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Fiducia e Tradimento: il “Paradiso Amaro” di Alexander Payne.

Recensione di "Paradiso Amaro" di A. Payne. Abitare in un contesto paradisiaco non è di per sé garanzia dell’essere immuni dai problemi.

Di Redazione

Pubblicato il 26 Giu. 2012

Aggiornato il 01 Ago. 2012 15:25

Michela Adele Pozzi

Recensione del Film “Paradiso Amaro” (The Descendants, 2011) di Alexander Payne. 

Fiducia e Tradimento: Il Paradiso Amaro di Alexander Payne. - Immagine: Copertina Cinematografica.
Paradiso Amaro (The Descendants, 2011), locandina cinematografica.

 Come ammoniscono le prime parole pronunciate fuori campo dal protagonista, Matt (George Clooney), “l’abitare in un contesto paradisiaco non è di per sé garanzia dell’essere immuni dai problemi che ciascuno di noi si trova a dover affrontare nella vita, in qualsiasi parte del globo abiti”.

Matt è avvocato, marito e padre di due figlie: tale sequenza rispecchia la priorità di questi ruoli nella sua vita, nonché l’importanza che assumono per lui in termini identitari, almeno per l’immagine che inizialmente ci presenta di sé. Il protagonista compirà infatti, durante lo svolgersi della vicenda descritta, un importante e doloroso percorso individuativo, che toccherà profondamente il suo modo di intendere se stesso e i propri legami famigliari, i quali verranno coinvolti in questo processo arrivando ad assumere una configurazione diversa rispetto quella iniziale

Gleeden . - Immagine: © Inga Dudkina - Fotolia.com -
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La famiglia di Matt ci appare piuttosto disgregata e frammentata, data la scarsa coesione interna dei propri membri, ciascuno dei quali pare sostanzialmente condurre una vita a sé. Questa situazione viene rappresentata dal protagonista con una potente metafora: così come le Hawaii, anche la famiglia è un arcipelago, i cui singoli membri rimangono fondamentalmente soli e lentamente vanno alla deriva. Tale configurazione, verosimilmente, è stata funzionale per un lungo periodo, consentendo a ciascuno di non affrontare i significativi problemi di comunicazione e comprensione reciproca, mantenendosi in una posizione di (almeno apparente) disimpegno emotivo. Come spesso accade, invece di compiere il faticoso tentativo di gettare dei ponti gli uni tra gli altri, ciascuno ha eretto delle barriere difensive nei confronti dello scambio e del confronto: Matt lasciandosi completamente assorbire dal proprio lavoro, la moglie Elizabeth (Patricia Hastie) intraprendendo una relazione extraconiugale, la figlia maggiore Alexandra (Shailene Woodley) trincerandosi in un comportamento ostile e ribelle.

In questa prospettiva, il “paradiso”, più che essere associato allo splendido contesto delle Hawaii, sembra essere costituito da quel piccolo mondo autoreferenziale in cui ciascuno si rifugia, composto da desideri, aspettative, illusioni che reggono finchè è possibile evitare il duro confronto con la realtà, che spesso smentisce l’immagine che abbiamo costruito di noi stessi e del nostro contesto di appartenenza. 

Psicoterapia Sensomotoria: il Ruolo del Corpo nelle Esperienze Traumatiche. - Immagine: © Guido Vrola - Fotolia.com
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Per la famiglia di Matt, il momento del confronto è costituito da un tragico evento: Elizabeth, in seguito ad un incidente, è sprofondata in un coma irreversibile. A questo fa seguito un ulteriore evento traumatico: Alexandra rivela al padre di aver visto recentemente la madre in compagnia di un altro uomo. Possiamo assistere in questo momento allo sgretolarsi di buona parte delle certezze su cui Matt aveva fino ad allora fondato la propria vita, dovendosi confrontare con un insieme di emozioni e pensieri dolorosi e contrastanti.

Potrebbero esserci innumerevoli modi per fare fronte ad una situazione del genere, e Matt sceglie uno dei più faticosi: decide di non nascondersi più nel proprio ufficio, bensì di affrontare il mondo che si svolge fuori di esso, “sporcandosi le mani” con la realtà dei propri rapporti famigliari e sociali, addirittura andando a conoscere l’amante della moglie. Gli spostamenti tra un’isola e l’altra che avvengono durante il film, oltre ad avere il fine di riunire la famiglia e di ricostruire vicende dislocate nello spazio e nel tempo, sembrano rappresentare tentativi di ricomporre ed integrare parti di sé diverse, da cui l’Io del protagonista ha cercato di difendersi, finché gli è stato possibile, chiudendosi in se stesso, costellando la propria vita di regole e tabù che dovrà ben presto mettere in discussione.

