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Storie di Terapie #4 – Marco nelle canne

CASI CLINICI DI PSICOTERAPIA #4 - ..Marco lavora tutto il giorno e, quando torna la sera, si chiude in una nuvola di cannabis e videogiochi.

Di Roberto Lorenzini

Pubblicato il 26 Mar. 2012

Aggiornato il 20 Lug. 2012 10:10

STORIE DI TERAPIE

Nei casi clinici che seguono, l’arrosto sostanzioso dei vari pazienti è condito con il sugo della fantasia, per rendere non identificabili le persone e la lettura più avvincente. Spesso ho condensato in un solo paziente più persone e, quasi sempre ci sono scappati pezzetti di me stesso.    Leggi l’introduzione    

 

#4 – Marco nelle Canne

  • Storie di Terapie #4 - Marco delle Canne. - Immagine: © natuskadpi - Fotolia.com Depressione reattiva
  • Disturbo ossessivo di personalità

Marco chiede un sostegno psicoterapeutico in un momento di emergenza, se non ci fossero stati i fatti dell’ultima settimana la sua vita sarebbe perfetta. E’ arrabbiato, disorientato e cerca soluzioni immediate che riguardano un cambiamento del mondo esterno che improvvisamente si è messo a girare in un modo che non gli garba. Ha cercato in tutti i modi di portare in seduta la sua compagna, Speranza, che è quella che dovrei aiutare a cambiare per rimettere la sua vita a posto, ma lei si è rifiutata di salire proprio quando avevano finalmente trovato parcheggio sotto il mio studio… é talmente fuori di sé che mi chiede di scendere in strada per acchiappare Speranza che è rimasta in macchina.

Durante l’ultimo fine settimana Speranza lo ha fatto accomodare sul divano e gli ha comunicato che, da alcuni mesi, è follemente innamorata di Karl, è certa sia l’uomo della sua vita per cui entro un mese lei e Andrea, il figlio di tre anni, andranno a vivere a casa di sua madre che la ospiterà insieme al suo nuovo compagno ed alle di lui due figlie.

Storie di Terapie - © Athanasia Nomikou - Fotolia.com
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Marco non vuole altro che capire il comportamento di Speranza per prendere le contromisure adatte ed impedirne l’allontanamento. Non dorme dal giorno della comunicazione, che dice essere stata del tutto inaspettata, gli prescrivo subito degli ansiolitici per dare sollievo ad un turbine di emozioni negative che non controlla e lo spaventano ancora di più, essendo uno che cerca di padroneggiare ogni cosa. In verità, temo anche una possibile evoluzione delirante, favorita dalla deprivazione di sonno e anche gesti auto e/o eteroaggressivi che fantastica con molto piacere.

Cerco di spiegargli il senso di una psicoterapia, ma è come argomentare a Gengis Khan sull’importanza della pace tra i popoli. Solo la sua buona educazione e l’immagine di sé che vuole mantenere impeccabile gli impediscono di mettermi le mani addosso.

Io faccio delle fantasie circa un possibile invio ad un collega esperto di coppie e questa è la spia che mi sento, come lui, spaventato e impotente. Credo sinceramente che Speranza sia una grave borderline ma ho imparato negli anni a non fare diagnosi per sentito dire e, soprattutto, a non occuparmi che del paziente che chiede aiuto.

Ci rivediamo settimanalmente. Ogni seduta inizia con il racconto vorticoso dei fatti della settimana, anzi dei ripetuti misfatti di Speranza e della sofferenza insostenibile da lui provata. Faccio fatica a sgombrare il terreno dall’attualità. Provo a spiegargli che sarei interessato a conoscerlo.

Marco, l'ultimo samurai. Immagine: © Diedie55 - Fotolia.com -
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Ha conosciuto Speranza al matrimonio di un amico comune. Lei aveva un matrimonio alle spalle ed un bambino, Andrea, di un anno. Dopo tre mesi hanno iniziato una convivenza. Lui dice che era molto impegnato nei cambiamenti della sua azienda e forse distratto verso le faccende familiari, ma di non averle mai fatto mancare nulla. Anche con Andrea è stato come un padre, nonostante non lo fosse e nonostante il momento economico difficile per tutti. La sua mente sta al 60% sulle questioni lavorative, al 30% sui giochi di guerra al PC su cui trascorre moltissimo tempo, tanto da essere diventato un importante esperto di storia militare e, il restante 30% è da spartire tra le persone care: Speranza, Andrea, il fratello, i genitori e qualche amico. Sono comunque briciole. Armi e strategie lo affascinano molto più degli esseri umani che, infatti, non lo interessano granchè.

