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Report dal 3° Congresso Mondiale di NeuroMusicologia Clinica (Day 1)

La musica ci fa stare meglio. Chi sostiene quest’idea si incontra per spiegare le loro teorie e mostrare i risultati del loro lavoro.

Di Lucio Montagna

Pubblicato il 10 Ott. 2012

 

Parlando di Musica: Report del Congresso di Neuromusicologia di Brescia

Report del Congresso di Neuromusicologia di Brescia. - Immagine: © olly - Fotolia.comLEGGI IL REPORT SULLA SECONDA GIORNATA DEL CONVEGNO di GASPARE PALMIERI (Day 2)

La musica ci fa stare meglio. È certo. E con sempre più entusiasmo le grandi menti che sostengono quest’idea si incontrano per spiegare le loro teorie e mostrare i risultati del loro lavoro.

Il 21 e 22 settembre al Congresso di Neuromusicologia di Brescia, sono intervenuti neurologi, sociologi, psicologi, psichiatri che si sono espressi sul valore della musica come sostegno per recuperare le abilità perdute. Sono intervenuti scienziati da tutto il mondo come Ryo Noda, che, presentando la sua ricerca “Effect of the musico-kinetic therapy” (MKT), ha voluto dimostrare che movimento e musica (o meglio, movimento a tempo di musica), riescono a restituire capacità motorie perdute a causa del Parkinson. 

Della stessa idea è anche C. Jola che, con “The neuronal processes of dancing experiences”, spiega come la musica sia capace di stimolare quegli stessi neuroni-specchio che si attivano osservando un danzatore, creando già uno schema mentale di movimento. 

Non sono mancati gli interventi sugli aspetti comunicativi e cognitivi della musica, come quello di T. Fritz, che ha spiegato in modo molto chiaro come il linguaggio musicale sia convenzionalmente deciso dalle popolazioni che ne fruiscono. Vale a dire che se proponessimo l’ascolto di un brano di musica occidentale ad un membro della tribù dei Mafa, in Cameroon (questo era il suo esempio), questi ne riconoscerebbero la struttura musicale, ma non il messaggio, convenzionalmente inteso e assorbito da noi, che siamo ormai abituati ad interpretare schemi fissi di melodie, armonie e ritmi.

Sinead O'Connor
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Per quanto riguarda il carattere psicoterapeutico della musicoterapia, sono stati molto interessanti gli ultimi tre interventi della prima giornata, quelli di Rita Formisano, “Music therapy in patients with disorders of consciousness”, A.L.Christiensen, “The influence in rehabilitation of individual human skills in music, literature or mathematics to ensure reconstruction after brain injury” e quello della prof.ssa Licia Sbattella che, con la sua ricerca “The orchestral texture of the mind: harmonization and modulation of self”, ha presentato i risultati raggiunti in ambito sociale e cognitivo, chiudendo inoltre il congresso con un concerto dell’orchestra di Esagramma, composta da ragazzi con problemi cognitivi, sindromi degenerative e problemi sociali. 

La musica, ancora una volta, ha dimostrato di essere in grado di mettere insieme gruppi umani, attraverso la partecipazione a eventi musicali.

In un clima di grande entusiasmo e cordialità, è stato bello assistere a tante manifestazioni di rispetto per il lavoro l’uno dell’altro. Gli esperti partecipavano con grande entusiasmo e si facevano domande reciprocamente, davanti a tutti durante gli interventi, affinché tutti potessero godere dell’approfondimento.

La neuromusicologia è una nuova branca delle neuroscienze. Questa nasce dalla acquisita consapevolezza del potere del linguaggio sul nostro cervello e sul suo corretto funzionamento, ma soprattutto dalla consapevolezza dell’enorme relazione tra linguaggio e musica, per la loro organizzazione tematica, temporale, per la loro vicinanza al movimento e alla respirazione.

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Per quel che concerne il potere terapeutico della musica riporto qui un interessante intervento del fondatore della Società Internazionale di Neuro Musicologia e organizzatore del Congresso, Giorgio Brunelli: “Nel cervello ci sono particolari strade o sentieri: Il sentiero del ‘dove’, del ‘come’, del ‘cosa’, che vanno dai punti di  entrata delle sensazioni fino ai lobi frontali. Quando il cervello è distaccato dal mondo esterno, i suoni musicali che entrano nell’orecchio e trovano nel cervello queste strade, possono seguirle, anche passivamente, e in questo modo riattivare quei percorsi che c’erano prima della malattia.”.

Giuliano Avanzini (neurofisiologo, primario emerito dell’istituto neurologico Carlo Besta di Milano), ha parlato del rapporto tra neuroscienza e musica. La neurologia, che ai propri esordi si è occupata di studiare la struttura del linguaggio nel nostro cervello, non si è mai occupata di studiare la musica nello stesso modo, eppure, musica e linguaggio hanno innumerevoli punti in comune. Infatti sono sistemi di comunicazione presenti in tutte le culture umane. Si è scoperto in tempi recenti che l’area del cervello che si occupa di elaborare il linguaggio è molto importante anche per elaborare la struttura musicale, rendendola di senso compiuto. Dà quindi un’organizzazione sintattica.

La musica è una terapia utile a tante malattie neurologiche. Si svolge nel tempo e crea un “tempo”, ossia un’organizzazione temporale. La musica riesce a restituire una capacità di dare un ritmo al movimento (alcuni pazienti riescono a ritrovare una camminata regolare grazie alla musica. Senza questa ci riescono difficilmente).

Naturalmente però la musica non fa solo questo. La musica ci unisce, ci stimola, ci fa riflettere su noi stessi e sugli altri.

La musica chiama altra musica. Imparando ad ascoltarla, potremmo anche imparare a sentirci meglio.

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