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Storie di Terapie #10 – Le bugie di Filippo

Storie di Terapia #10 - Filippo è un uomo spaventato, bisognoso di affetto, che racconta bugie, così goffo e sbadato da combinare guai.

Di Roberto Lorenzini

Pubblicato il 02 Lug. 2012

Aggiornato il 03 Set. 2012 14:11

STORIE DI TERAPIE

Nei casi clinici che seguono, l’arrosto sostanzioso dei vari pazienti è condito con il sugo della fantasia, per rendere non identificabili le persone e la lettura più avvincente. Spesso ho condensato in un solo paziente più persone e, quasi sempre ci sono scappati pezzetti di me stesso.   – Leggi l’introduzione –   

  • Disturbo dipendente di personalità

Storie di Terapia #10 - Le bugie di Filippo. Immagine: © Stephen Coburn - Fotolia.comL’arrivo di Filippo è stato preannunciato dalla telefonata allarmata di una sua amica e  mia collega. Sembra trattarsi di un’ emergenza relazionale: la moglie Francesca ha scoperto una  tresca con una certa Simona e ha deciso di piantarlo. Lui è disperato perché anche Simona ha fatto un passo indietro e non ne vuole più sapere.

Filippo è un quarantenne spaventato, bisognoso di affetto e riconoscimento come un bambino prescolare, talmente goffo e sbadato da combinare sempre guai. Minacciato dalla calvizie, ha una conversazione amabile anche se, per darsi un’aria da pensatore, tiene a lungo in sospeso le vocali che si trasformano in un lamento che suscita la voglia di dargli un colpo per disincantarlo. La richiesta è semplice quanto irricevibile: mi chiede di  convocare Francesca e calmarla, spiegandole che sono cose di poco conto che succedono in tutti i matrimoni. Il loro va avanti da undici anni ed hanno due figli, Luca e Marianna.

 Personalmente comprendo perfettamente lo stato d’animo di imbarazzo devastante  tipo “maperchèilBigOnenonavvieneadessosottoimieipiedienonsprofondofinoallanuovazelanda”, tuttavia quello che mi intriga è la manifesta goffaggine di Filippo. Da quando è stato scoperto dalla moglie con il cosiddetto ”sorcio in bocca”, dopo le negazioni e le smentite rituali fatte seguire da promesse di rinnovato, l’imperituro amore  è stato colto in flagranza altre tre volte: sms con acrobatico sesso virtuale, mail con allegate le foto del possibile prossimo week end e telefonata da film porno con il cordless di casa da sotto un accappatoio in bagno, diffusa in contemporanea sugli altri apparecchi di casa dove si era rapidamente appostata tutta la famiglia “per sentire le porcate di papà”.

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Francesca, che sento soltanto una volta per telefono per consigliarle un collega al quale rivolgersi, è una milanese con una voce affascinante, trasferitasi a Roma in esilio per seguire il suo amore incontrato in vacanza in costa Smeralda.

Ha parole poco lusinghiere per il marito, che dice di voler cancellare dalla sua vita. Per la verità dice di non ucciderlo solo per non privare i figli di una fonte di reddito. Lei si tormenta, rimuginando sul tradimento ed andando alla ricerca di prove retroattive attraverso il dispiegamento di una campagna spionistica e di controllo degna del Grande Fratello (quello di Orwell).

Compito non difficile, perché Filippo continua a disseminare  prove a suo carico e documenti compromettenti come in preda ad una parafilia che raggiunge il suo climax nell’essere svergognato, una sorta di esibizionismo senza trench e occhiali scuri. Il messaggino “lo so che stai con quella t?!*a” la signora deve averlo salvato tra le bozze,  perché la frequenza con cui arriva durante l’ora della seduta non è altrimenti giustificabile. Filippo finge di risponderle in mia presenza, ma dopo mi confesserà che scriveva a Simona. Ci accordiamo sullo spegnimento dei cellulari, lo fa ma con evidente sofferenza, ho l’impressione di stare per cacciarmi in un guaio e sento, però, la stessa adrenalinica attrazione per i guai di cui deve essere preda Filippo. E’ un simpatico pasticcione. Si parte per la psicoterapia!

Per avere una idea della goffaggine di Filippo necessitano due aneddoti .

La vecchia sorella della madre gli chiede di regolarizzare i contributi per la badante che l’assiste, essendogli arrivato un avviso dalla sede INPS . Poiché la zia è nata a Perugia, Filippo  parte insieme alla badante ma, giunto lì, si accorge che non c’è alcuna sede INPS. Solo allora si avvede che l’ufficio dove recarsi è quello di Roma. Considerato che ormai è arrivato a Perugia a vuoto, ricicla il viaggio di lavoro in una gita, pranzo in un localino del centro e motel con la quarantacinquenne badante che, il giorno successivo, lascia sulla segreteria telefonica di casa appassionati ringraziamenti.