Questo sarà il tema centrale della sua vita e immancabilmente della terapia. Marco in fondo è un guerriero che sa combattere e godersi il saccheggio, ma teme di abbassare la guardia e dunque non permette a nessuno di avvicinarsi.

Prima di Speranza ha avuto altre tre donne importanti.

  • Una milanese che ha visto sempre e solo in week end clandestini, essendo sposatissima e con figli piccoli.
  • Una ragazza di colore con la quale ha persino vissuto per tre mesi, ma che aveva il permesso di soggiorno a termine e doveva tornare in Ghana subito dopo.
  • Una collega di lavoro che si era lasciata lungamente corteggiare senza concedersi mai.
Storie di terapie #2: Un Pomeriggio con il Demonio. - Immagine: © lineartestpilot - Fotolia.com -
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Esperienze sessuali invece molteplici, disinibite e soddisfacenti. Non è affatto uno spietato che utilizza gli altri come strumenti per i suoi scopi anzi, se ne rammarica moltissimo e persino si condanna per questo ma non prova nessuna spinta verso gli altri.

Ha imparato come ci si comporta: cosa dire in società, come corteggiare una donna o come far sentire agli amici il suo interessamento. Tutto ciò lo fa anche con maestria ma come un dovere appreso.

Se non si sforzasse rotolerebbe nella “melassa”, così la definisce lui stesso, fatta dai suoi videogiochi e dalle canne che si concede sistematicamente senza nessun senso di colpa, anche se non le giudica una cosa buona perché avverte che peggiorano la sua adesione al mondo esterno, la lucidità e la brillantezza, ma sono un regalo di pace cui non sa rinunciare.

Marco è il primogenito di due figli di una famiglia bene con il cognome doppio.

Il fratello più giovane ha sviluppato una sordità di probabile origine psichica intorno ai nove anni, immediatamente dopo l’evento che ha segnato la storia della loro famiglia.

Il padre è uno stimato manager nell’ambito della sanità privata e pubblica, con consistenti agganci politici negli anni precedenti a tangentopoli. Viaggia molto, è assente per lunghi periodi e anche quando sta a Roma arriva a casa quando i figli sono già a letto. E’ in famiglia il tutore dell’ordine, il braccio armato della madre. Il poco tempo a disposizione è dedicato a dettare regole che non spiega mai e che si fondano esclusivamente sulla sua autorità.

La madre è una tipica casalinga del boom economico al servizio del benessere di marito e figli: amorevole, invasiva e asfissiante.

Un giorno i due genitori modello convocano i figli nel salotto buono per comunicazioni importanti (certamente avranno letto su qualche manuale come comportarsi al meglio in simili circostanze).

L’essenza della comunicazione è che, poiché papà sarà sempre più fuori casa per motivi di lavoro, hanno pensato di separarsi. Naturalmente ribadiscono che ciò non cambia nulla: loro restano sempre la famiglia felice e perfetta.

I due fratelli non avevano in alcun modo intuito la presenza di dissapori tra i genitori e Marco non ricorda nessuna emozione né sua, né del fratello, a seguito di questa notizia.

La promessa dell’immutabilità della situazione si rivela presto falsa. La madre inizia a lavorare alle poste e la qualità dell’accudimento scende vistosamente ed in modo inversamente proporzionale alla loro libertà.

Vive in preda alla tristezza ed al rancore ed è sopraffatta dal lavoro e dalla gestione della casa dove trionfano le ribellioni adolescenziali che non hanno più una controparte. Riesce ad ottenere qualcosa solo inducendo sensi di colpa circa la sua stanchezza e il suo stato di salute.

Il padre cambia città e inizia una convivenza con una donna più giovane. I figli di fatto gli tolgono il saluto e non prestano più ascolto alle sue prediche: il fratello addirittura diviene sordo.

Marco ricorda vividamente il giorno in cui si accorse della disabilità del fratello. Erano in autobus seduti uno accanto all’altro e Marco cercava di richiamare l’attenzione di Luca sulla notizia che stava leggendo sul giornale. Non ottenendo attenzione aveva aumentato progressivamente il tono della voce. D’improvviso, si accorse che gli altri passeggeri lo osservavano stupiti: stava praticamente urlando, ma Luca continuava ad ignorarlo. Scese dall’autobus con la convinzione che la sua vita fosse cambiata per sempre, era solo ed aveva subito un danno che non sarebbe stato più risarcibile; vide se stesso con un fratello handicappato, sperduti nel mondo senza una guida.

