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Demenza: le Terapie Comportamentali più utili dei farmaci.

L'oggetto dei deliri nelle persone affette da demenza ha quasi sempre delle basi esperienziali e razionali, trattabili con una psicoterapia.

Di Serena Mancioppi

Pubblicato il 30 Mar. 2012

Aggiornato il 24 Set. 2012 11:50

– Rassegna Stampa – 

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze PsicologicheLa demenza è la perdita di abilità cognitive precedentemente acquisite (memoria, attenzione e orientamento spazio temporale) e si verifica in gravi disturbi come il morbo di Alzheimer.

Nonostante l’alto tasso di incidenza – circa il 5% della popolazione over 65 anni, e addirittura il 30% degli over 85 – ancora non esiste un trattamento efficace.

Secondo il Prof. Jiska Cohen-Mansfield dell’Università di Tel Aviv Herczeg Institute on Aging e la Sackler Faculty of Medicine, ai malati di demenza vengono spesso prescritti psicofarmaci per attenuare sintomi come i deliri, ma questo può avere conseguenze negative: molte delle fissazioni dei pazienti affetti da demenza possono avere un fondamento razionale, suggerisce Prof.Cohen-Mansfield, e potrebbero essere più efficacemente trattate con la terapia comportamentale piuttosto che farmacologicamente.

Lo studio, condotto in collaborazione con il Prof. Hava Golander del Dipartimento di Scienze infermieristiche e Drs. Joshua Ben-Israel e Doron Garfinkel del Shoham Medical Center, è stato pubblicato sulla rivista Psychiatry Research.

Antidepressivi
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Il campione era costituito da 74 adulti con diagnosi di demenza che risiedevano in case di riposo ed erano molto medicati, il 47 per cento con antidepressivi, un terzo con sedativi / ipnotici e il 13,5 per cento con antipsicotici; i ricercatori hanno esaminato sei categorie comuni di idee fisse, tra cui i timori di abbandono, i sospetti che i propri beni venissero rubati, e la sensazione di non essere “a casa”; la valutazione comprendeva anche lo stato mentale del paziente, la patologia comportamentale, e gli incidenti o i traumi passati. Il team di ricercatori ha anche interrogato i custodi e il personale infermieristico che aveva rapporti quotidiani con i pazienti: ai custodi è stato chiesto di descrivere non solo i deliri del paziente, ma anche di spiegare le circostanze in cui erano emersi.

Tenendo conto di tutti questi parametri, i ricercatori hanno scoperto che una grande percentuale dei deliri che i caregivers descrivevano sembrava avere spiegazioni logiche e riflettere la realtà vissuta dai pazienti. Ad esempio i pazienti che lamentavano di non sentirsi a “casa”: la casa di cura non ha aveva soddisfatto la loro definizione di “casa”, l’ansia poi si è dimostrata una risposta realistica quando accompagnava la separazione dall’ambiente esterno o dai propri cari. Alcune fissazioni erano anche il risultato del ri-vivere da parte del paziente traumi subiti in precedenza.

Questi risultati possono avere un forte impatto sul modo in cui gli operatori sanitari e i familiari rispondono ai pazienti affetti da demenza, sostiene il Prof. Cohen-Mansfield, perchè nelle persone affette da demenza il delirio in realtà non corrisponde alla definizione psichiatrica della psicosi. È invece importante che chi convive e si prende cura quotidianamente di queste persone consideri il contesto nel quale i deliri hanno luogo: un’analisi più approfondita di questi comportamenti è in grado di favorire l’empatia, la comprensione, e un trattamento più umano e compassionevole.

 

 

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Serena Mancioppi
Serena Mancioppi

Psicologa Psicoterapeuta Sistemico Relazionale e Cognitivo-Evoluzionista

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