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Le esperienze di rottura nel terapeuta e nel paziente

Di Andrea Bassanini

Pubblicato il 01 Nov. 2011

Aggiornato il 09 Mag. 2018 10:22

Terapia - © Lisa F. Young - Fotolia.comLa rivista della SPR (Society for Psychotherapy Research) di settembre ha pubblicato uno studio qualitativo molto interessante sulle rotture dell’alleanza terapeutica. Le rotture dell’alleanza terapeutica sono state definite come “momenti di tensione o breakdown nell’alleanza tra il terapeuta e il paziente, che generano emozioni intense negative” (Safran & Muran, 2000). In questa ricerca, Jeremy Safran con alcuni colleghi americani della University of Maryland e altri portoghesi dell’Universidade do Minho di Braga ha indagato le esperienze di rottura dell’alleanza terapeutica, sia dal punto di vista dei terapeuti che da quello dei propri pazienti, avvenute nelle prime quindici sedute di otto differenti psicoterapie con pazienti con disturbi di personalità (tre pazienti con diagnosi di Disturbo Borderline, due Disturbo Istrionico, un Disturbo Evitante, un Disturbo Paranoide e uno Ossessivo).

I ricercatori hanno preso in considerazione due tipi di rottura dell’alleanza: la withdrawal (WD – in cui il paziente si “allontana” dal terapeuta, tramite risposte corte e minime oppure spostando il focus della risposta verso un tema diverso da quello della domanda) e la confrontation (CF – in cui il paziente “attacca” il terapeuta, esprimendo rabbia o insoddisfazione nei suoi confronti).

Tutte le sedute sono state videoregistrate e valutate tramite il Rupture Resolution Rating System (Eubanks-Carter et al., 2009). Alcuni giorni dopo che una rottura dell’alleanza era stata rilevata dalle registrazioni, sia il paziente sia il terapeuta vengono intervistati (separatamente) in merito ai seguenti argomenti: cause della rottura, evoluzione conseguente all’interno della relazione terapeutica, impatto sulla terapia e esperienza emotiva durante la rottura. Le interviste sono state valutate da cinque “giudici” differenti, utilizzando il metodo qualitativo CQR (Hill, 2011).

Dall’analisi delle interviste dei terapeuti emerge che le cause delle rotture sarebbero da attribuire alla presenza di “un precedente” (“era già successo, allo stesso modo”), a eventi di vita del paziente e alle caratteristiche di personalità del singolo paziente (che lo portano a “preferire” una modalità piuttosto che un’altra di espressione conseguente alla rottura). In particolare, i terapeuti che hanno avuto più rotture WD hanno attribuito la rottura a difficoltà del paziente a processare e a esprimere le emozioni negative e nell’affermazione di sé. I terapeuti hanno riferito di essersi sentiti confusi, ambivalenti, colpevoli o incompetenti (in particolare di fronte a rotture “d’attacco” come le CF). Sembra che i terapeuti, una volta avvenuta e riconosciuta la rottura, abbiamo modificato la propria strategia terapeutica, optando per interventi di validazione emotiva, di comprensione dell’esperienza del paziente “nel momento presente” e di promozione dell’insight nel paziente dei propri pattern interpersonali. In merito alle credenze riguardanti l’impatto che la rottura ha avuto sul paziente, sono emerse alcune differenze tra i terapeuti che hanno avuto più rotture WD o più rotture CF: i terapeuti della prima categoria hanno ritenuto che i loro pazienti abbiamo integrato nella propria esperienza l’evento di rottura come un normale momento di difficoltà relazionale, nonostante abbiamo concluso la seduta sentendosi a disagio; i terapeuti “più inclini” alle rotture CF, hanno ritenuto invece che i loro pazienti abbiamo concluso la seduta sentendosi invalidati e/o rifiutati.

