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Quando la religione diventa un’ossessione: la Scrupolosità

La Scrupolosità è un tipo di Disturbo Ossessivo-Compulsivo caratterizzato da sensi di colpa e paure legate a questioni morali e religiose.

Di Daniele Bruni

Pubblicato il 02 Mar. 2012

Aggiornato il 27 Ago. 2019 12:55

Scrupolosità: una sottocategoria diagnostica del Disturbo Ossessivo-Compulsivo

Quando la Religione diventa un'Ossessione: la Scrupolosità. - Immagine: © Alex Motrenko - Fotolia.comLa Scrupolosità è un sottotipo del Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC) caratterizzato principalmente da sensi di colpa e paure legate a questioni morali e religiose.

Questo disturbo provoca un disagio significativo e una marcata compromissione nell’adattamento sociale nelle persone che ne sono affette (DSM 4-TR, 2000). Nonostante la scarsa considerazione in ambito clinico e scientifico, la Scrupolosità può essere considerata un disturbo relativamente comune. Questo disturbo vanta infatti una delle storie più lunghe e più ricche di esempi rispetto a qualsiasi altro disturbo psicologico.

La recente ricerca clinica suggerisce che fino al 30% degli individui con diagnosi di DOC soffrano anche di questa sottocategoria diagnostica (Mataix-Cols e al., 2002). Tuttavia, altri risultati segnalano percentuali ben maggiori in base alla localizzazione geografica e, soprattutto, in base alla confessione religiosa o spirituale di origine (50% in Arabia Saudita e fino al 60% in Egitto) (Tek & Ulug, 2001). In ogni caso, non sono disponibili stime affidabili sulla frequenza della scrupolosità nella popolazione mondiale, dato che non tutti i soggetti con questo disturbo si rivolgono ad uno specialista (Medici, Psichiatri e Psicoterapeuti). Sembra invece che  (del tutto coerentemente con il tipo di diagnosi) la maggior parte delle persone che soffrono di questo disturbo tendano a cercare con maggiore facilità una consulenza di tipo religioso o spirituale.

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La scrupolosità è un disturbo che ha specifiche caratteristiche cognitive, comportamentali, affettive e sociali. In primo luogo, i pazienti con scrupolosità presentano modelli di pensiero disfunzionali che possono essere concettualizzati in vari modi. Il più evidente è l’eccessivo senso di colpa e di responsabilità. Si tratterebbe quindi di uno stato abituale della mente che, a causa di una costante paura irragionevole del peccato, porta la persona a giudicare certi pensieri o azioni come peccaminosi o sbagliati anche quando in realtà non lo sono. In altre parole, i pazienti con scrupolosità possono esagerare patologicamente la valutazione della gravità delle trasgressioni, classificandole in maniera impropria. Per esempio:

uno studente con scrupolosità iscritto ad un corso di anatomia può sentirsi colpevole per la visione di cadaveri o di foto con soggetti senza vestiti.

La spiegazione di un simile eccessivo senso di colpa potrebbe rintracciarsi nel meccanismo mentale di fusione pensiero-azione, tramite il quale una persona giudica un particolare pensiero come moralmente equivalente ad un comportamento reale.Ad esempio:

una persona con scrupolosità può sentirsi un depravato e un peccatore per dei pensieri involontari che ha avuto, pur non avendo commesso nella realtà nessun tipo di comportamento o azione che ne giustificherebbe l’accusa e la condanna.

La componente comportamentale compulsiva di questo disturbo è data dal fatto che queste persone si sentono costrette a confessare più volte e con insistenza ad un capo ecclesiastico i propri peccati, credendo di aver commesso una violazione morale così grave da meritare una punizione. La ricerca compulsiva della confessione religiosa è vista come un meccanismo per risolvere i propri sentimenti di angoscia e ripristinare il proprio rapporto con la divinità, mettendo a dura prova l’infinita pazienza dei propri padri spirituali.

Tuttavia, la scrupolosità di questi pazienti può lasciarli quasi completamente insensibili alle rassicurazioni dei propri confessori religiosi o spirituali, come nel caso dell’ipocondria dove anche le rassicurazioni dei servizi professionali medici possono fornire soltanto un sollievo temporaneo. Allo stesso modo, i sentimenti soggettivi di colpa spesso guidano altri tipi di comportamento, come la preghiera compulsiva. La preghiera compulsiva sembra quindi assomigliare più ad un particolare tentativo di impedire il verificarsi di una qualche catastrofe non meglio definita, che ad un autentico pentimento consapevole.