Anche le condizioni dell’abitazione risentivano dello stato d’animo della madre, la casa divenne disadorna, fredda, trascurata e sporca. I fratelli si chiudevano nella loro stanza, tenendo fuori un mondo che sentivano freddo e inospitale e che li rifiutava poichè caduti in disgrazia. Il rendimento scolastico di Marco peggiorò e fu rimandato in tre materie nel terzo anno del liceo: il successo scolastico non sarebbe dunque stato il terreno della sua rivincita.

Storie di Terapie #3 - Andrea lo Sfortunato. - Immagine: © Giordano Aita - Fotolia.com
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Il racconto di Marco relativo a quegli anni (gli ultimi di Liceo Scientifico e i primi due di Economia) è disorganizzato e confuso.

Esperienza costante sembra essere un crescente uso di cannabis e alcool, che ricorda aver avuto un impennata in seguito al rifiuto di Silvia, la ragazza di cui era innamorato, che gli preferì un suo amico. Marco aveva l’impressione che tutto stesse naufragando.

Nel referto della polizia fu scritto che la signora aveva avuto probabilmente un capogiro mentre lavava i vetri del soggiorno con una scala a soffietto, ma Marco sapeva che non era così.

Fedeli alla buona abitudine di non esprimere emozioni e di non parlare d’altro che non dei fatti concreti quotidiani, i due fratelli non commentarono l’accaduto e di buon grado si trasferirono da una zia, sorella del padre, che di fatto li tenne a pensione. L’attribuirsi reciprocamente le colpe nella morte della madre allontanò progressivamente i due fratelli tra loro e con il padre.

Finita l’università Marco andò a vivere per proprio conto mantenendosi con lavoretti saltuari prima e con una collaborazione con un commercialista, poi. Era diventato bravo nello studio ed efficiente nel lavoro. Le convinzioni che lo guidavano erano di essere solo nella vita, di doversi guadagnare ogni cosa con l’impegno senza poter contare su nessuno.

Gli altri gli apparivano più forti di lui e frequentemente minacciosi, per cui elaborò alcune strategie per renderli inoffensivi: essere sempre perfetto e inappuntabile, accondiscendere evitando ogni conflitto anche a costo di sacrificare il proprio interesse, scegliere persone in difficoltà che avessero bisogno del suo aiuto e mettersi al loro servizio fino a diventare indispensabile.

Ciò lo garantiva dal rischio di essere abbandonato ma, per ulteriore precauzione, non si legava mai affettivamente, non lo avrebbero più fregato.

E’ interessante il fatto che lui identificasse il dolore della perdita non con la separazione dei genitori e la comunicazione ufficiale nel salotto buono, né con il corpo della madre disarticolato sul mattonato del cortile ma con un immagine riguardante Silvia. L’icona del dolore era Silvia che se ne andava aggrappata a Filippo sulla moto Guzzi fiammante, baciandolo sul collo.

Marco riuscì a scomporre quel dolore cupo in cinque emozioni che ne erano i costituenti elementari: la tristezza per la perdita dell’oggetto d’amore, la rabbia verso di lei per averlo tradito, la tristezza per la sensazione di non valere nulla, l’umiliazione per essere stato sconfitto dal rivale e la vergogna per aver mostrato di fronte a tutta la scuola la sua sconfitta. L’idea di contare solo su di sé, di non legarsi affettivamente e di considerare tutti gli altri come potenziali nemici fecero di Marco un manager di successo, sapeva che se voleva fortemente una cosa riusciva certamente ad ottenerla.

La scelta di Speranza come partner con cui fare famiglia risentiva certamente di queste convinzioni.

Lei, sola con un figlio piccolo, lo vede come il salvatore e non può certo fargli troppe richieste. Avendo già un figlio non lo costringerebbe a farne un altro e lui si troverebbe già una famiglia bella e confezionata, da presentare nelle situazioni in cui fosse stato disdicevole presentarsi come single.

Lei, molto interessata al benessere economico, lo lascerebbe fare sull’unico terreno in cui si sente a suo agio, il lavoro: vanno avanti così per tre anni.