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Ancora. Durante il periodo più burrascoso della separazione, mentre si stava decidendo per l’assegnazione dei figli, trascorre con loro un week end in campagna. Facendo giocare i bambini a guidare il trattore, finiscono tutti dentro la piscina. Soddisfatto delle sue gesta, Filippo immortala le immagini con il telefonino e le spedisce a Francesca. Si può immaginare cosa rappresentino tali immagini in mano all’avvocato di Francesca per dimostrare l’affidabilità di Filippo.

Filippo è nato due anni dopo suo fratello Roberto che è sempre stato bello, intelligente, bravissimo a scuola e desiderato dalle donne, avute sempre in abbondanza. Il confronto con lui è costante e Filippo risulta sempre perdente, ha dei ricordi tristissimi dell’ infanzia. I genitori adoravano Stefania, la primogenita e Roberto mentre non nascondevano che lui fosse giunto indesiderato, lo lasciavano sempre con una tata e non lo portavano neppure in vacanza con loro. Le uniche vacanze estive che ricorda sono avvenute in un paesino interno della Sardegna, a casa della tata. Quando parla della sua infanzia e dell’adolescenza piange regolarmente e giura che, per i suoi figli, non sarà così. Il padre ha voluto che studiasse Economia e Commercio per affidargli la gestione della sua azienda di import-export che però è fallita quando faceva il terzo anno dell’università. Si è riciclato con successo come promotore finanziario.

Se non somigliasse decisamente al fratello ci sarebbero tutti i motivi per pensare che sia un figlio illegittimo. La sua partecipazione alla vita familiare è sempre avvenuta nel ruolo di servitore, senza diritti e senza appartenenza, dei bisogni degli altri. Filippo non sa dire mai no a nessuna richiesta e si presta a qualsiasi vessazione gli altri gli impongano.

Ad esempio, la trattativa sulla separazione è disastrosa, cede su tutto e addirittura sopravanza le già esose richieste della controparte. Il senso di colpa, inoltre, potenzia enormemente questo suo meccanismo fino a farlo diventare grottesco: a Francesca lascia la casa, la macchina, il motorino e tremila euro mensili per gli alimenti. Tutte le mattine passa a portare a spasso i tre cani di Francesca e cura tutti gli aspetti amministrativi della vita di lei.

L'insostenibile leggerezza del Bugiardo Patologico - © SCPixBit - Fotolia.com -
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Si comporta così praticamente con tutti e, in special modo, con le persone che ama, è l’unico modo che conosce per farsi amare. Ma non funziona, gli si abituano facilmente e chiedono sempre di più, non basta mai e lui è sempre in difetto.

Poi, però, di nascosto ruba la marmellata. Ho l’impressione che sia la sua vendetta, nel caso in specie la marmellata è il sesso trasgressivo con altre donne.  Nell’anno della separazione dichiarava che l’unico suo scopo esistenziale fosse recuperare il rapporto con Francesca che invece era rifiutante e punitiva. Poi, ogni qual volta le tensioni si attenuavano, combinava un guaio, faceva sesso con la migliore amica di Francesca che dimenticava il collant in macchina, riesumava vecchissime passioni con contatti per mail o per sms che venivano regolarmente intercettati, e così via.

Un altro aspetto psicopatologico interessante è la tendenza a mentire per coprirsi da eventuali colpe anche quando non ce ne sarebbe motivo: mente preventivamente e in modo indiscriminato, nasconde ogni amante alle altre e a tutte i suoi rapporti con Francesca. La colpa, per lui, è di default.

Mi sembra che il comportamento del tradimento compulsivo abbia vari scopi: in primo luogo ogni conquista è una conferma della sua amabilità sempre incerta, in secondo luogo è un modo di punire l’altro che non lo riconosce a sufficienza nonostante i suoi sforzi per accontentarlo, infine  è una specie di test sull’amore del tipo “vediamo se mi perdona nonostante le mie birichinate”.

Per questo è diventato un bugiardo patologico ma di tipo 1 o finalistico. A mio avviso i bugiardi infatti si dividono in due grandi categorie: di tipo 1 o finalistici e di tipo 2 o kamikaze. Quelli di tipo 1 mentono per raggiungere uno scopo: esercitare una professione desiderata senza averne la laurea, appropriarsi di denaro, fare sesso aggiuntivo a quello di ordinanza, rimandare scadenze onerose etc.  Il bugiardo 1, se bravo e fortunato, può non essere scoperto ed ottenere il suo scopo. Tutti siamo stati più volte dei bugiardi di tipo 1.