È questo che mette in moto il processo di individuazione cui si accennava; come scrive un famoso psicoanalista:

 “Il matrimonio non è qualcosa di armonioso e di piacevole, bensì un luogo di individuazione, dove l’individuo entra in collisione con se stesso e con il partner, si scontra con l’altro sia nell’amore che nel rifiuto: è così che conosce se stesso, il mondo, il bene e il male, l’alto e il basso”

(Guggenbühl-Craig, 1988, p. 83)

 

La Trama del Matrimonio: Recensione. -
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Si può estendere questa riflessione, con le opportune differenze, anche al rapporto genitori-figli: Matt riconosce di aver bisogno delle sue figlie per affrontare la situazione, si lascia consigliare da loro, a sua volta aiutandole ad elaborare il dolore che provano.

Il punto di arrivo di tale percorso è ben rappresentato dalla scena finale, in cui tutti e tre siedono insieme sul divano, stretti alla coperta che ha abbracciato il corpo di Elizabeth nel letto di ospedale: alla vicinanza fisica (contrapposta alla distanza presentata all’inizio) corrisponde anche la condivisione emotiva, la consapevolezza di essere uniti nel provare vissuti simili. E di poter finalmente comunicare anche senza parlare, sentendosi capiti e molto meno soli.

 

Cosa ha consentito questa evoluzione? Possibile che due eventi tanto negativi e dolorosi, il lutto e il tradimento, possano veicolare un tale potere trasformativo? Forse sì, se vengono elaborati non solo nella loro concretezza (una perdita, in entrambi i casi), bensì nel loro significato simbolico, che richiede una riorganizzazione dell’immagine di sé, dell’altro e della relazione.  

 

La cacciata dal paradiso: il tradimento

Ho scelto di concentrare la mia riflessione sull’esperienza del tradimento, che nel film viene presentato nella sua natura complessa e multisfaccetata, irriducibile ad una dimensione prettamente fisica e sessuale. La circolarità di questa esperienza coinvolge e lega tra loro i protagonisti, rendendoli, in contesti diversi, alternativamente traditi e traditori (Matt tradito dalla moglie ma traditore nei confronti dell’accordo stipulato con i cugini, la stessa Elizabeth adultera ma a sua volta tradita dall’amante, che non ha la minima intenzione di lasciare la moglie per lei).

Ciò che accomuna questi diversi livelli è il prodursi di una frattura profonda nella fiducia riposta nell’altro, prima necessaria al mantenimento di un’immagine definita di sé e del proprio ruolo nella relazione. Ma è possibile che il tradimento, nonostante costituisca una lacerazione spesso insanabile nel tessuto relazionale, possa contribuire ad avviare un’evoluzione nella qualità del rapporto?

A questo riguardo, spunti di riflessione molto interessanti provengono da uno scritto di J. Hillman. L’Autore ci spiega che nella prospettiva della psicologia analitica, in cui è solo dalla tensione tra gli opposti che può scaturire l’energia psichica, “non si dà fiducia senza possibilità di tradimento” (Hillman, 1999, p. 19): fiducia e tradimento costituiscono due poli di un’unica dimensione, inesistenti uno senza l’altro e non definibili indipendentemente. Certo, nel momento in cui si palesa nella nostra vita la realtà del tradimento rimaniamo sgomenti, feriti, increduli: tuttavia, un confronto così duro con la realtà è spesso l’unico modo, seppur doloroso, per entrare in contatto con l’altra faccia della medaglia, prima sconosciuta o negata a livello cosciente.

Tradimento: terapia di copppia. - Immagine: © Maria Aloisi - Fotolia.com -
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Seguendo la riflessione di Hillman, si comprende come ciò che risulta irrecuperabile dopo un tradimento è quella condizione di fiducia originale, animale, quale si ritrova tra Dio e Abramo prima della cacciata dall’Eden, così come in ogni rapporto tra un bambino e il genitore. Come è stata necessaria la creazione di Eva e il successivo tradimento attraverso il frutto proibito perché si generasse la vita, così nella relazione genitore-figlio l’essere delusi e frustrati è indispensabile affinchè si compia il percorso di crescita: 

