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In Studio con Otto Kernberg: l’importanza centrale del Transfert

State of Mind è a New York e ne approfitta per partecipare a una supervisione condotta da Otto Kernberg nel suo studio su Madison Avenue.

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 23 Lug. 2012

Aggiornato il 12 Ott. 2012 15:20

 

CRONACHE DA NEW YORK: PARTE 5 – OSPITI DI OTTO KERNBERG & SUPERVISIONE

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In Studio con Otto Kernberg: l'importanza centrale del Transfert - Immagine: Proprietà di State of Mind - All rigths reservedTrovandoci a New York per il training della REBT (rational emotional behaviour therapy) di Ellis, noi di State of Mind ne approfittiamo anche per partecipare a una supervisione condotta da Otto Kernberg nel suo studio su Madison Avenue con il suo gruppo clinico.

Ci arrampichiamo in ascensore oltre il 40esimo piano di un grattacielo ed entriamo nella sala d’aspetto dello studio. A occhio valuto la presenza di non più di sette o otto stanze. Non uno studio gigantesco. Compare un vecchietto in giacca e cravatta (la prima cravatta che vedo a New York da giorni). È Otto Kernberg in persona, che ci chiede di aiutarlo a sistemare le sedie. La supervisione si fa nel suo studio. Dopo un po’ compaiono un affabile Michael Stone e John Clarkin con il suo sorriso scintillante, anche loro in giacca e cravatta. Arriva poi l’altissimo Frank Yeomans, ed è il primo senza cravatta. Infine si presentano alcuni colleghi più giovani, tutti senza cravatta e sempre più sbracati man mano che l’età diminuiva.

Otto Kernberg, Lectio Magistralis Milano-Bicocca, Narcissistic personality disorder, towards DSM-5 - Lectio Magistralis by Otto Kernberg and Frank Yeoman (2) - Immagine: © 2012 State of Mind - Anteprima
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Inizia la supervisione e subito si parla di transfert. Devo dire che questa assoluta e immediata focalizzazione sul transfert mi colpisce molto. Una cosa è leggere dei libri sul transfert, altro è assistere a una vera supervisione in cui da subito si parla quasi solo di transfert. L’obiezione che mi viene in mente è se non sia troppo riduttivo concentrare la discussione del caso solo su questo, ma scaccio l’idea. Sono qui per imparare qualcosa e non per perdermi dietro le mie perplessità.

Il transfert, in linguaggio cognitivo, si potrebbe chiamare un’analisi dettagliata di quelle che mi sembrano essere le credenze cognitive sulla relazione tra paziente e terapeuta, ed è vero che si tratta di un modo interessante di concettualizzare il caso. I pazienti che tratta Kernberg sono affetti da disturbo borderline o narcisistico di personalità, e il loro problema principale è l’incapacità di gestire la relazione con gli altri. Naturale quindi che la relazione terapeutica diventi una sorta di laboratorio in vivo di analisi dello stile relazionale del paziente e perfino uno strumento di cura e di apprendimento di modelli relazionali nuovi.

Uno dei giovani allievi di Kernberg parla esplicitamente del transfert come di un esperimento comportamentale in vivo dei problemi relazionali del paziente, e Yeomans da il suo assenso, anche se ci tiene a chiarire che lui userebbe una terminologia diversa. Ma non si tratta solo di terminologia.

Ridurre il transfert a un’esposizione in vivo di un’esperienza relazionale problematica significa anche trasformarlo in uno strumento “laico” e pragmatico di terapia e privarlo dell’aura sacra di accesso privilegiato e unico all’inconscio. E infatti i modelli relazionali esaminati nel transfert durante questa supervisione mi paiono molto interessanti, ma non propriamente inconsci e tantomeno pulsionali. Semmai emotivi e cognitivi.

Kernberg & Sassaroli - Padova 2011
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A un certo punto Yeomans parla anche di invidia, un po’ alla Klein. Ma noto che se ne parla come di un’ipotesi da vagliare in base ai dati empirici riferiti dal paziente e non di una struttura profonda inconscia la cui esistenza è rivelata da un sapere analitico iniziatico. E l’ipotesi, noto, è respinta. Lo stato borderline del paziente non è spiegabile in termini d’invidia.

Espongo a mia volta il caso di una paziente depressa, e assisto allo stesso tipo di concettualizzazione. La conclusione in qualche modo mi fa capire come funziona la terapia di Kernberg. Otto in persona mi invita, dopo che abbiamo costruito insieme un’ipotesi sul funzionamento relazionale della paziente in base al modo in cui essa si comporta con me in seduta, a raccontare tutto questo alla paziente incoraggiandola a riflettere se questo modello si riproduca anche nella vita quotidiana al di fuori della seduta. L’intervento finale mi pare un’ottima esemplificazione del transfert come modello operativo riprodotto artificialmente in seduta per comprendere e trattare i problemi relazionali dei pazienti con disturbo di personalità borderline.

Si conclude così la supervisione e ci salutiamo, disperdendoci nella folla di New York.

 

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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