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I soggetti con scrupolosità si dedicano spesso a periodi di alta ruminazione morale dolorosa. Questi periodi di ruminazione possono comportare l’analisi filosofica delle proprie questioni morali o una revisione meticolosa dei propri “peccati”, procedimenti talmente gravosi e impegnativi da portare con il tempo a un vero e proprio stato di sofferenza, sia fisica che mentale. I pazienti con Scrupolosità inoltre, presentano spesso stili cognitivi negativi, come la tendenza psicologica ad interpretare stimoli ambigui (oggettivamente né positivi né negativi) nella maniera più grave e triste possibile. Questa tendenza cognitiva è particolarmente problematica nel contesto della religione e della moralità, dato che i principi religiosi sono caratteristicamente espressi in termini ampi ed ambigui.

I pazienti con scrupolosità presentano poi una fissazione selettiva dell’attenzione sulle questioni religiose. Mentre la maggior parte degli individui religiosi apprezzano di buon grado la proprie credenze religiose, nei pazienti con scrupolosità la religione e le questioni morali diventano fonte di un vero e proprio disagio. Anche le informazioni più ordinarie e banali sembrano passare attraverso un filtro attentivo che inietta le percezioni di una sfumatura di ansia e di gravità. Questa distorsione percettiva può privare i pazienti della loro capacità di rilassarsi e di godere di semplici attività quotidiane (tra queste anche il pregare, il partecipare a funzioni religiose, ecc.). Secondo questo modello, questa forma di visione “tunnel” è così onerosa che consuma una quantità critica di energia mentale, lasciando i pazienti incapaci di far fronte alle altre esigenze cognitive e rendendoli vulnerabili ad altre forme di ansia e depressione.

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Il trattamento clinico della scrupolosità è problematico per una varietà di ragioni. In primo luogo, la scrupolosità riguarda temi tipicamente astratti, impossibili da riprodurre nello studio del clinico in modo adeguato. Di conseguenza, il trattamento dei comportamenti bersaglio (ad esempio, attraverso la tecnica dell’Esposizione con Prevenzione della Risposta, E/RP) sono considerevolmente più difficili da utilizzare perché le preoccupazioni della scrupolosità spesso comportano problemi religiosi o spirituali piuttosto che concreti, come oggetti o situazioni riproducibili nella realtà (per intenderci, il trattamento terapeutico della fobia dei gatti è per ovvie ragioni diverso dal trattamento della fobia del Diavolo).

Questo disturbo pone inoltre dei vincoli etici alla professione della psicoterapia: Art. 4 del Codice Deontologico degli Psicologi Italiani “[lo psicologo] non opera discriminazioni in base a religione, etnia, nazionalità, estrazione sociale, stato socio-economico, sesso di appartenenza, orientamento sessuale, disabilità e […] rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre il suo sistema di valori”; questione di non poco conto se si tiene presente quanto sia importante l’alleanza paziente-terapeuta nel predire il buon esito del trattamento.

È utile per il terapeuta sottolineare che l’obiettivo del trattamento è quello di aiutare il paziente a tornare a praticare la propria religione con serenità, piuttosto che per l’esclusiva paura di una ritorsione divina. I pazienti con scrupolosità hanno bisogno di comprendere chiaramente le differenze tra una pratica religiosa normale e una patologica, e deve essere chiarito con il paziente che l’unico scopo del trattamento è quello di ripristinare un sereno e normale rapporto con la propria religiosità. Sembra fondamentale a questo scopo una chiara spiegazione di come la tecnica dell’esposizione sia coerente con i nostri obiettivi nel favorire un rapporto terapeutico di successo e a mantenere alta la motivazione. Decidere quali situazioni specifiche siano utili per l’esposizione è anch’essa una questione importante.

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Istruire il paziente a violare le proprie leggi religiose per verificare se la catastrofe si realizzi nella realtà, non è una pratica né appropriata né necessaria per ridurre la paura patologica del peccato. I pazienti con scrupolosità hanno paura di commettere un peccato, non tanto del peccato in sé. Si tratta di una paura che sta a monte della reale azione di commissione del reato/peccato. Pertanto, l’esposizione dovrebbe comportare un avvicinamento graduale a situazioni in cui c’è solo il rischio che si possa commettere il peccato, situazione di per sé sufficiente ad innescare nel paziente una reazione di disagio e paura.

Il delicato terreno di confronto tra scienza e religione, ci pone di fronte ad un’infinità di domande alle quali, molto probabilmente, è impossibile avere una risposta. L’unica domanda che potremmo porci in qualità di professionisti con dei doveri etici ben delineati sarebbe: come possiamo aiutare queste persone a vivere più serenamente la propria religiosità? E ancora, chi può chiarire se e in che misura la sofferenza dell’uomo sia eticamente ammissibile nella vita di un cristiano o di un musulmano fedele al proprio culto? Qual è il vero confine tra normalità e patologia?

 

 

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