 “Se prendiamo il racconto biblico come paradigma della vita che si evolve a partire da questo ‘principio’, allora dovremo aspettarci che, perché i rapporti evolvano, la fiducia originale debba essere spezzata […] Si verificherà una crisi, una rottura caratterizzata dal tradimento, il quale, a quanto dice il racconto, è la condizione sine qua non per la cacciata dall’Eden e l’ingresso nel mondo ‘reale’, il mondo della coscienza e della responsabilità umane. Perché bisogna dire chiaramente che vivere o amare soltanto là dove ci possiamo fidare, dove siamo al sicuro e contenuti, dove non possiamo essere feriti o delusi, dove la parola data è vincolante per sempre significa essere irraggiungibili dal dolore e dunque essere fuori dalla vita vera”

(Hillman, 1999, p. 20).

 

Dunque, fidarsi non contemplando la possibilità del tradimento è come buttarsi negando quella percentuale di rischio che il paracadute non si apra: e che rischio è, allora?

Per Matt sarebbe stato facile riversare sulla moglie morente il proprio risentimento, arroccandosi nella posizione della vittima innocente: ha invece scelto di non rimanere fissato in questo ruolo, non attribuendo il proprio dolore solo alla “cattiveria” dell’altra, bensì cercando di integrarlo nella propria immagine di sé. Per farlo, ha avviato una riflessione su ciò che questo evento poteva dire in merito alla propria stessa natura: in fondo, anche lui ha deluso le aspettative della moglie, comportandosi come un marito distaccato e un padre assente. Restare rigidamente ancorati al tradimento in sé ostacola l’acquisizione di un nuovo tipo di fiducia, più consapevole e sofferta, che ha abbandonato le illusioni della condizione originaria per tenere conto anche di quella parte inaffidabile che c’è in noi, prima confinata nell’Eden dell’inconscio ma ora visibile alla coscienza.

Credersi immuni da ciò che siamo pronti a biasimare negli altri è uno degli aspetti che compone il mondo autoreferenziale e illusorio di cui si parlava prima: le nostre aspettative unilaterali ed egoistiche subiscono necessariamente una trasformazione nell’incontro con l’altro e, attraverso l’altro, con una parte di sè. In questo forse risiede il sapore amaro di quel paradiso in cui ci eravamo rifugiati, che non è completamente perso se siamo in grado di adattarlo a ciò che progressivamente scopriamo di noi stessi.

Questo è un elemento indispensabile del processo di individuazione, aspetto centrale nella psicologia analitica:

 

Il sé-concettualizzato: la maschera (scomoda) che indossiamo. - Immagine: © olly - Fotolia.com
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“L’individuazione consiste in un’elaborazione attiva, difficile, inquietante, della nostra psiche complessa, fino, ad esempio, alla possibile unione degli opposti in essa contenuti, simboleggiata dall’unione dell’uomo e della donna […] Nell’individuazione non si può evitare il confronto con la sofferenza e con la morte, con i lati oscuri di Dio e della sua creazione, con ciò che ci fa soffrire e con cui tormentiamo noi stessi e gli altri. Non esiste individuazione senza il confronto con il lato distruttivo di Dio, del mondo e della nostra anima”

(Guggenbühl-Craig, 1988, pag. 49-50)

 

Il tradimento pone dunque un’ardua sfida: possiamo limitarci ad intenderlo in modo “statico”, circoscritto al presente, rimanendo incagliati nel dolore legato ad una perdita sentita come irrecuperabile, oppure possiamo cercare di fornirne una lettura più complessa, che lo inserisca in una dimensione storica e narrativa, al fine di integrarlo nella consapevolezza di sè e approfondire la qualità della relazione sia con noi stessi sia con l’altro.

 

Spesso vi ho udito dire di chi sbaglia che non è uno di voi, ma un intruso estraneo al vostro mondo.

Ma io vi dico: così come il santo e il giusto non possono innalzarsi al di sopra di quanto vi è di più alto in voi,

Così il malvagio e il debole non possono cadere più in basso di quanto vi è di più infimo in voi.

E come la singola foglia non ingiallisce senza che la pianta tutta sia ne sia complice muta,

Così il malvagio non potrà nuocere senza il consenso tacito di voi tutti.

(…)

E se qualcuno di voi, in nome della giustizia, volesse punire con la scure l’albero guasto, ne esamini le radici

E scoprirà radici del bene e del male, feconde e sterili, tutte insieme intrecciate nel cuore silenzioso della terra.

Kahlil Gibran, 1923

 

 

BIBLIOGRAFIA

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