Ora veniamo ai risultati raccolti con le interviste dei pazienti. Non sembrano emergere categorie chiare in merito alle risposte date sulla loro esperienza di rottura dell’alleanza. Ciononostante, i pazienti che hanno vissuto maggiori rotture WD, hanno descritto l’esperienza come un momento molto poco soddisfacente, già accaduto in passato nella stessa terapia, causato da eventi personali accaduti negli stessi giorni con un familiare o un amico. I pazienti hanno riferito di essersi sentiti tristi, confusi e ambivalenti e di aver provato sensazioni di helplessness (“ero così triste che non c’era niente che il terapeuta avesse potuto dire in quel momento”). Per quanto riguarda, invece, le rotture CF, i pazienti hanno riferito di essersi sentiti abbandonati o criticati dal terapeuta, contrariamente ai pazienti che hanno vissuto maggiori rotture WD, i quali hanno riferito di essersi sentiti disperati o angosciati (“avevo paura di perdere il controllo”). In merito alla valutazione dell’intervento del terapeuta, i pazienti hanno riferito che, nei casi di rotture WD, non hanno tratto alcun beneficio dall’intervento del terapeuta e che non avevano alcuna aspettativa rispetto all’agire del terapeuta in quel momento. Nei casi di rotture CF, invece, i pazienti hanno riferito di essersi aspettati che il terapeuta cambiasse strategia e facesse qualcosa di diverso. La stessa aspettativa del paziente, probabilmente, ha influenzato l’agire terapeutico del momento. Rispetto all’impatto delle rotture sulla terapia, nel caso delle rotture CF, i pazienti hanno riferito un impatto negativo, che ha portato anche a casi di drop-out. Nel caso delle rotture WD, invece, i pazienti hanno riferito di aver concluso la seduta sentendosi vulnerabili, nervosi, stanchi o scoraggiati. Al contrario, le rotture CF hanno suscitato nei pazienti emozioni di rabbia e disapprovazione nei confronti del terapeuta.

Il risultato interessante riguarda l’impatto che le esperienze di rottura hanno avuto nei pazienti. Quelli che hanno vissuto maggiori rotture di tipo WD non hanno riferito alcun cambiamento significativo nel proprio processo terapeutico. Dalla ricerca sembra non emergere in modo chiaro se anche i pazienti che hanno esperito maggiori rotture CF non abbiamo riportato alcun cambiamento nel processo terapeutico.

Probabilmente a causa del numero relativamente esiguo di soggetti, gli autori non hanno preso in considerazione la eventuale prevalenza di un tipo di rottura in relazione alla diagnosi del paziente che le ha esperite. Sarebbe, comunque, interessante riflettere e discutere su come (e se) i tratti di personalità influenzino le “preferenze” dei pazienti verso una modalità di reazione alla rottura dell’alleanza piuttosto che un’altra.

Nonostante molteplici dati emersi da questa ricerca, l’aspetto più interessante risiede nel fatto che, sebbene l’alleanza terapeutica sia un tema studiato e approfondito in letteratura (nonché, a parere di chi scrive, molto affascinante), per la prima volta vengono confrontati i vissuti del terapeuta e del paziente durante questi intensi momenti relazionali. Tale approccio potrebbe fungere da trampolino di lancio per approfondire ancora di più la comprensione dell’alleanza terapeutica, delle sue débâcle e dei molteplici punti da cui si può osservare.

 

BIBLIOGRAFIA:

  • Coutinho J., Ribeiro E., Hill C & Safran J. (2011). Therapists’ and clients’ experiences of alliance ruptures: A qualitative study. Psychotherapy Research. 12(5): p. 525-540.
  • Eubanks-Carter, C., Mitchell, A., Muran, J.C. & Safran, J.D. (2009). Rupture resolution rating system (3RS): Manual. Unpublished manuscript.
  • Hill, C.E. (Ed.) (2011). Consensual qualitative research: A practical resource for investigating social science phenomena. Washington DC: American Psychological Association.
  • Safran, J.D., & Muran, J.C. (2000). Negotiating the therapeutic alliance: A relational treatment guide. New York, NY: Guilford.
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Andrea Bassanini
Andrea Bassanini

Psicologo - Spec. in Psicoterapia Cognitiva e Cognitivo-Comportamentale

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