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Schizofrenia e Biomarcatori: nuove evidenze

Schizofrenia: Uno dei problemi principali è che oggi non esistono test di laboratorio per la diagnosi e il trattamento della schizofrenia.

Di Serena Mancioppi

Pubblicato il 19 Lug. 2012

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Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

Alla University of California, San Diego School of Medicine un team di ricercatori ha identificato un set di biomarcatori che possono essere utili per la comprensione delle anomalie cerebrali della schizofrenia. Questa è tra le condizioni psichiatriche più gravi e invalidanti e colpisce circa l’1 per cento della popolazione.

Gli endofenotipi (biomarcatori invisibili ma misurabili) sono in grado di rivelare le basi biologiche di un disturbo molto meglio di quanto possano fare i sintomi comportamentali.

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Uno dei problemi principali in psichiatria è che attualmente non esistono test di laboratorio che aiutino nella diagnosi, nell’orientare il trattamento e nel prevederne la risposta e gli esiti, ha detto Gregory A. Light, professore associato di psichiatria e primo autore dello studio, le diagnosi sono attualmente basata sulla capacità di un medico di fare inferenze e deduzioni sulle esperienze interiori dei pazienti e quindi sulla capacità che questi hanno di descrivere ciò che sta loro accadendo. La sfida del clinico è resa ancor più difficile dal fatto che molti pazienti schizofrenici soffrono di deficit cognitivi e funzionali, perciò non possono essere ragionevolmente in grado di spiegare come e cosa pensano.

Lo scopo di Light e dei suoi collaboratori era di verificare se una batteria selezionata di biomarcatori neurofisiologici e neurocognitivi potessero essere indicatori affidabili e a lungo termine di disfunzione cerebrale, anche quando i sintomi della malattia non erano evidenti. I ricercatori hanno misurato i biomarcatori in 550 pazienti con diagnosi di schizofrenia, e poi ri-testato 200 di loro un anno dopo. I risultati indicano che la maggior parte dei marcatori erano significativamente anormali nei pazienti schizofrenici, che rimanevano stabili tra le due valutazioni e che non sono stati influenzati da fluttuazioni modeste dello stato clinico del paziente.

Nonostante la necessità di ulteriori ricerche, gli endofenotipi sembrano in grado di cogliere le differenze tra i disturbi psichiatrici, e potrebbero essere utilizzati per prevedere la risposta del paziente a diversi tipi di farmaci o a interventi non farmacologici, o essere usati per predire quali soggetti abbiano un alto rischio di sviluppare una psicosi.

 

 

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Serena Mancioppi
Serena Mancioppi

Psicologa Psicoterapeuta Sistemico Relazionale e Cognitivo-Evoluzionista

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