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Musica e Didattica Metacognitiva

Di Lucio Montagna

Pubblicato il 11 Nov. 2011

Aggiornato il 03 Dic. 2012 15:53

Musica didattica metacognitiva - © Tommi - Fotolia.com Un bambino può apprendere a parlare bene senza conoscere, esplicitamente, le regole grammaticali ma non può parlare bene senza applicare corettamente queste regole. Un alunno può imparare senza che gli sia stato spiegato cos’è la metacognizione, però non può essere davvero efficace nel proprio apprendimento se non lavora metacognitivamente: se non conosce le differenza tra sapere e non sapere, tra memorizzazione e comprensione, se non “impara ad imparare”.

Sin dagli anni ’90 la pratica metacognitiva ha trovato una sua applicazione nel programma “Bright Start” di Carl Haywood, dedicato alla scuola dell’infanzia ed elementare. Bright Start è basato sulla mediazione degli strumenti del pensiero logico applicati ad esperienze scolastiche e quotidiane. Questo programma viene utilizzato dagli insegnanti come base per promuovere una migliore autoregolazione cognitiva, che sta alla base degli apprendimenti fondamentali come la scrittura, il calcolo, la comprensione di un testo, ma anche per aumentare la motivazione, la capacità di risolvere i conflitti, l’autonomia.

Per i bambini di età superiore, invece, è diffuso in tutto il mondo il metodo Feuerstein (Programma di Arricchimento Strumentale). Questa proposta pedagogica ha dato un contributo fondamentale e fortemente innovativo sul come si può lavorare sul potenziale di apprendimento sia di soggetti disabili sia di soggetti “normali”, appartenenti anche a culture diverse, e si caratterizza come uno dei primi approcci metacognitivi in ambito educativo e riabilitativo. È un programma di intervento cognitivo e metacognitivo utilizzato a partire dagli 8/10 anni, che ha lo scopo di accrescere la modificabilità dell’individuo attraverso l’attivazione e lo sviluppo di quelle che la teoria della cognizione ha indicato come “prerequisiti del pensiero”: le funzioni cognitive.

Ho deciso di dedicarmi alla didattica metacognitiva sfruttandola attraverso altri mezzi, potenti almeno quanto la comunicazione verbale: i suoni e i rumori.

La musica (e tutto ciò che la compone), in quanto esperienza multisensoriale emotivamente coinvolgente, può essere un ottimo strumento per stimolare la riflessività; a partire da percezioni più profonde, che non si limitino a indurre una risposta istintiva su qualcosa che “tocca” al primo impatto (guardando un quadro, ad esempio, ne distinguiamo subito i colori), ma che obblighi a riflettere sull’esperienza appena vissuta, a valutarla ed analizzarla, al fine di trarne degli insegnamenti, trasferibili anche ad altri contesti della vita.

Il modo in cui lavoro con i bambini è quello di sostenerli attraverso una riflessione accurata sull’esperienza musicale in tutti i suoi aspetti, da quello sensoriale, a quello emotivo, riflessivo, logico ecc, e mira allo sviluppo delle capacità cognitive della fascia d’età alla quale il laboratorio si rivolge (4-5 anni). In particolare allo sviluppo, grazie a esperienze concrete, delle capacità di astrazione, di classificazione e seriazione; allo sviluppo della capacità di tradurre in parole vissuti e ragionamenti; e allo sviluppo della capacità di assumere prospettive nuove e diverse.

Con la mediazione dell’animatore, i bambini vengono indotti a partecipare attivamente a un certo numero di giochi sonori e musicali, per scoprirne le regole e gli aspetti specificamente legati al suono (a seconda dell’età: volume, ritmo, velocità, timbro, durata, intensità, altezza…); vengono inoltre guidati, attraverso un costante stimolo a verbalizzare, al confronto dei propri vissuti con le attività del laboratorio, per trovare insieme le parole per definirli.

Ogni incontro contiene in se stesso, nell’interazione tra mediatore e bambini, la possibilità di verificare l’evolversi del percorso educativo che è caratterizzato dagli obiettivi esposti sopra. E’ anche evidente che non sarebbe possibile né significativa una verifica in forma di esibizione finale di fronte a un pubblico.

In sintesi, un atteggiamento metacognitivo si fonda sulla riflessività, sulla capacità di moderare l’impulsività e di farsi domande che riguardano il proprio “fare” e “pensare” riguardo all’esperienza quotidiana sia di studio che di lavoro, focalizzando l’attenzione più che sul “che cosa”, sul “come”, più che sul risultato, sui processi che vi conducono. Uno dei frutti di questo atteggiamento è sicuramente una migliore conoscenza di sé.

Lo studio della competenza metacognitiva, intesa come capacità di valutare e controllare in modo esecutivo il proprio funzionamento cognitivo, ha coinciso con una visione nuova dell’architettura della mente e dello sviluppo intellettivo in generale. L’idea alla quale la ricerca in questo ambito è giunta è che l’intelligenza è flessibile, educabile e rieducabile.

Purtroppo questa pratica non è tanto diffusa quanto ci si aspetterebbe, forse a causa di un troppo scarso investimento nei confronti di una serie di strumenti che vuole uscire dai canoni didattici con cui abbiamo sempre vissuto, forse per mancanza di insegnanti formati secondo questo metodo. Probabilmente questi due dati sono strettamente collegati.

 

 

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