Il bugiardo di tipo 2 sembra invece motivato, al di là dello scopo apparente, dal brivido stesso del mentire, non  ha alcuna possibilità di non essere scoperto.

Un’altra mia paziente, appartenente a questa categoria, aveva inventato un fidanzamento per far contenta la madre, impaziente di vederla sistemata. Ad ulteriori richieste della madre aveva comunicato la data del matrimonio e, ogni volta che si riprometteva di rivelarle tutto, la vedeva così contenta e temeva così tanto di deluderla che inventava un altro pezzo. Nell’ordine: aveva frequentato un corso per la cresima, prenotato la chiesa, comprato l’abito bianco, acquistate le bomboniere e fissato il ristorante. Le bugie del bugiardo di tipo 2 non hanno alcuna possibilità di non essere scoperte, il giorno del matrimonio prima o poi arriverà e tutto salterà fuori, ma questa è un’altra drammatica storia.

Al contrario le bugie di Filippo erano di tipo 1 e, se non fosse stato così goffo e sbadato, non sarebbe mai stato un mio paziente, ma solo uno dei tanti mariti fedifraghi. Tutto il caos generato dalla scoperta della relazione con Simona giunse inaspettato dopo sette anni di matrimonio, che erano stati punteggiati da numerosi tradimenti. Tra i due coniugi c’era un accordo implicito che solo allora fu trasgredito. Filippo e Francesca avevano bisogni sessuali diversissimi: lei apprezzava una sessualità tranquilla, routinaria, conosciuta e senza sorprese, lui era sempre alla ricerca del nuovo, il sesso era un pensiero fisso che sovrastava tutti gli altri scopi della sua esistenza.

In verità forse anche questa compulsiva ricerca era strumentale a qualcosa di ancor più importante: sentirsi amabile e amato. Lui aveva da Francesca il permesso, implicito, di fare sesso con tutte le colleghe che desiderava e aveva anche un consistente budget da investire in prostitute e transessuali per le acrobazie che anche le colleghe gli negavano. Poteva uscire la sera a suo piacimento e senza controlli, doveva solo inventare bugie plausibili per salvare la faccia in modo che lei potesse dire a se stessa di non sapere, solo di sospettare.

Doveva però lavarsi accuratamente al ritorno per non portare a casa malattie e non doveva innamorarsi, il monopolio dell’innamoramento doveva rimanere di Francesca che in maniera totale, assoluta ed esclusiva era stata amata dall’adorato padre e che, con il proprio genitore, intratteneva un rapporto al cui confronto Edipo era un figlio disamorato.

 

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Il guaio, perciò,  fu rappresentato dal fatto che, di Simona, Filippo si innamorò come un sedicenne e, come tale,  girava per casa con gli special lampeggianti, sentiva costantemente la colonna sonora di “Love story” e si muoveva a passo di danza. L’immagine di Simona era in ogni supporto cartaceo o informatico cui avesse accesso. Luca, il primogenito, preoccupato dall’aria sognante del padre, un giorno lo ammonì circa un eccessivo consumo di cannabis di cui era a conoscenza in nome di una educazione democratica e senza segreti.

Quello che Filippo avvertiva come particolarmente problematico era la sua incapacità di far valere i propri diritti e di porre un limite alle richieste altrui.

Iniziammo dunque un training di assertività. L’affermazione di sé come detentore di diritti fu graduale e, con un certo senso dell’umorismo, cominciammo dai cani.

Può sembrare incredibile, ma persino rifiutare le promozioni telefoniche, soprattutto se provenienti da voci femminili, o gli acquisti ai semafori, costituì un passo programmato verso la riconquista della posizione eretta e la verticalizzazione della spina dorsale.

In ambito lavorativo fu più facile perché aveva, in tal senso, una maggiore autostima.

Gli divenne chiaro quanto i suoi comportamenti accondiscendenti fossero direttamente proporzionali alla sua idea di non valere e non meritare nulla, un meccanismo di compenso per farsi accettare.

La sua famiglia d’origine fu un laboratorio eccellente, la mancanza di considerazione e rispetto nei suoi confronti erano talmente grossolani da risultare immediatamente evidenti e persino caricaturalmente ridicoli, era come passare da una osservazione dei meccanismi ad occhio nudo ad uno studio con il microscopio elettronico a scansione. Tutto risultava chiaro.

