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Il pluralismo degli Stati Uniti, l’Italia e la fine di Berlusconi.

Di Gianluca Frazzoni

Pubblicato il 11 Nov. 2011

Berlusconi - Licenza d'uso: Creative COmmons - Proprietario: http://www.flickr.com/photos/spiritolibero85/Siamo forse giunti all’epilogo della carriera politica di Berlusconi, per alcuni un’epopea per altri un incubo lungo 17 anni. Tralascio molti altri aspetti di questa parabola e mi dedico all’analisi del sogno italiano di copiare i modelli sociali americani. Un’analisi poco freudiana e molto personale.

Tra i vari ambiti nei quali cerchiamo da molto tempo di avvicinarci alla cultura d’oltreoceano, appare in tutta la sua complessità l’esercizio della democrazia. Berlusconi si è sempre dichiarato fedele ammiratore della civiltà americana, e con lui molti nostri compatrioti, eppure qualcosa sfugge. Ad esempio come si possa paragonare il livello di pluralismo della società americana con il nostro. Parliamo infatti di una nazione in cui una scrittrice gay, di cui purtroppo non ricordo il nome, può presentarsi da David Letterman (noi abbiamo Vespa) affermando senza esitazione che la guerra in Iraq è stata un artificio costruito sulla menzogna di armi chimiche che nessuno ha mai trovato. A circa 7000 km di distanza uno scrittore gay e anche un illetterato gay, non possono ricevere l’aiuto dello Stato per una casa destinata alle giovani coppie, e nemmeno una coppia eterosessuale non sposata può riceverlo, figuriamoci andare da Letterman.

Quanto a Vespa, le dieci domande di Repubblica a Berlusconi hanno trovato risposta in un suo libro. Ossia non hanno trovato alcuna risposta dignitosa. Come descrivere poi la differenza tra un sistema nel quale non possono accumularsi più di due mandati presidenziali di quattro anni, ed uno in cui il potere di un uomo dura finché esala l’ultimo respiro politico? O la distanza tra chi impone confronti televisivi tra i candidati e chi consente ad un premier di sopravvivere 17 anni unicamente con proclami ai propri adepti, concedendosi in due sole occasioni al confronto diretto di un dibattito televisivo dopo il quale gli esperti di comunicazione non ebbero difficoltà a decretare la vittoria di Prodi? Comunicare si fa in due o più soggetti; parlare da soli non è comunicare, eccezion fatta per i deliri, ne conviene qualunque approccio delle scienze umane.

Ecco, tutto ciò e molto altro negli Stati Uniti sarebbe impensabile. E’ mia opinione che negli States non esistano sostanziali segreti di Stato, perché un segreto di Stato è veramente tale quando non è possibile affrontare nella società civile la discussione su come siano andate le cose. Un segreto di Stato è il giudice Paolo Borsellino che in un’intervista spiega chiaramente chi è Silvio Berlusconi ma viene mandato in onda in piena notte, affinché buona parte di un popolo rimanga per vent’anni nell’ignoranza più oscura. Gli Stati Uniti hanno perso un Presidente fornendo una versione dell’accaduto piuttosto curiosa, considerato il numero di testimoni che hanno visto dei fucili sparare senza essere imbracciati dall’uomo accusato in seguito di aver fatto tutto da solo. Da tempo però è possibile vedere e rivedere in tutti e cinque i continenti film, documentari, trasmissioni che parlano di un complotto, di una differente verità. E allora, che fine fa il potere della Casa Bianca? Rimane immutato, il pluralismo delle voci non è una lotta di potere. Non in questo caso.

Il pluralismo è una nazione che mentre fa la guerra in Vietnam viene sferzata ogni giorno da movimenti pacifisti sempre più forti, o che durante l’inquisizione di McCarthy contro i presunti comunisti assiste alla nascita della letteratura beat, dissacrante inno di libertà. Il pluralismo è una nazione che elegge un Presidente, un buon Presidente per molti aspetti, e lo caccia scoprendolo poco trasparente. Ve lo immaginate in Italia? E se l’America esporta una democrazia che spesso non è tale, noi siamo qui a dirlo. Perché è più noto al mondo l’operato di Kissinger a favore del golpe cileno rispetto alla verità sulle stragi di mafia nel Paese di Leonardo e Raffello. La cultura americana della libertà, caro Silvio Berlusconi, è cibo a noi indigesto. Possiamo spiegare anche in questo modo il palese fastidio dei coniugi Obama nell’incontrarla. Il pluralismo è sinonimo di flessibilità dei costrutti, ne parlava un certo Kelly. Americano? Yes!

 

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