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Un po’ di autismo in tutti noi. Novità dalla ricerca genetica

In un recente studio è emerso che parte dell’influenza genetica implicata nell’autismo si correla a difficoltà comunicative nella popolazione generale

Di Ilaria Cosimetti

Pubblicato il 22 Apr. 2016

Una ricerca apparsa il mese scorso su Nature Genetics, che ha coinvolto un vastissimo campione di più di 38000 individui, ha evidenziato come gli stessi geni coinvolti nell’autismo influenzino anche aspetti delle abilità sociali dell’intera popolazione, quelle stesse capacità ritenute determinanti per una diagnosi di autismo.

 

Il gruppo di ricercatori, capitanato dalla professoressa Robinson dell’Università di Harvard, ha contribuito in maniera significativa all’approfondimento del quadro genetico sottolineando come il maggior fattore di rischio per l’autismo sia poligenico, il risultato cioè di una combinazione di piccoli effetti prodotti da migliaia di differenze genetiche. Tali differenze genetiche si riscontrano anche nella popolazione tipica (non autistica), determinando un continuum di tratti comportamentali e di sviluppo che solo nella loro manifestazione più severa possono essere ricondotti a sintomi determinanti nel formulare una diagnosi di autismo.

Uguale attenzione è stata rivolta anche alle variazioni genetiche rare non ereditarie (de novo) che producono effetti più ampi ma anch’esse risultate presenti tra i non autistici con la capacità di influenzare le loro competenze ed abilità sociali.

 

Le varianti genetiche comuni in relazione all’autismo

Nel primo caso, quello che riguarda le varianti genetiche comuni, è emerso che circa un quarto dell’influenza genetica implicata nell’autismo si correla anche a difficoltà sociali e comunicative nella popolazione generale. Tali competenze sono state misurate attraverso la Social and Communication Disordes Checklist (SCDC), compilata dai genitori di quasi 6000 bambini di 8 anni con sviluppo tipico. La correlazione genetica tra autismo e difficoltà sociali nella popolazione normale è simile insomma a quella che lega il diabete di tipo 2 e l’obesità.

 

Le mutazioni genetiche rare (de novo)

Per verificare invece se anche le varianti de novo mostrano un legame genetico tra i Disturbi dello Spettro Autistico e il continuum di comportamenti della popolazione generale, il team di ricercatori ha analizzato un campione di 2800 autistici insieme ai membri del  nucleo familiare senza una diagnosi di autismo. In questo caso i ricercatori sono ricorsi alla Vineland Behavior Scales (Vineland), una scala che misura l’autonomia personale e la responsabilità sociale. Il numero di mutazioni rare, presenti nel 19% degli autistici e nel 10% dei familiari, si correlavano positivamente a un peggior funzionamento sociale misurato dalla scala. Inoltre i risultati più alti degli autistici, corrispondenti a minori difficoltà, sono risultati essere sovrapponibili a quelli più bassi della popolazione tipica e coloro che condividevano lo stesso punteggio mostravano un numero di mutazioni genetiche molto simile, indipendentemente dalla diagnosi di autismo.

 

Una condizione poligenica complessa

Tutti questi dati non possono che mettere in luce l’arbitrarietà di una diagnosi categoriale per i Disturbi dello Spettro Autistico che sembrano ormai potersi chiaramente definire una condizione poligenica complessa che condivide lo stesso bagaglio genetico con una parte significativa della popolazione generale.

Ne consegue che il rischio genetico che influenza l’autismo è un rischio che riguarda tutti noi e influenza anche i nostri comportamenti e la nostra comunicazione sociale.

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