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L’insostenibile pesantezza dei secondi. Narcisismo, ossessioni e un pianista irraggiungibile

Attraverso la disanima de Il Soccombente (1999), romanzo di Thomas di Bernhard, un’interessante descrizione del narcisismo.

Di Gianluca Frazzoni

Pubblicato il 19 Ott. 2011

Aggiornato il 17 Mag. 2016 11:33

Chi ha letto il testo di Dimaggio e Semerari (2006) sui disturbi di personalità, potrà essere rimasto incuriosito dallo strumento letterario che Dimaggio utilizza per descrivere il disturbo narcisistico di personalità. L’opera analizzata è il Il soccombente di Thomas Bernhard (1999), straordinario autore tedesco del Novecento.

Piano_© Martin Suchanek - Fotolia.com Il romanzo narra il progressivo sgretolamento di una mente, di una personalità, quella del soccombente appunto, che dedica ogni risorsa vitale allo studio del pianoforte con l’obiettivo di diventare non un pianista, non un grande pianista e nemmeno uno dei più grandi concertisti, bensì il più inarrivabile interprete del secolo. Il protagonista dell’opera ha studiato a Salisburgo sotto l’insegnamento del genio Horowitz e suo compagno di viaggio è stato un altro pianista la cui morte per suicidio è precedente al tempo della narrazione. Il tema che unisce i due personaggi è l’incontro con Glenn Gould, che da allievo di Horowitz diventerà…Glenn Gould, spalancando agli altri il dramma di non saper eguagliare le sue esecuzioni.

Ciò che colpisce de Il soccombente è innanzitutto la forma utilizzata, peraltro non nuova nelle opere di Thomas Bernhard; il testo è un flusso ininterrotto, non ha alcuna suddivisione in capitoli e paragrafi né alcun capoverso. E’ certamente illeggibile per chi voglia trangugiarlo tutto d’un fiato, poiché a dispetto della lunghezza piuttosto ridotta diventa subito un percorso sfiancante all’interno di una mente travolta dalle ossessioni.

Proprio questo aspetto lo rende intrigante: la disgregazione delle fantasie narcisistiche si fonde con lo strapotere di una ricorsività incontenibile, poche idee possono ripetersi per pagine e pagine sia nei contenuti sia nella forma e il quadro che ne emerge è una sconcertante riproduzione dei processi mentali che definiscono la struttura ossessiva.

Il protagonista, nei pochi minuti di attesa prima di un appuntamento, è sommerso dal flusso inarrestabile di pensieri che ripercorrono l’ascesa e la caduta di un sogno impossibile, la frustrazione ora malinconica ora disperata di chi non sa darsi pace per essere rimasto nell’ombra pur avendo ricevuto dalla natura un talento eccezionale. Essere sconfitto in una battaglia tra eletti è ancora più devastante poiché il soccombente ha sfiorato la gloria, l’ha osservata a lungo credendo di poterla raggiungere e per molto tempo ha unito il contenuto delle proprie fantasie a quelli che sembravano dati di realtà, prima di doversene separare per sempre.

Se pensiamo a un narcisista grave, che dopo aver superato la diffidenza nei nostri confronti comincia a compiere qualche timido passo verso il contatto col proprio dolore, col proprio senso di drammatica piccolezza, è affascinante chiedersi quale sia il linguaggio del suo dialogo interno, come si rappresenti il fallimento dei propri scopi grandiosi e quanto invasiva sia, nella sua attività di pensiero, la ripetizione dei temi di sofferenza.

Il soccombente è un ritratto portato all’estremo ma che certamente potremmo ritrovare, nei casi più sfortunati, esercitando la pratica clinica. Leggere quei passi, molto particolari e certamente destinati a non incontrare il favore di parecchi fruitori di letteratura, ci può condurre a considerare un grave narcisista innanzitutto come un grave ossessivo; questo aspetto ci aiuta a comprendere molte resistenze del paziente, che in una fase avanzata della terapia sembra bloccato sui contenuti di pensiero della propria inadeguatezza e pare sempre distante da un conciliazione con ciò che non è stato. Le fantasie grandiose lasciano il posto a temi ricorsivi nei quali i costrutti non mutano mai, le credenze centrali non si scalfiscono e l’emozione sofferente, la sofferenza, diventa verbosità, rifugio nella ripetizione acritica.

Il soccombente della nostra esperienza clinica non riesce né a fermare il flusso né a riflettere sul processo; diventa assai difficile che egli possa spostarsi sul presente e sulla realtà, maneggiare l’emozione effettiva che lo muove e accettare una decisiva generalizzazione, “non vado in crisi quando non sono il migliore ma ogni volta che non ricevo attenzioni”.

Il soccombente di Thomas Bernhard è imprigionato nel triangolo con Glenn Gould e il compagno suicida, luogo dell’ultimo e più elevato scopo di una lunga catena di bisogni rimasti ignorati, ma questa è un’inferenza del terapeuta. Il lettore consiglia invece l’incontro con quest’opera, anche una piccola parte se l’insieme risulta indigesto; al termine si avrà il respiro corto e affannoso che segue l’esplorazione del lato oscuro, della ragione che soccombe.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Bernhard, T. (1999). Il soccombente. Adelphi, Milano.
  • Dimaggio, G., Semerari, A. (2006). I disturbi di personalità. Modelli e trattamento. Laterza, Bari.
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