Marco lavora tutto il giorno e, quando torna la sera, si chiude in una nuvola di cannabis e videogiochi. Andrea, con l’abilità tipica dei bambini, riesce a scavarsi un cunicolo nelle difese di Marco, che non lo vive nè minaccioso, nè giudicante e che, soprattutto, pensa che il bambino non lo lascerà mai perché ha bisogno di lui. Finalmente nella sua vita sembra esserci un legame certo e duraturo. A volte, Marco si scopre a pensare con gioia che Andrea gli sopravviverà e che con lui non dovrà affrontare la perdita che la morte ci infligge… 

E’ per questo che, quando giunge da me, è fuori di sé e vorrebbe uccidere quella strega che è restata giù in macchina e si rifiuta persino di salire . Marco ha rivissuto, condensate, le scene più orribili della sua vita. L’annuncio improvviso di Speranza, di andarsene con Karl e Andrea, è stato comunicato con la stessa freddezza dei genitori, quella lontana domenica, nel salotto buono. 

Come con Silvia la partner lo lascia di fronte a tutti per un altro: é sconfitto, umiliato e rabbioso e la rabbia è ingigantita dal senso di impotenza infatti, non essendo il padre effettivo di Andrea, non è in alcun modo protetto dalla legge, non ha di fatto alcun diritto e deve sottostare ai capricci di Speranza che sembra decisa a interrompere ogni rapporto tra Andrea e Marco, che deve essere sostituito da Karl nel ruolo di padre. 

Marco teme grandemente la propria aggressività e tende a sedarsi con l’ abuso di cannabis. 

Fantastica due possibili scenari: in un accesso d’ ira strangola Speranza e rovina definitivamente la propria esistenza finendo i suoi giorni in carcere, oggetto delle attenzioni omosessuali degli altri detenuti oppure, in alternativa, è spaventato dal poter avere una reazione simile a quella materna e volare giù dal sesto piano magari insieme ad Andrea, per non lasciarlo solo in questo mondo freddo e vuoto. 

Nella realtà finiscono per prevalere le strategie consolidate che Marco utilizza da sempre per non perdere l’altro: collabora con Speranza nel trasloco e, mentre sogna ad occhi aperti terribili vendette ed augura ai due quanto di peggio possa capitare agli umani, non fa mancare a Speranza il sostegno economico per la sistemazione della nuova casa. Naturalmente, giustifica questa benevolenza come il tentativo di non perdere i contatti con Andrea, che sembra amare di un amore sempre più assoluto e senza riserve. 

In una seduta, circa tre mesi dopo il nostro primo incontro, Marco si concede un pianto liberatorio, dicendo che Andrea è la prima persona che abbia mai amato in vita sua e che non vuole perdere. 

Gli dico che, nell’amore sconfinato che prova per Andrea, c’è l’aspettato risarcimento per il bambino Marco, della stessa età, che non ha ricevuto amore. Lui non piange solo per la perdita di Andrea ma per ciò che immagina che Andrea stesso sperimenterà, si identifica con lui e il suo pianto è il pianto di entrambi. 

In effetti, quando i due stanno insieme si divertono moltissimo ma sembrano essere più due compagni di giochi che un padre e un figlio. Marco è efficiente in terapia come sul lavoro, ci tiene ad essere un paziente perfetto. La prima fase del lavoro è finalizzata alla conoscenza e all’espressione delle emozioni, presenti e passate, che Marco ha imparato a negare e non esprimere. Scopre che le emozioni, se lasciate fluire, non lo travolgono e che può cavalcarle come le onde con un surf. Smette di aver bisogno della cannabis per stordirsi e avverte una dimenticata vitalità. Torna a sentire odori, sapori e colori della vita, alcuni sono gradevoli, altri meno, ma sopportabili. Progressivamente disinveste dal lavoro e si dedica ai rapporti interpersonali ed in particolare ad una costante settimanale battaglia per poter incontrare Andrea. Speranza, infatti, ostacola in ogni modo questo rapporto perché lo vede come un impedimento al nuovo legame tra Karl e Andrea. 

Marco funziona in modo dicotomico, ama con tutto se stesso il piccolo Andrea-Marco e odia, senza limitazioni, la fedifraga Speranza e il suo complice Karl. Durante il periodo natalizio non nego di aver avuto il timore che potesse manifestare agiti aggressivi verso la nuova coppia. Vuole dichiaratamente la loro morte che vivrebbe come la catarsi di una vita intera. 

