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Il mio psicoterapeuta suona il rock

Le canzoni possono rappresentare le tappe che aiutano l’autonarrazione della propria storia personale.

Di Gaspare Palmieri

Pubblicato il 14 Feb. 2012

Aggiornato il 22 Feb. 2012 14:55

Di Gaspare Palmieri. 

 

La canzone è una penna e un foglio così fragili fra queste dita, è quel che non è, è l’erba voglio ma può essere complessa come la vita.

Una canzone, Francesco Guccini, 2004,

 

Il mio Psicoterapeuta suona il Rock! - Immagine: © Isaxar - Fotolia.com - Il lavoro psicoterapico può avvalersi di una serie di strumenti non propriamente nati all’interno delle teorie psicologiche, ma che possono essere utilizzati strategicamente dal terapeuta con diverse finalità come quella di:

  • migliorare l’alleanza terapeutica,
  • allenare il paziente al riconoscimento delle proprie emozioni,
  • evocare stati emotivi piacevoli o spiacevoli ed aiutarlo a riflettere sugli stessi,
  • condividere nuove idee e scenari rispetto al raggiungimento del benessere psichico,
  • dare speranza in situazioni fortemente problematiche.

La canzone d’autore italiana, ha una serie di caratteristiche importanti che la rendono uno strumento utile all’interno di un contesto psicoterapico. I testi dei cantautori sono caratterizzati dalla ricchezza e dalla profondità dei contenuti, trattando argomenti legati alle difficoltà esistenziali, al rapporto tra individuo e società, ai legami coppia e alla loro rottura, al dilemma tra ricerca di libertà e amore romantico, al sogno. Questi temi si presentano molto frequentemente all’interno di un percorso psicoterapico e il testo della canzone può così integrarsi molto facilmente.

Ma cosa si intende esattamente per canzone?

Psicantria - Copertina disco -
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Gli studiosi di musicologia fanno risalire la nascita della canzone italiana moderna al 1958, quando Domenico Modugno, dal palco dell’Ariston di Sanremo regalò al mondo la sua celeberrima Volare, e le sue braccia spalancate nel ritornello hanno assunto il significato storico di una piccola rivoluzione. Non solo la gestualità di Modugno, così lontana dalla compostezza controllatissima dei cantanti del tempo, lasciò un paese intero a bocca aperta, ma la canzone in sé rappresentava un’evidente evoluzione a livello di contenuti rispetto ai brani di quel periodo. Fino ad allora la canzone italiana aveva avuto come tema prevalente l’amore idealizzato e romantico, spesso cantato in modo melodrammatico, o ancora prima tematiche patriottiche derivanti dalla canzone popolare. Volare apriva la strada a un modo di scrivere canzoni più libero, che lasciva spazio alla metafora, alla fantasia, al sogno, e paradossalmente alla realtà più autentica.

Da quel momento la canzone italiana ha assunto le caratteristiche di un’entità più complessa costituita da un testo, una melodia, un’armonia e un arrangiamento che integrandosi costituiscono qualcosa di unico. Alcuni produttori definiscono la canzone come un piccolo film, che deve essere equilibrato in tutte le sue parti per essere un buon film.

 

Oltre al contenuto della canzone, ci sono altri due elementi da considerare per definire meglio la potenza dello strumento canzone.

Il primo è l’adattamento del testo su una musica (che distingue la canzone dalla poesia), capace di penetrare letteralmente nell’ascoltatore con effetti evocativi ed emotivamente stimolanti. Questi effetti sono legati alla musica, ma anche all’interpretazione vocale del cantante. L’interpretazione e la voce del cantante sono fondamentali. Sono ciò che rende immediatamente riconoscibile ed unico un brano a partire dalla voce narrante.

Potremmo definire la voce del cantante come una trasmissione di “umanità” da un individuo all’altro. In un gioco simbolico la voce narrante nella canzone può diventare la voce di tua madre che ti canta la ninna nanna, la voce di tuo padre che ti incoraggia ad andare avanti o che canta con te l’Inno di Mameli di fronte alla TV durante i Mondiali, la voce del tuo partner che ti sussurra all’orecchio qualche frase nell’intimità o addirittura la voce dello psicoterapeuta, che solitamente non canta (ma ci possono essere eccezioni…), ma che ti ascolta e che può pronunciare frasi chiave, che possono rappresentare una guida per la vita intera (o quasi). Francesco Guccini, nel suo sforzo metacognitivo intitolato appunto “Una canzone”, parla di “…una voce che non è voce, ma con carambola lessicale, può essere un prisma di rifrazione, cristallo e pietra filosofale”.

