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Partecipazione e Cittadinanza: uno Sguardo Metodologico

Permane il desiderio di partecipazione alla vita della propria comunità/società, anche in termini di assunzione di decisioni su varia scala.

Di Redazione

Pubblicato il 28 Set. 2012

Di Marcella Offeddu.

 

Partecipazione e Cittadinanza: uno Sguardo Metodologico. - Immagine: © AMATHIEU - Fotolia.com

Partecipazione: permane in molti cittadini il desiderio di essere parte attiva della vita della propria comunità/società, anche in termini di assunzione di decisioni su varia scala.

La partecipazione alla Res Publica, intesa come partecipazione politica in senso lato, e quindi come cittadinanza attiva, è sempre più al centro del confronto in merito a cosa significhi parlare di comunità nell’era contemporanea.

Dalla comunità virtuale ai movimenti ‘dal basso’, sembra necessario identificare da una parte quali siano i luoghi dello stare insieme oggi, e dall’altra quali siano i modi di convivenza e di assunzione di decisioni.

Se infatti, storicamente, alcune strutture hanno permesso di definire la propria appartenenza (anche come scelta di non appartenenza), e le modalità della propria partecipazione alla vita sociale, dai partiti politici ai sindacati ai centri religiosi, oggi tali strutture appaiono meno in grado di rappresentare grandi parti della società civile.

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Permane in molti cittadini, però, il desiderio di essere parte attiva della vita della propria comunità/società, anche in termini di assunzione di decisioni su varia scala (dalle strategie macro alle scelte di impatto meno elevato).

Esserci, dunque, e agire, non solo nel momento della consultazione – come accade durante le elezioni – ma anche nel quotidiano.

È probabilmente anche per rispondere a tali esigenze, oltre che per garantire l’assunzione di scelte che siano quanto più possibile condivise, che si sono sempre più affermati a livello internazionale modelli cosiddetti ‘partecipativi’. Si tratta di un insieme estremamente variegato di modelli e strumenti, che spesso fanno riferimento all’approccio della democrazia deliberativa.

Tale approccio si appoggia sul concetto di ‘partecipazione’ attribuendo al termine (che di per sé, come vedremo, può assumere significati molto diversi) una accezione molto elevata: partecipazione non solo come assunzione di informazioni (partecipo perché so cosa succede), ma come vero e proprio confronto guidato/‘facilitato’ tra interlocutori informati, che porta ad una deliberazione (cfr in proposito documento di R. Lewanski). Confronto ed inclusione divengono due pilastri fondamentali di tale approccio.

Una chiave di lettura delle molteplici facce che il termine ‘partecipazione’ può assumere è fornita dala Scala della partecipazione proposta da S. Arnestein nel ’69.

Essa (vedi infra) prevede otto livelli di possibile coinvolgimento del cittadino, a partire dalla manipolazione per arrivare fino al controllo da parte dei cittadini stessi; gli otto livelli sono a loro volta organizzati in tre macro‐livelli: non partecipazione, partecipazione di facciata, e potere dei cittadini.

Scala della Partecipazione - Arnestein

Questa scala presenta una coerenza interna tra livelli non piena, ma è tuttora utilizzata come riferimento poiché ben rappresenta le diverse possibilità. La categorizzazione presentata risulta particolarmente utile per organizzare, e dunque leggere, la molteplicità di metodi che da decenni vengono proposti in ogni parte del mondo, e che possono a vario titolo essere considerati come metodi ‘partecipativi’.

Una lettura di carattere storico dello sviluppo e dell’utilizzo di tali metodi è proposta da Lewanski, il quale mostra anche in  quali  condizioni  sociali  e  politiche  si  sono  sviluppati modelli diversi (dal Bilancio partecipativo nato nell’esperienza di Porto Alegre nel 1989, al Town meeting sperimentato tra i primi a New York e tuttora in uso negli Stati Uniti, ai modelli più diffusi in Europa come la Consensus Conference).

In questa occasione si preferisce invece fornire un primissimo e molto generale sguardo ad alcuni metodi partecipativi in uso, incrociando la scala di Arnestein, a partire dal livello 3 – informazione – con i contesti di utilizzo dei metodi partecipativi.