Mi accorgo delle mie preoccupazioni dal fatto che modifico la farmacoterapia aggiungendo neurolettici che spaccio per tranquillanti di nuova generazione, più efficaci e meno tossici. 

Se non avessi visto in diretta con i miei occhi la disperazione di Marco al sopraggiungere della notizia credo che mi sarebbe sempre rimasto qualche sospetto. Fu esattamente durante la trentesima seduta, mentre stavamo esaminando un vissuto di umiliazione sperimentato in ufficio, che arrivò la telefonata: un agente della polizia chiamava dal Pronto Soccorso per avvertirlo di un grave incidente per cui doveva subito recarsi in ospedale. A chiedere di avvertirlo era stata la signora coinvolta. Quelle, seppe dopo, erano state le sue ultime parole. 

Un camion parcheggiato in salita aveva perso la frenatura ed era finito sulla macchina parcheggiata dove Speranza era appena salita per accompagnare Andrea a scuola. Fortunatamente il bambino era rimasto sul marciapiede ma aveva assistito alla scena e i soccorritori lo avevano portato in ospedale perché comunque solo e in stato di choc. 

Lo stupore assoluto, la sorpresa e l’incredulità immobilizzarono l’espressione di Marco per un tempo che mi parve infinito e trascorse in un silenzio catacombale. Poi si alternarono in ondate successive emozioni diverse: la colpa per aver desiderato quanto effettivamente accaduto con il sottostante pensiero magico di esserne stato la causa, la rabbia verso il camionista disattento e, più in generale, verso il suo mandante che permette che ai figli si portino via i genitori, la pena infinita verso quella giovane donna che era certa di aver afferrato la felicità quando già la morte l’aveva acciuffata, infine l’angoscia di non sapere come fronteggiare la situazione soprattutto con il piccolo Andrea. 

Marco, immediatamente, ritornò al vecchio modo di fare che stavamo cercando di rottamare, diede un calcio a tutte le emozioni, accese una sigaretta e tornò ad essere l’efficiente manager che risolve i problemi. Nell’ordine: recuperare Andrea, avvertire Karl, decidere con lui il da farsi per informare tutti, poi i funerali e il futuro immediato di Andrea. 

Ero certo che non avrei più visto Marco, aveva mille cose da fare e quello era un terreno in cui si muoveva bene. 

Immaginavo poi che avesse associato magicamente la terapia ed il poter esprimere le emozioni con la disgrazia avvenuta e che ciò lo avrebbe dissuaso del tutto dal proseguire.

Era un buon incassatore e, al massimo, per un po’ avrebbe aumentato la quantità di cannabis. 

Quando un paziente mi sorprende troppo vuol dire che non avevo del tutto capito il suo funzionamento. Marco mi sorprese doppiamente. Neppure tre mesi dopo la fatidica seduta mi telefonò per fissare un nuovo incontro, anticipandomi che non sarebbe stato solo. La mia fantasia, evidentemente molto limitata, pensò che forse avrebbe portato anche Andrea certamente colpito dall’aver assistito in prima persona allo schiacciamento della madre senza poter far nulla. Credo che anch’io mostrai tutta la gamma di emozioni, dallo stupore, alla sorpresa, fino all’incredulità, quando in sala d’attesa trovai schierati sul divano una intera famiglia. 

Ai due estremi Marco e Karl e, in mezzo, da sinistra a destra, Andrea di cinque anni, Samantha di anni sette e Adele di anni nove. Entrarono tutti accomodandosi in posti di fortuna e per terra. Marco disse che voleva farmi conoscere la sua nuova famiglia, era certo che questo fosse ciò che avrebbe voluto Speranza e il meglio possibile per Andrea. 

Karl era uno statuario signore di un metro e novanta, svizzero di nascita ma con sicure ascendenze normanne. Lo si sarebbe detto un camionista ignorante e rissoso che aveva riposto tutte le sue attrattive nel fisico, robusto e bellissimo, invece mostrò un animo sensibile e quasi femminile. Disse che desideravano ora e in futuro avere un sostegno per gestire al meglio la strana situazione che si era venuta a creare, una famiglia con due padri che, tuttavia, non erano gay. 

Gli dissi che c’era più letteratura e che sarebbe stato più facile se si fosse trattato di una coppia gay in cui, comunque, un flusso di amore tra i due genitori sarebbe stato avvertibile dai figli. 

I due padri si guardarono fuggevolmente un istante e poi scossero il capo in segno di diniego. Al cuor non si comanda. 

 

 

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