 Si aggiunga che, rinunciare ai comportamenti  compiacenti con madre, fratello e sorella era reso più facile dalla loro assoluta inutilità: che si facesse in quattro o no non cambiava praticamente nulla, per loro sembrava non esistere.

Due esempi. Quando il figlio Luca vinse un premio di pittura a scuola, il commento della nonna fu che aveva preso tutto da zia Stefania, nonostante Filippo fosse un pittore dilettante molto appassionato.

Al momento di scegliere se acquistare dei buoni ordinari del tesoro o piuttosto fondi di investimento,  la madre comunicò a Filippo l’intenzione di raggiungere Roberto a Milano per sentire il suo parere, ignorando che Filippo è consulente, su questo specifico tema, di banche internazionali.

Partita più impegnativa è stata quella con l’attuale famiglia. I figli erano subissati di regali e attenzioni e, per accontentarli,  si dedicava a loro con impegno costante anche quando era stanco, provato o non ne aveva voglia. Ad un accenno di Luca per la vita degli indiani aveva comprato una tenda e organizzato un campeggio di cinque giorni. Filippo non aveva mai montato una tenda e non vi aveva mai dormito. Alla terza notte insonne, una colica renale lo aveva condotto al ricovero salvandogli forse la vita. Quando andai a trovarlo in ospedale, la deprivazione di sonno gli aveva attivato dispercezioni a contenuto sessuale ed un delirio erotomanico nei confronti della caposala, una robusta matrioska di Budapest.

Di contro, se i figli non gli manifestavano il dovuto riconoscimento di padre migliore del mondo diventava aggressivo con loro in modo preoccupante, li accusava di ingratitudine e che sarebbe morto per colpa loro, insomma erano i figli  a doversi prendere cura del suo benessere psicologico.

Dove, soprattutto,  il vecchio modo di funzionare continuava a regnare indisturbato come il Re Sole, era nel rapporto con Francesca.

Lei era preda di una furia pantoclastica nei suoi confronti, il “furor punendi” era giustificato, agli occhi di entrambi, dalle di lui colpe che venivano puntualmente elencate in una litania che, all’inizio, sembrava essere come quei giochi di memoria dei bambini in cui si nomina un elenco di cose a cui ad ogni ripetizione se ne aggiunge una nuova, poi aveva acquisito un carattere di rimuginio interiore francamente ossessivo. Le nefandezze di Filippo venivano enumerate con sempre maggiori dettagli, soprattutto erotici, che venivano messi a fuoco e ricercati attraverso  minuziose indagini.

Avendo sentito una volta una di queste litanie dal telefono in viva voce di Filippo, mi feci una idea: Francesca utilizzava tali resoconti proibiti per eccitarsi sessualmente e, contemporaneamente, riaffermava la sua intransigente morale, condannandole.

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Quando l’affidamento dei figli fu definito a vantaggio di Francesca, lei  si trasferì a Milano dove poteva contare sull’appoggio della sua accogliente famiglia, con somma gioia del padre che recuperò così la figliola perduta in meridione.

Filippo iniziò sei mesi dopo una convivenza con Luisa, una vecchia fiamma dei tempi del liceo, separata, con due figli adolescenti e bisognosa di integrare gli alimenti che il marito le riconosceva.

Filippo raggiungeva i figli a Milano, unendovi impegni lavorativi almeno una volta al mese. Con il passare del tempo, l’aumentare del servilismo di Filippo nei confronti di Luisa e dei suoi due teppisti adolescenti mi insospettì, doveva  aver ripreso la pratica del tradimento seriale.

Aveva riesumato la faccia da “ vifregoenonmiprenderetemai”. Confesso che anch’io restai stupito, quando fu costretto a confessarmi tutto con un imbarazzo che ero ormai convinto gli procurasse comunque un perverso godimento. Tutto era successo perché non era stato in grado di dire di no a Francesca e, durante una serata di fine estate in un motel che affaccia sulla tangenziale, lei gli aveva chiesto di farlo senza preservativo. Forse per riconoscenza per il fatto di essersi vestita, su sua richiesta, come una professionista del settore, aveva acconsentito al termine di una notte memorabile.

La relazione segreta con Francesca andò avanti fino a quando Silvia non compì sette mesi e Filippo fu certo di essersi scampato la parte più gravosa delle notti insonni.

L’arroganza dei due brufolosi adolescenti e l’assestarsi di Luisa su un ruolo di moglie stabilizzata a tutti gli effetti fecero inclinare nettamente il piatto della bilancia dalla parte di Milano. Nel capoluogo lombardo ho affidato Filippo ad una collega che, spero, sia più brava di me. 

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