Fino ad ora si è trattato infatti dei metodi partecipativi in diretta relazione con l’utilizzo per la vita sociale e politica, come mezzo per il coinvolgimento in decisioni istituzionali dei cittadini.

Esiste però almeno un altro grande ambito all’interno del quale metodi che si definiscono partecipativi vengono utilizzati: si tratta delle attività legate al cambiamento organizzativo (change management). In questo contesto, l’utilizzo di tali metodologie non risponde solo ad un approccio di tipo etico/politico: risponde anche a  specifiche esigenze di  operazionalizzazione delle decisioni assunte, di  assunzione di responsabilità e coinvolgimento in prima persona di ogni soggetto attivo nell’organizzazione. 2

Questa sintetica ‘fotografia’ può risultare utile per chi si interfacci per la prima volta con tali tematiche anche per identificare un metodo che sia applicabile al suo contesto/obiettivo.

Offeddu-cittadinanza-

•  W.   ToP   (Tecnology   of   Participation):   workshop guidato da un facilitatore per gruppi di lavoro che permette di sviluppare idee ed assumere decisioni significative

• GOPP: Goal Oriented Project Planning, permette di progettare, gestire e valutare interventi in maniera condivisa tra gli attori‐chiave

• Focus Group: permette di conoscere l’opinione di piccoli gruppi di partecipanti tramite un processo di confronto  guidato.  Non  necessariamente  porta  ad una deliberazione finale

•  Brainstorming: permette di coinvolgere i partecipanti tramite la produzione di idee ed il confronto. Non necessariamente porta ad una deliberazione finale

•  Town  meeting:  permette  di  conoscere  l’opinione informata di ampi gruppi di cittadini, attraverso un confronto supportato da facilitatori

• Bilancio  partecipativo:  permette  di  conoscere l’opinione di ampi gruppi di cittadini in merito alla gestione degli investimenti di una amministrazione

• Citizen Jury: permette di conoscere l’opinione dei partecipanti su una decisione controversa: l’obiettivo è produrre un ‘verdetto’

•   Sondaggio:  permette  di  conoscere  l’opinione  (non necessariamente informata) di ampi gruppi su ipotesi predefinite

Le differenze tra i due contesti di utilizzo citati sono molteplici, anche per quanto riguarda la scelta di modelli  e  metodi  per  la  partecipazione: innanzitutto, perché diversi sono gli attori del sistema, sia per quanto riguarda i promotori del processo partecipativo (amministratori in un caso, dirigenti d’azienda o coordinatori di gruppi di lavoro nell’altro),  sia   per   quanto   riguarda   coloro   che possono candidarsi come facilitatori (più facilmente scienziati politici o sociologi nel primo caso, psicologi del lavoro nel secondo).

 Inoltre, molto diversa può essere l’ampiezza dell’intervento: utilizzare metodi partecipativi come strumento di  azione  politica/istituzionale (ad  esempio nei  piani  di  sviluppo territoriale come  sempre più  spesso avviene) implica che possono essere coinvolte da 8/10 fino a centinaia di persone. Utilizzarli invece per il cambiamento organizzativo implica che spesso gli interlocutori saranno gli appartenenti ad un gruppo di lavoro, o ad un’area: più facilmente si parla di meno di dieci di persone.

L’ampiezza del campione comporta la scelta di strumenti diversi e/o una loro applicazione che sia sensibile a questa variabile: un town meeting, ad esempio, può essere realizzato con piccoli gruppi, o coinvolgere, soprattutto nella variante che si avvale di supporti informatici (elettronic town meeting) moltissime persone.

I due ambiti sono dunque da considerarsi e studiarsi separatamente: in questa sede si è ritenuto utile affiancarli per completezza. In conclusione, è utile segnalare il fatto che – oltre a quelli citati ‐ si ritiene che un terzo ambito possa trarre grandissimo beneficio dall’assunzione di approcci, e dall’applicazione di metodi,   partecipativi:  si   tratta   della   formazione  professionale.  Tale   proposta   viene   argomentata nell’articolo Partecipare per apprendere.

 

 

BIBLIOGRAFIA:

  • Arnstein, S.R. (1969). “A Ladder of Citizen Participation”. In Journal of the American Institute of Planners, Vol. 35, No. 4, July 1969, pp. 216-224. Boston: American Institute of Planners. Retrieved February 17, 2006 DOWNLOAD
 
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