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Psicoterapia: Ristrutturare le credenze centrali

Ristrutturare le credenze centrali: spesso i soggetti ansiosi hanno un'idea della sopportazione errata, come assenza totale di sofferenza.

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 02 Lug. 2012

Aggiornato il 05 Lug. 2012 11:15

 

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Ristrutturare le credenze centrali. Immagine: © iQoncept - Fotolia.com

Ristrutturare le credenze centrali

1- L’intolleranza dell’incertezza

Nel caso dell’intolleranza dell’incertezza, va ristrutturata criticamente l’assunzione, il collegamento logico “se… allora”. L’assunzione per lo più assume la forma: “se il mondo è incerto, allora esso è pericoloso”. Questa assunzione va dapprima accertata, obbligando il soggetto a ragionare sull’incertezza (“In che senso l’incertezza è da temersi? Perché l’incertezza delle cose la preoccupa?”) e poi criticato il collegamento logico con il pensiero catastrofico (“Perché l’incertezza porterebbe alla catastrofe?”). Dovrebbe essere abbastanza facile riuscire a rassicurare alcuni soggetti facendoli ragionare sul fatto che incertezza non significa inevitabilità dell’esito negativo.

Purtroppo altri pazienti non saranno affatto rassicurati da questa ristrutturazione. Per questo secondo gruppo di soggetti, l’ansia è legata proprio alla non prevedibilità dell’esito, allo stato precario che precede il verdetto della realtà. Ciò che è insopportabile è la possibilità, sia pure minima, che l’esito sia negativo. In questo caso si può puntare su tre strade differenti, che sono: la riconsiderazione critica della appropriatezza della credenza centrale, della rimediabilità, oppure della sopportabilità. Nel primo caso, si tratta di riconsiderare se davvero la valutazione di incertezza sia corretta, se davvero la situazione sia così incerta: “È giusto dire che l’esito della situazione sia così incerto? O forse no?”.

Salkovskis- l’equazione dell’ansia nel disputing - Immagine: © lassedesignen - Fotolia.com
Articolo consigliato: Salkovskis- l’equazione dell’ansia nel disputing.

Nel secondo caso, si tratta di far comprendere al soggetto che un eventuale esito negativo non significa la fine della storia della vita del soggetto. L’esito negativo viene quindi accettato, ma anche decatastrofizzato, puntando sulle capacità di reazione del paziente. Nel caso della sopportabilità, l’attenzione viene spostata dal mondo esterno a quello emotivo interiore. L’incertezza viene ridefinita non più come un connotato immodificabile del mondo esterno (cosa che è del resto vera, il mondo è effettivamente incerto e incontrollabile), ma come uno stato interiore di nervosismo, definito come insopportabile. In realtà, bisogna far capire al soggetto sia che quello stato d’animo non è forse così negativo, riducendo e sdrammatizzando l’ansia da stato sommergente e insopportabile a stato negativo fastidioso con il quale si può convivere, sia facendo notare al soggetto che è però possibile manipolare questo stato d’animo negativo, raffreddarlo e renderlo innocuo mediante semplici tecniche di distrazione e spostamento dell’attenzione.

 

2- Il perfezionismo patologico e il bisogno di controllo

Questa quaterna di interventi – critica dell’assunzione catastrofica “se accade questo, allora tutto andrà male”, critica della appropriatezza della valutazione legata alla credenza centrale, valorizzazione della rimediabilità pratica dell’evento negativo e della sopportabilità emozionale dello stato di ansia – è applicabile anche alle successive credenze del timore dell’errore e del bisogno di controllo.

Nel caso del timore dell’errore, la tecnica consiste quindi nella ridefinizione del collegamento tra errore e catastrofe irrimediabile, nella rivalutazione della appropriatezza della valutazione di errore (“Ma siamo sicuri che lei abbia sbagliato?”), nella rivalutazione della rimediabilità dell’errore, e della sopportabilità dello stato d’animo legato all’errore. È da notare che, nel caso del timore dell’errore, lo stato d’animo negativo può comprendere vissuti non solo di ansia, ma anche di colpa.

Anche nel caso del controllo le strade possibili sono quattro. Da una parte, analogamente a quanto fatto per il timore dell’errore, tagliare la connessione rigida tra perdita di controllo e catastrofe. Dall’altra, riconsiderare criticamente se davvero la situazione si può definire così priva di controllo, come ritenuto inizialmente dal soggetto sofferente. Infine, si può riconsiderare criticamente la rimediabilità della perdita di controllo, e la sopportabilità dello stato d’animo corrispondente alla perdita di controllo, in maniera poco dissimile a quanto visto nelle altre credenze.

 

3 – L’autovalutazione negativa

Nel caso della autovalutazione negativa si può lavorare in due modi.

Il primo obbedisce al principio di Ellis di sostituire i giudizi catastrofici con giudizi negativi sopportabili o neutri. Nel caso della bassa autostima, si tratta di sostituirla con un atteggiamento non giudicante e neutrale e non con una buona autostima. L’autostima è sempre una trappola per Ellis che inevitabilmente porta a stati di sofferenza. Valutarsi significa comunque mettersi alla prova su un terreno astratto e sfuggente. Per Ellis occorre sfuggire alla tentazione di giudicarsi e valutarsi, tentazione generata dall’illusione che valutarsi e giudicarsi portino a una più estesa conoscenza di sé e a un maggiore capacità di controllo della realtà: se so quanto valgo, conosco i miei difetti e posso migliorarmi. Ma questo è un errore.

Esercizi Comportamentali in Psicoterapia Cognitiva. - Immagine: © tiero - Fotolia.com
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Le valutazioni tendono a essere globali e generiche, e inoltre in una auto-valutazione un aspetto, un tratto negativo sarà sufficiente per colorare di nero l’intero giudizio di sé. Al posto dell’autostima, Ellis esorta e perseguire l’accettazione incondizionata di sé. Se proprio necessario, se cioè in alcune situazioni è possibile che esista un vantaggio pratico nel giudicarsi, la valutazione andrà riferita non globalmente all’intera persona, ma a determinati comportamenti ed episodi. Quindi autovalutazioni non globali e generalizzate, ma limitate e contestualizzate.

 

La seconda tecnica, più beckiana, raccomanda di criticare l’appropriatezza di questa autovalutazione negativa. In che senso e perché il nostro paziente si valuta negativamente? Secondo quali parametri, e in quali ambiti? Una volta effettuata questa operazione di accertamento, si deve tentare la ridefinizione in termini positivi della personalità del nostro paziente, sottolineando i punti positivi, mostrando il bicchiere mezzo pieno piuttosto che mezzo vuoto. Anche l’intervento sulla rimediabilità può essere efficace, una volta accettata almeno in certi ambiti una determinata valutazione negativa delle qualità del nostro paziente. In altre parole, il soggetto va convinto che le sue supposte qualità negative sono modificabili e migliorabili.

 

 

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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