un senso alla vita di chi sopravvive al suicidio di un famigliare… 

MP: Tutte queste iniziative sono importantissime e non mi sottraggo mai nel sostenerle come intervenire anche solo al telefono rivolgendomi a tutti i presenti nella discoteca oppure riunendo le madri proprio in queste occasioni. Non dimentichiamo che c’è anche la Giornata Mondiale dedicata ai survivors, il 21 novembre di ogni anno e il nostro centro è il referente per l’Italia.

 GP: Ci racconti qualcosa dell’iniziativa Race for Life?

Nasce dal voler portare il messaggio della prevenzione del suicidio tra la gente con strumenti quali il linguaggio dello sport emulando altre iniziative simili in varie parti del mondo. Il numero degli interessati cresce ogni anno e il tema del suicidio, una volta alla luce del sole, non fa poi così tanta paura.

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GP: Il vostro Centro di Prevenzione del Suicidio rappresenta un’avanguardia a livello nazionale. Quali difficoltà ci sono nell’inserire a livello istituzionale questo tipo di Servizio?

 MP: Il Servizio per la Prevenzione del Suicidio nasce con sforzi pioneristici, senza soldi né strumenti ma con la buona volontà di molti collaboratori. Decisi che volevo essere rappresentato da un vero servizio che avesse una helpline e che promuovesse la prevenzione del suicidio. Ricordo che le mie psicologhe mi raggiungevano prima dei turni di notte quando c’era più calma per stilare i capisaldi della nostra attività. Ci sono veramente tante soddisfazioni nell’aiutare chi è in crisi e nel fare ricerca. Purtroppo non ci sono sostegni e molti di coloro che sono coinvolti sono spesso tirocinanti, volontari, ecc. che vengono addestrati ma non hanno vere garanzie.

GP: Dal punto di vista epidemiologico, l’Italia continua a mantenere i bassi tassi di suicidio tipici dell’area mediterranea o le cose stanno cambiando?

 MP: Ci sono circa 4000 suicidi ogni anno in Italia. L’ISTAT ha recentemente emanato una circolare chiarendo che i dati in suo possesso sono solo frutto dei report dei Carabinieri e dunque incompleti, mettendo in discussione la cifra inesatta dei 3000 suicidi annui in Italia. Purtroppo, recentemente si è registrato un aumento statisticamente significativo nella fascia di età tra i 25 e i 69 anni, ovvero la fascia in attività lavorativa.

 GP: Un’ultima domanda…come hai fatto a incontrare il Papa?

MP: Incontrare il Papa è un privilegio frutto, suppongo, della grande dedizione alla causa per la prevenzione del suicidio. Una serie di contatti preliminari con autorità del Vaticano hanno poi portato all’incontro. Si tratta di un momento unico e di grande significato e che è accompagnato da un cerimoniale estremamente rigido. Gli dissi che mi occupo di prevenzione del suicidio e dopo un momento di esitazione ebbe un sorriso rassicurante, due mani piene di calore. Esclamò, dopo la mia richiesta di aiuto, “Che Dio benedica la prevenzione del suicidio”.

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nota: Edwin Shneidman (1918-2009) è stato uno psicologo statunitense, che viene considerato il padre della suicidologia. 

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