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Psicoterapia: Il Disputing del Panico – Parte IV

Chi soffre di panico ha difficoltà a collegare le emozioni alle situazioni. Di qui la propensione a vivere le emozioni in maniera terrifica.

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 08 Ott. 2012

 

LEGGI PARTE I  – PARTE II –  PARTE III        LEGGI: INTRODUZIONE AL DISPUTING DEI DISTURBI D’ANSIA

Psicoterapia: il Disputing del Panico - parte IV. - Immagine: © Andreas Gradin - Fotolia.com

La mancanza di senso è ciò che rende il panico un’emozione così terrorizzante.

Occorre incoraggiare il paziente a trovare spiegazioni alternative per la propria vulnerabilità al panico, pensando al contesto sia della situazione che generale.

Riflettere quindi se si era in uno stato particolare affaticamento di stress o in un stato generale di fatica, sconforto esistenziale e perfino dolore. Il paziente panicoso, infatti, ha una particolare difficoltà a collegare le emozioni alle situazioni. Di qui la sua propensione a vivere le emozioni dolorose in maniera terrifica, proprio perché non cerca di trovare spiegazioni, ma le vive come stati di terrore insensato e inspiegabile.

Panic Attack - © Scanrail - Fotolia.com
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Aiutarlo a comprendere invece che si può essere in una situazione di vulnerabilità generale legata a un evento problematico può aiutarlo a ristrutturare il panico in maniera meno terrificante. Ad esempio, il paziente può stare vivendo una separazione, un cambio di lavoro o di residenza, o qualunque altra situazione problematica e stressante che lo può rendere più facilmente predisposto a emozioni intense. Una volta che il paziente impara a dare un significato alle proprie emozioni potrà soffrire in maniera diversa. Riconoscere di essere tristi o ansiosi per la fine di una storia sentimentale o per un cambio di lavoro potrà aiutare la trasformazione del panico in uno stato di disagio maggiormente tollerabile perché dotato di senso. La mancanza di senso è ciò che rende il panico un’emozione così terrorizzante.

Riflettere sulla storia di vita e sulla situazione di vita del soggetto può aiutare a rivelare nuove convinzioni cognitive riguardanti la relazione con gli altri. Come abbiamo potuto già leggere, nella sintomatologia DSM del panico, infatti, troviamo spesso la convinzione che il panico sia meno probabile in presenza di figure affettive rassicuranti. Tuttavia con queste figure il paziente può intrattenere una relazione difficile, fatta di dipendenza e al tempo stesso di sofferenze e controllo reciproci. Esplorare a fondo queste relazioni può far emergere delle credenze di dipendenza.

Può essere necessario quindi analizzare a fondo la crescita del nostro paziente, il suo modo di relazionarsi con gli altri e in particolare con le figure affettivamente significative. È possibile che questa persona non riesca a concepire i legami affettivi in maniera flessibile, ma che sia incatenata a relazioni controllanti in cui egli o lei tendano a richiedere vischiosamente la presenza dei partner al loro fianco, pena lo scatenamento del panico stesso. Si tratta quindi di legami con uno sfondo ricattatorio. Non a caso, secondo David Winter, questi soggetti hanno molto a cuore il tema del tradimento e dell’abbandono.

Il partner va tenuto al guinzaglio proprio con il ricatto della necessità di essere accuditi.

Si crea quindi una relazione ambigua, in cui sia l’individuo con il panico che il suo partner condividono una soffocante schiavizzazione reciproca. Essi si costringono a vicenda a non potersi allontanare e a non poter curare spazi propri. La libertà è temuta come minacciosa, ma al tempo stesso il legame reciproco è così chiuso e controllante da essere vissuto con disagio, sconforto e dolore. E anche con rabbia, sia pure latente e poco espressa.

Oltre alla ristrutturazione cognitiva della interpretazione catastrofica si possono aggiungere degli esercizi comportamentali e meditativi che diminuiscono al sensazione di perdita di controllo.

 

LEGGI PARTE I  – PARTE II –  PARTE III        LEGGI: INTRODUZIONE AL DISPUTING DEI DISTURBI D’ANSIA

 

 

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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