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Il secondo elemento è l’incredibile capacità delle canzoni di penetrare nella vita delle persone, consciamente o inconsciamente. L’anno scorso è uscito un bel libro di Vincenzo Incenzo (2011), musicista e parolierie di Renato Zero, La canzone in cui viviamo, un viaggio in cento canzoni importanti per la musica italiana. L’autore sottolinea come le canzoni, proprio perché brevi e memorizzabili, possono rappresentare dei cips cibernetici che vanno a costituire la nostra memoria di vita, dei markers delle nostre emozioni e dei nostri ricordi, un concime ricchissimo per la nostra crescita maturativa.

Risultano addirittura fondamentali in quel bisogno di appartenenza che caratterizza ad esempio gli adolescenti, soprattutto nel mondo di oggi. Secondo la psicosociologa Marylin Brewer (1991) gli individui oscillano tra due bisogni fondamentali: quello di appartenenza ad un gruppo e quello di differenziazione. Certe canzoni riescono a rispondere ad entrambi i bisogni allo stesso tempo. Da una parte il brano ci dice “Sei uno di noi”, fai parte del nostro gruppo, non sei solo, ma dall’altra ci dice anche “Sei unico” o “Siamo unici”. L’inno generazionale di Vasco Rossi Siamo solo noi (1981) è un esempio perfetto di appartenenza (Siamo…noi) e differenziazione (solo) dal resto del mondo piccolo borghese e perbenista. Visto che di questi tempi non si può citare Vasco Rossi senza fare dedicare un pensiero al grande “rivale”, non possiamo dimenticare Luciano Ligabue che canta Non è tempo per noi (1990), un manifesto degli abitanti della “provincia” del mondo, un po’ delusi, un po’ disillusi, in cui migliaia di fans del cantautore di Correggio si identificano da oltre due decenni. Vasco Rossi e Luciano Ligabue, sicuramente i due cantautori italiani viventi con più vasto seguito, gli unici oggi a riuscire a celebrare quelle incredibili cerimonie laiche che sono i concerti negli stadi, devono il loro meritato successo alla capacità di scrivere canzoni in cui risulta molto semplice riconoscersi e identificarsi.

Musicoterapia_© puckillustrations - Fotolia.com
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Vasco Rossi ci riesce scrivendo testi dai confini concettuali spesso un po’ labili e indefiniti, con tanti puntini di sospensione, che vengono riempiti dall’esperienza stessa dell’ascoltatore. Frasi come “ti piace vivere come vuoi”, “siamo i difficili, fatti così”, “liberi, liberi siamo noi” nella loro spontanea genericità, sono un invito immediato all’identificazione.

Luciano Ligabue usa un linguaggio più preciso e circostanziato, che ha però la stessa capacità di favorire il processo di immedesimazione dell’ascoltatore, cercando un equilibrio tra il racconto di un’esperienza personale e la voglia di condividere in un sentimento collettivo, come in “A parte che i tempi stringono e tu li vorresti allargare e intanto si allarga la nebbia e avresti voluto vivere al mare” (Niente paura, 2007), o in “E ora che ci sei, fammi fare un giro su chi non son stato mai” (Questa è la mia vita, 2002) “L’amore conta, conosci un altro modo per fregar la morte?” (L’amore conta, 2005).

Spesso è proprio quando riascoltiamo una canzone dopo tanti anni che ci rendiamo conto quanto quella canzone ha significato per noi, a quali ricordi è collegata, in una sorta di intricato percorso mentale fatto di associazioni che spesso ci lascia a bocca aperta.

Mi capita di notare costantemente questo fenomeno durante il gruppo di ascolto che tengo settimanalmente all’Ospedale Privato Villa Igea di Modena con gruppi di pazienti ricoverati affetti da depressioni gravi, disturbi della personalità e alcolismo. Anche i pazienti più gravi pare che abbiano conservato questo sistema evocativo e sono in grado di ricordare in modo preciso luoghi, circostanze e persone collegate alla canzone. Gli stessi pazienti che faticano invece moltissimo nelle ricostruzioni narrative dei propri disturbi nelle sedute psicoterapiche, come se ci fosse una vera e propria via preferenziale per le canzoni. Questa cosa mi ha sempre colpito.

Le canzoni possono rappresentare le tappe che aiutano l’autonarrazione della propria storia personale.

 

 

BIBLIOGRAFIA:  

  • Brewer, M. B., (1991). The social self: On being the same and different at the same time. Personality and Social Psychology Bulletin, 17, 475-482.
  • Incenzo V. La canzone in cui viviamo. No reply, 2011.
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