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La Relazione Terapeutica nella Terapia Cognitivo-Comportamentale – EABCT 2012

Relazione terapeutica: le qualità ottimali che il terapeuta deve possedere comprendono calore umano, empatia e schiettezza.

Di Redazione

Pubblicato il 13 Set. 2012

 di Carmelo La Mela, psichiatra psicoterapeuta.

Scuola di specializzazione in psicoterapia “Scuola Cognitiva Firenze

 

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EABCT 2012 GenèveSi è concluso da pochi giorni il 42° Congresso annuale dell’EABCT,  di cui abbiamo letto le interessanti cronache e gli approfondimenti nelle pagine di questo giornale.

Ho partecipato al Congresso e mi ha sorpreso il non trovare neanche un simposio dedicato ad un tema a me caro: la relazione terapeutica. In realtà qua e là nei lavori presentati faceva capolino l’argomento e sicuramente lintervento di Liotti è stato il più fecondo di stimoli in questo senso.

Mi sono chiesto il perché di questa mancanza: argomento poco “cool” per il congresso? Tema troppo aspecifico nella TC? Altro? Penso che una parte della risposta stia nel successo stesso della TC.

La TC è stata ed è una terapia con alti tassi di efficacia nell’attenuazione e nel controllo della sintomatologia clinica in particolare dei disturbi psicopatologici di asse I, secondo il DSM.

Negli anni 90, dopo il grande successo anche empiricamente dimostrato nel trattamento dei disturbi depressivi e d’ansia, le sue tecniche e il suo programma di ricerca sono stati progressivamente estese alle diverse aree psicopatologiche, individuandone le specifiche credenzedisfunzionali e mettendo a punto tecniche che ne ristrutturassero la funzionalità e modificassero i comportamenti e altri fattori che mantenevano il problema attivo. 

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Tutto ciò accompagnato da una esponenziale diffusione della fama e  della applicazione della TC tra gli psicoterapeuti di tutto il mondo. Sul tema della relazione terapeutica era sufficiente ciò che raccomandava A. Beck fin dai suoi primi libri sulla depressione: “le qualità ottimali che il terapeuta deve possedere comprendono calore umano, empatia e schiettezza”, queste caratteristiche modulano la collaborazione terapeutica in modo da favorire l’applicazione e quindi l’efficacia del trattamento.

L’empatia intesa come capacità del terapeuta di entrare nel mondo del paziente, cercando di provare le medesime sensazioni e sentimenti provati dal paziente, e la condivisione di questa esperienza, aumenteranno nel paziente la percezione di essere capito e faciliteranno la nascita di una fiducia nel rapporto terapeutico. Ancora più chiaramente viene sottolineata l’importanza di una “intesa cioè di un accordo armonioso” tra i due.

In quelle pagine si trovano già gli elementi principali di ciò che poi Bordin (1979) sistematizzerà in un modo che diventerà paradigmatico nella successiva riflessione sulla relazione terapeutica al di là del modello teorico. Goal, task e bond sono gli elementi che vengono identificati  da Bordin nel 1979, come fattori fondamentali nella costruzione e mantenimento di una relazione terapeutica.

Beh per la TC era già tutto lì. Ma, è stata talmente grande la forza dei primi due elementi nell’impatto sull’esito (goal, obiettivo della terapia e task, la strategia-compito per raggiungerlo) elementi tra l’altro così intrinseci alla TC da oscurare e rendere trascurabile l’importanza del terzo fattore (bond, il legame).

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In quegli anni pochi appassionati esploratori di territori di confine, si sono dedicati alla riflessione sull’argomento. Da loro sono comunque arrivati contributi fondamentali, più rari quelli provenienti dal mondo anglosassone, il più importante dei quali da parte di Safran e Segal (1990) con il volume “Il processo interpersonale in terapia cognitiva” edito da Feltrinelli, ma non più disponibile (perché? Dovrebbe essere un libro di testo per tutti i giovani terapeuti cognitivi).

Credo, inoltre, debba essere sottolineata l’originalità di due autori italiani Antonio Semerari (2000) e Gianni Liotti (2005) che, da prospettive diverse, hanno messo al centro della loro riflessione la relazione tra paziente e terapeuta fin dall’inizio del loro lavoro, rappresentando una avanguardia nel panorama del cognitivismo internazionale.

E’ con l’estensione del modello cognitivista all’area dei disturbi di personalità e al trattamento dei cosiddetti “casi difficili” che il modello”standard” ha mostrato i suoi limiti e l’attenzione alla RT (relazione terapeutica) è diventata non più eludibile.

E’ esperienza clinica di tutti, infatti, la sensazione di stallo che in certi momenti si prova durante la terapia con pazienti di questo tipo: a volte caratterizzata da irritazione per una sfida continua, a volte da fascinazione, da noia, da un senso di impotenza.

Termini come crisi, rottura e riparazione della RT sono diventati usuali nella comprensione di ciò che avviene nel processo terapeutico.

Monitorare ciò che avviene in terapia anche alla luce di ciò che succede nella relazione, dando senso ai propri stati mentali e facendo ipotesi su quelli dell’altro e utilizzare tutto questo con finalità terapeutiche appare ineludibile con questi pazienti, che vedono proprio nello scadimento del loro funzionamento relazionale una delle conseguenze fondamentali della loro psicopatologia.

E’ quindi inevitabile che questa difficoltà relazionale si rifletta nel rapporto col terapeuta. Un terapeuta che si avventuri nel lavoro con questi pazienti avrà bisogno di conoscere non solo i meccanismi che regolano questo rapporto ma anche dovrà essere consapevole delle proprie modalità di costruzione e gestione delle relazioni e delle proprie vulnerabilità rispetto a queste. Lo siamo?

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